Outcazzari

La classifica nonsense del 2017

La classifica nonsense del 2017

Amici ma soprattutto amiche! Anche quest’anno siamo arrivati a dicembre. Chi l’avrebbe mai detto? Probabilmente, non quelli di Visceral Games. O quegli scappati di casa di Mass Effect Andromeda. Comunque. Dicembre è il mese delle tradizioni e, proprio nel solco delle stesse, i siti si riempiono di classifiche, post retrospettivi, collection e HD remix che sono l’emblema del poca spesa e tanta resa: d’altronde, le classifiche portano sempre tanti bei clic (soprattutto se le spalmi su più pagine: diffidate!), sono foriere di opinioni personali che fanno scattare la rissa (“Non hai messo quel gioco! Sei un coglione! Miracolato dalla meningite! 7.5!”) e, in generale, aiutano a riempire quel periodo di morte  che va dall’uscita dell’ultimo tripla A di novembre a quella del prossimo, tipo a… marzo?

A discapito di questa brutta abitudine, però, va detto anche che, in un mondo fatto di anteprime e notizie dal sapore di vuoto pneumatico, almeno le classifiche hanno il coraggio di dire qualcosina di interessante. O almeno di volerci provare. Io, dal canto mio, mi diverto sempre un sacco a scriverle, un po’ perché è più facile che identificare il singolo gioco/serie/film/salcazzo dell’anno, un po’ perché comincio a scrivere e già alla seconda riga sto sparando sui morti. E al secondo paragrafo sono già partito per la tangente. Comunque. Conscio di questa deformazione bizzarra, giopep - che solitamente approfitta di ogni tuo vago slancio per buttarti giù dal ponte con un macigno da 110 kg - ha inserito coattamente nella Cover Story una classifichina che (forse) avrei voluto scrivere. Ah, se solo avessi trovato uno spunto (uno qualsiasi)! Ah, se invece mi ritrovo una fredda sera di dicembre in ufficio, a provarci disperatamente!

L’articolo che avrei voluto scrivere: Nostalgia, profumo e miasmi

“E vabbé”, mi direte voi. E avete anche ragione. Ma, d’altronde, la classifica è mia e la gestisco io. E per quanto mi riguarda, Babich è (assieme a Quedex) l’equivalente letterario di “quell’attore potrebbe leggere anche la lista della spesa”: uno che, qualunque cosa scriva, di qualunque cosa parli, ti tiene totalmente incollato, ti emoziona, ti fa ridere, ti arricchisce. Se non avete letto ancora quel pezzo: cosa ci fate su questo sito, e perché state ancora leggendo me.

Premio Calcaterra™ per l’azzeramento della voglia di vivere: Il Giappone di De André

Nel 2017, il Giappone è risorto dalle sue presunte ceneri distribuendo a destra e a manca una caterva di giochi incredibili. Al netto dei vari Mario e Zelda, che comunque sono supernova che capitano una volta ogni tanto, il Sol Levante è tornato alla carica con robe tipo NieR: Automata, Persona 5, Xenoblade Chronicles 2, tutti gli Yakuza possibili e immaginabili, e chissà cos’altro mi sto dimenticando. Ora, non so se, come me, leggete un pattern in questa selezione, ma nel dubbio lasciate che ve lo dica io: È TUTTA ROBA LUNGHISSIMA. In direzione ostinata e contraria, con il mondo che fa di tutto per assecondare i giovani giocatori di una volta (che sono i vecchi senza-tempo-libero dell’oggi), il Giappone stoico se ne batte il belino, e tira fuori roba con ventisei finali, con trame da soap opera spalmate su dieci capitoli, e pure delle robe mezze rom-com/dating-sim dei liceali che, al solo pensiero, voglio veramente darmi fuoco. Giapponé, io vi voglio bene, voi siete bravissimi e dovete continuare così per il bene dell’universo… però, davvero, non ce la posso più fare. Sigh.

Premio “Avrai pure tanti problemi ma di sicuro non quello del ritmo”: Overwatch

Approcciato con tutta la diffidenza e la ritrosia del mondo, ché “è solo un Team Fortress 2 con la skin diversa”, nel 2016 mi sono ritrovato con la siringa di Overwatch infilata profondissima nel braccio. Lo sparacchino di Blizzard è diventato ben presto larger than life, con tutta una serie di tornei ufficiali da miliardi di dollari a sancirne la qualità e la profondità di gameplay. Ed effettivamente è un gioco pazzesco, che ti tiene incollato allo schermo quando sei lì a sforacchiare tutto quello che si muove e che reclama un piccolo spazio della tua testolina quando ti allontani per troppo tempo, come non mi capitava ormai da anni. Certo, un gioco del genere, con un successo del genere e un giro di soldi così largo nel contesto competitivo, non può che attirare a sé una community che definire tossica farebbe passare la Bertè per un’educanda. Ciononostante, se riuscite a raccogliere a voi tre/quattro scappati di casa volenterosi di scambiarsi una siringa e con cui farsi vicendevolmente scudo dagli insulti, troverete una gemma ben lungi dall’esaurire il proprio bagliore.

Premio “Parvenu del videogioco”: Microsoft

Ma voi ve la ricordate l’ultima volta che avete provato interesse per un QUALSIASI fatto legato a Microsoft? Perché io no. Xbox One X, nonostante il grande pregio di averci fatto dimenticare quanto fosse sgraziata la One originale, porta un sacco di migliorie tecniche per giocare a esclusive del calibro di… ehm… Cuphead? No. Forza Motorsport 7? No. Halo 5? Come dite? Staremmo aspettando il 6? Ah. Beh, dai, c’è sicuramente… coso, lì, come si chiama… ehm… dai.

Miglior gioco Nintendo non di Nintendo: Mario + Rabbids: Kingdom Battle

Per quanto mi riguarda, la magia dei giochi Nintendo sta nel farmi apprezzare giochi che, fatti da altri, non avrei mai pensato di toccare. Anche perché, inconsciamente, forse a torto, so per certo che se un gioco è fatto da Nintendo, sarà un gioco fico e tendenzialmente meglio dell’equivalente della concorrenza. Sebbene sviluppato da Ubisoft, Mario + Rabbids: Kingdom Battle rientra comunque nella mia visione del “gioco Nintendo”, dal momento che è riuscito a farmi innamorare degli strategici, nonostante la mia più totale distanza dal genere. Per di più, proprio come i titoli della grande N, anche questo è arrivato sugli scaffali bello e pronto, adorabile nella sua direzione artistica urlata, pieno di ammiccamenti e chicche per chiunque intendesse perdersi in questa delirante versione del Regno dei Funghi. E sì che l’ho preso anche e soprattutto perché so chi c’è dietro, quanta passione si respirava durante la realizzazione e [tutte quelle cose melense da giovani sognatori innamorati]. Ma, al netto di tutto, anche volendo montare la faccia da aridi analisti, è difficile non pensare che, come dice Fabio, “Mi sarebbe piaciuto anche se mi fossero stati tutti sul cazzo”.

Miglior gioco di cui non avrei saputo scrivere: Thimbleweed Park

Qualche giorno fa, ho descritto la GDC 2016 come “un momento in cui ero felice, e sapevo di essere felice”. Di quella settimana straordinaria, probabilmente il ricordo che mi rimarrà maggiormente impresso è quello della compagnia dell’orso (© Fotone) nella stessa stanza con Ron Gilbert, creatore di quelle avventure grafiche con cui siamo cresciuti tutti, a distanza di anni l’uno dall’altro (ne parliamo in coda a questo podcast). Mai mi sarei immaginato che, dopo qualche mese, avrei fatto le pulci alla traduzione imperiosa di Fabio, finendo addirittura nei titoli di coda del gioco. Né tanto meno mi sarei immaginato che, giocando a Thimbleweed Park senza l’ansia di trovare typo e incongruenze, ci avrei trovato un’avventura grafica degli anni Ottanta, tirata di tutte quelle piccole rughe che si notano giocando, oggi, a un’avventura degli anni Ottanta. Un classico di cui, tipicamente, mi sento in soggezione a scrivere: un po’ per inadeguatezza, un po’ perché, dato il genere, non potendo parlare per benino della trama e dei suoi risvolti, rischi di fare un disservizio a un gioco davvero fantastico.

Premio “Crisi dei subprime”: Gli indie

E sì che di indie belli ne sono usciti pure quest’anno (d’altronde, Thimbleweed Park), però è anche vero che, a parte lo straordinario exploit della conferenza cronemberghiana all’E3, tutto quel friccicore indie di qualche anno fa, capitanato da Devolver e dalle sue robe fuori di testa, tipo Hotline Miami e compagnia cantante, sembra essersi perso nel nulla. Tokyo 42, in cui credevo tantissimo anche in qualità di salvatore del carrozzone, si è rivelato essere una ciofeca rotante. Dove sono gli OlliOlli? Dove sono i Super Time Force? Dove sono gli indie clamorosamente belli che non ti aspetti, pubblicati a due mesi di distanza l'uno dall'altro? DOVE?

Gioco per tutte le stagioni, tutti gli anni: Tinder

Tinder è, per distacco, l’applicazione più ludica che potete scaricare oggi sul vostro telefono. L’interfaccia è semplicissima (d’altronde, Reigns) e, benché lo user-generated content faccia spesso pena, è difficile trovare a oggi qualcosa che riempia i momenti morti come uno swipe ben piazzato. Da soli o in compagnia di amici, al pub o in ufficio, Tinder è una cornucopia di narrazione emergente, roba che vorreste raccontare ai vostri nipoti… se non fosse che, usando Tinder, probabilmente non ne avrete mai.

Persona dell’anno: Josef Fares

Ve lo ricordate Kanye West che sale sul palco dei salcazzo awards di qualche anno fa, interrompendo la tizia che vinse il premio, mezzo sbronzo, sbiascicando un discorso nonsense su quanto avesse dovuto vincere qualcun altro? Non so perché, ma Josef Fares ai Game Awards di quest’anno mi ha riportato alla memoria quella scena lì. Diti medi alla telecamera, fare disastrato, accento minaccioso à la imbruttita di Ibra. Tutto perfetto, tutto fantastico.

Il gioco dell’anno: Super Mario Odyssey

Era 16 novembre 2017, e sullo Slack redazionale va in onda una scena del genere:

giopep: “Oh, la cover story dicembre/gennaio funziona [così]... certo, sarebbe anche figo fare una serie di articoli sui migliori giochi del 2017, non recensioni, tipo “perché questo gioco [omissis]”. Però non lo so, secondo me è faticoso.”
Nabu: “Dici tipo quello che ho già pronto da un mese su Mario e non mi compra nessuno?”
giopep: “Ahahahaha, OK.”

È sempre bello quando il destino ti ricorda che sei nel posto giusto, al momento giusto, con tutte le sinergie che vanno come devono. L’articolo è ovviamente questo, e se non avete voglia di leggermi ancora (comprensibilmente) potete ascoltare questo ricco Outcast Magazine, in cui parlo di Odyssey assieme alla gente giusta. Riassumendo, comunque, il fulcro è che ci troviamo di fronte a quello che Zelda ha fatto per i giochi di ruolo open world, ma traslato per i platform. A me i platform piacciono più che i giochi di ruolo open world, quindi vince Mario e l’altro arriva secondo. Sempre che arrivare secondi nel campionato delle robe che cambiano il mondo dei videogiochi da qui ai prossimi dieci anni sia “arrivare secondi”.

Vincitori del videoludo 2017: Nintendo

Una console che, OK, tutti ci aspettavamo sarebbe stata ibrida, ma non così straordinariamente azzeccata da diventare subito la piattaforma ideale per TUTTO. Una lineup da strapparsi le mutande: The Legend of Zelda: Breath of the WildMario Kart 8 Deluxe, Super Mario Odyssey. Ovunque, dal cesso di casa al divano, da soli o tra amici, sull’aereo, sul tappeto, al compleanno di Fotone, in ufficio. Nintendo si è ripresa tutto quello che le è mancato per troppo tempo, con una forza disarmante, semplicemente ricordando a tutti quanto sia vincente la semplicità di dare alla gente qualcosa per giocare, sempre, in piena comodità. Se pensate che hanno ereditato tutto l’amore indie degli sviluppatori di PS Vita, oltre ad aver dato il la alla grande opera di redenzione chiamata “Facciamo riuscire TUTTO quello che la gente ha saltato su quella coltellata al costato che era Wii U”, il 2018 si prospetta già straordinario. Lunga vita a Karen!

Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

Free Fire lascia parlare le pallottole

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Compiti per il weekend – 09/12/2017

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