Racconti dall'Ospizio #96: Buon compleanno, Blast Corps!!!
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Sarò sincero: ho ricordi assolutamente meravigliosi di Blast Corps, uno dei miei giochi preferiti per una delle console che più ho amato in assoluto (quel Nintendone 64 che, a braccetto col Dreamcast, occupa un posto tutto speciale nel mio cuore), eppure, al tempo stesso, la mia memoria si fa piuttosto vaga quando c'è da entrare davvero nello specifico.
Che ci volete fare, un po' sarà l'età che avanza inesorabile, un po' sarà che non ci ho mai più voluto rimettere mano, anche e soprattutto per evitare di scoprire che uno dei feticci della mia adolescenza – no, non mi riferisco a Pamelona Anderson – potrebbe non essere invecchiato esattamente troppo bene – una fine invece comune a quella di Pamelona Anderson.
Quando giopep mi ha chiesto se avessi voglia di buttare giù qualche riga in occasione del ventennale dell'uscita europea del gioco, non ci ho comunque pensato neppure un attimo: i ricordi saranno pure sfocati, ma festeggiare un compleanno simile è sia un dovere che un onore. E, perché no, pure un'ottima scusa per tornare a parlare di un videogame che personalmente qualcosa me l'ha lasciata eccome.
Partiamo però dalle basi, e da un distinguo non banale: innanzitutto per me non è Blast Corps, ma sempre e comunque Blast Dozer, con quella bella “zeta” messa lì al centro che suona minacciosa e molesta quanto una testata nucleare montata su un tir impazzito.
È Blast Dozer perché quello è il nome in codice con cui il progetto di Rare si era fatto conoscere inizialmente al mondo, in quel memorabile Shoshinkai del 1995 che io ho vissuto e venerato come fosse il Paradiso sulla Terra, attraverso le pagine delle riviste dell'epoca, ed è Blast Dozer pure perché la mia copia del gioco era rigorosamente giapponese (e nella terra del Sol Levante il titolo era rimasto appunto quello, anche al momento dell'uscita effettiva).
Ricordo bene di averlo acquistato al lancio, durante la primavera del '97, da Micromedia, uno storico negozio di Milano da cui ero solito fornirmi nelle circostanze speciali: quattordici anni, il viaggio in treno in compagnia del mio migliore amico, duecento-sudatissime-mila lire bruciate in un lampo, il ritorno speso ad osservare ogni singolo millimetro della confezione, ogni minimo dettaglio, ogni ideogramma (specie quelli sul cartoncino col riepilogo dei controlli, grande esclusiva delle edizioni nipponiche che mi ha sempre fatto impazzire).
I sogni di un ragazzino, le fantasie di chi vuol sentirsi già grande – l'N64 era la mia prima vera console d'importazione, quella della consapevolezza di chi aveva capito di amare i videogame molto più di tanti suoi altri coetanei – ma anche un grande salto nel buio: allora non esistevano certo le anteprime, i video e la mole sovraumana di informazioni disponibili oggi, e del gioco in realtà si sapeva abbastanza poco, se non che si trattasse di un arcade con visuale isometrica e una bizzarra enfasi sulla distruzione degli scenari (che per uno che aveva adorato Rampage già poteva essere un ottimo punto di partenza). Ma, diciamocelo, non potevo mica non fidarmi di quella Rare che aveva saputo regalarmi emozioni indimenticabili con Donkey Kong Country prima e soprattutto con Killer Instinct poi, in sala giochi.
E infatti, una volta tornati a casa, la meraviglia, l'estasi: esplosioni come non se ne erano letteralmente mai viste (con fiammate azzurre, verdi e di altre tonalità improbabili che davvero mozzavano il fiato per la realizzazione tecnica, esaltando alla grande l’anti-aliasing del Nintendone), i dollari del conteggio dei danni provocati in costante incremento, le ambientazioni ridotte in macerie, i mezzi pesanti via via sempre più assurdi, la stupefacente mappa con il pianeta Terra ricreato in tre dimensioni. Quanta bellezza, quanto delirio senza troppa logica.
Era un gioco strano, Blast Dozer, un gioco certamente diverso dal solito. La folle premessa iniziale – quella di liberare il percorso per un camion fuori controllo che trasportava una testata nucleare – lasciava infatti spesso e volentieri spazio ad altro, a divagazioni sul tema che si traducevano in gimcane d’abilità e bastardissime lotte contro il tempo (vedasi ad esempio il livello dentro al vulcano, con il robottone col jetpack da pilotare con una perizia mostruosa mentre si distruggevano alcuni bersagli). E poi come dimenticare la varietà, altro grande pregio della produzione Rare? Ti capitava di iniziare il livello con un’auto da corsa, di usare un treno per spostarti da tutt’altra parte e arrivare nei pressi di una ruspa, per poi concludere lo stage con un furgoncino in stile A-Team. Scoprendo, non senza sorpresa, che alla fine tu stavi controllando un minuscolo ometto verde che poteva spostarsi da un veicolo all’altro, piuttosto che i mezzi stessi.
Questa sperimentale eterogeneità di fondo, questa dissacrazione iconoclasta del 3D – che all’epoca era molto più incentrato sul creare ed esibire baldanzosamente poligoni piuttosto che sul distruggerli – e più in generale quella sua immediatezza arcade ma alle volte anche figlia di puttana mi avevano fatto profondamente innamorare di un action sui generis come Blast Dozer, dandomi oltretutto modo di vivere momenti bellissimi in compagnia del mio già citato amico (perché ce lo eravamo goduti insieme, passandoci di mano in mano il controller-tricorno durante i passaggi più complicati e facendoci coraggio a vicenda, fino ad arrivare al formidabile livello bonus ambientato sulla luna).
E allora tanti, tantissimi auguri, Blast Dozer: oggi, quasi sicuramente, non sarai più quello di una volta, ma io ti voglio sempre e comunque un sacco di bene, oggi come allora.
PS
Per pura informazione di servizio, vi comunico che Blast Corps è contenuto all’interno di Rare Replay, la collezione di vecchie glorie Rare uscita su Xbox One nel 2015. Io, nonostante possieda una copia della stessa, non ho mai avuto neppure la più remota tentazione di rimetterlo su… ma magari qualcuno potrebbe volerlo recuperare (e, nel caso, di certo quella potrebbe essere la soluzione più agevole per farlo). Forse, però, per tanto così, meglio il porno di Pamelona Anderson, vai a sapere.