Samurai Gourmet: il gusto rotondo dell’andare in pensione
La traduzione italiana di Samurai Gourmet è palesemente sbagliata. A parte che… “Samurai da intenditore” cazzo vorrebbe dire? Non rende l'idea. “Samurai buongustaio” sarebbe più azzeccato, perché “gourmet” - per l’appunto - significa precisamente (cit. Nabu) “dal gusto rotondo”.
“Dopo essere andato in pensione, ha perso il titolo d’impiegato (eh, sai che perdita!) e il sostegno della sua azienda (eh, sopprobblemi). Takeshi Kasumi, 60 anni (ho fatto 63, lascio?). Questa storia narra di un normale uomo di 60 anni (con una moglie nettamente più giovane e piacente, che al di là dei 12 episodi della serie lo tradisce chiaramente con l’istruttore di yoga), che è aiutato da un samurai senza padrone (e soprattutto molto immaginario) a mangiare liberamente senza essere ostacolato. La fantasia di un buongustaio.”
Ecco, vedi?
Ispirato al manga Manga-han Nobushi no Gourmet di Masayuki Qusumi e Shigeru Tsuchiyama, Samurai Gourmet narra le gesta (LOL) di un tipico impiegato frustrato, ormai giunto in pensione, destinato a trascorrere le proprie giornate senza uno scopo preciso… se non fosse per la sua insaziabile fame. E allora decide di compiere l’intentato, l’inaudito, ciò che mai prima dell’età pensionabile gli era stato concesso: bere una birra a pranzo (paffefco!), mangiare quel cazzo che vuole, sperimentare nuovi ristorantini e riscoprire vecchi sapori d’infanzia.
Samurai Gourmet è la rivincita in salsa “live action” (piuttosto che cinematografica) del tipico salaryman giapponese, che finalmente non ha più niente da perdere/dimostrare e ora può liberarsi dalle opprimenti etichette sociali della chiusissima e compostissima società nipponica. Il meccanismo che alimenta il desiderio di scoperta è talmente scemotto e candido che fa il giro e funziona, senza disturbare più di tanto: un samurai immaginario, abbastanza sbronzo, si palesa nella fantasia del signor Kasumi e gli mostra come farsi valere nel sociale enogastronomico, scardinando ossessioni, repressioni e convenzioni che a Chieti non esistevano neppure ai tempi dei Marrucini.
E così, chiedendosi come agirebbe un valoroso samurai errante senza padrone, Takeshi Kasumi si fa coraggio ed entra qui, entra là, assaggia questo e assaggia quello, fregandosene (ma non sempre ci riesce) di etichette, ritenzione idrica e colesterolo. Cioè, pepe a volontà! Attenzione, però: non è che di colpo diventa una merda satolla che si mette a pisciare per strada o caga davanti alle scuole, eh! Semplicemente, se ha voglia di una crocchetta di manzo alle dieci di mattina, ne compra una e se la gusta intensamente, e frechete. Scandaloso!!! Gradirebbe dello sgombro fresco a merenda? Porcellone!!! Ma in fondo che ci vuole?
Una remissiva accettazione e miliardi di sapori sopiti in nome degli obiettivi aziendali, qui, diventano fame, scoperta, vivissima esaltazione, rivalsa, sazietà.
Ogni breve episodio (12 in totale, in giapponese con sottotitoli in italiano) porta Takeshi in giro per Tokyo e dintorni alla scoperta di piccole gemme culinarie, posticini adorabili (o terribili) nei quali non sarebbe mai entrato in giacca e cravatta. Il comparto gastronomico è profondamente rispettato (molto più di quanto ci si potrebbe aspettare), approfondito ed esaltato come minuscole pepite di Chef’s Table da consumare in binge watching. Oppure, è come Midnight Diner: Tokyo Stories, ma più dolce, ingenuo, candido e monoprotagonista.
Ogni morso di yakitori, ogni risucchio di ramen e ogni sbacchettata di succosa carne wagyu si tramuta in un orgasmo commovente, con lievi sfumature di ridicolo nipponico. Ogni boccone, insomma, sblocca un mondo interiore e non ancora perduto, fotografie dimenticate, sapori ancestrali che sfondano la parete di Netflix e diventano languorino express o un biglietto A/R per il Giappone.
Samurai Gourmet è una serie delicata, genuina, piccola-piccola, onesta e pura, che gioca amabilmente con insicurezze e consapevolezze, confondendo malinconia, disinvoltura e un sottile velo di divertissement. Perché dovrebbe fregarcene delle conquiste – all’apparenza minime, insignificanti e tanto distanti dalla cultura occidentale – di un sessantenne che riscopre il gusto di non avere più un cazzo da fare? Perché nel loro piccolo, e al netto delle differenze culturali, possono diventare facilmente universali.
Evviva la pensione!
Ciao, sono Nabu. Fotone si è dimenticato di scrivere questa roba qua in fondo, ma d'altronde cosa c'è da dire di più, dopo che ha già detto "Netflix-giapponese-sottotitoli in italiano"? Niente. A parte che dopo 27 anni non ho ancora capito che cazzo sia il gusto rotondo, e secondo me pure Fotone se lo sta chiedendo. Effrechete!
Ciao, io invece sono Fotone. L'ansioso Nabu non ha visto il tag "Draft", che indica che sarei tornato a correggere, modificare e fare aggiustamenti all'articolo. Tipo questa aggiunta. E comunque meglio così, perché non avevo niente da aggiungere, oltre al fatto che ho guardato Samurai Gourmet due volte, la prima da solo e la seconda con Myriam. E la seconda mi è costata un ciccio-ordine su Amazon di ciotole, scodelle, libri di ricette e ingredienti orientali. E appena consegnano, me ne vado in pensione, uuuuyeah!!!
Ciao Fotò. Il tag l'ho visto, ma di solito nessuno poi lascia la roba "needs review" e allora pensavo fosse a posto così. E poi comunque c'avevo voglia di leggere, quindi più che ansia era curiosità. Salutami Myriam, e ricordale che se fa acquisti su Amazon partendo da questo indirizzo qui, una piccola percentuale di quello che spende andrà a noi, senza nessun sovrapprezzo per voi. Che poi saresti tu.
Ciao, sono giopep. Volevo ricordare a entrambi che, se non c'è un cazzo da scrivere, questa parte in corsivo non è obbligatoria per film e serie TV. E volevo segnalare a Nabu che il link generico ad Amazon puoi copincollarlo dal banner lì a destra o dal menu a sinistra, pirletta.
Ciao, sono Fabio. Fotone, fatti dire da Nabu quanto è buono il mio okonomiyaki.
Qui giopep. Volevo ricordare a tutti che da queste parti c'è Kotteri Ramen.
Ti ricevo forte e duro, giopep. Qui Kenobbio. Un giorno verrò a piedi a Parigi per andare da Kotteri. Questa sera invece vado in un ristorante che si chiama "L'oasi giapponese", che sembra il nome di un posto dei fumetti del Dottor Pira. Una volta ci sono andato con Babich ma siamo andati via prima di sederci perché c'era un suo stalker. True story.
Ciao, sono di nuovo Fotone. Comunque, arrosticini e panini di Centrale Trivigliana. E il cibo giapponese se ne va direttamente in pensione, a mangiare minestrine e purè.