Con Strafe mi batte forte il gore
Strafe è un gioco che ti osserva dall'alto in basso, quasi con disprezzo, convinto com'è che infine sarà sempre lui a spuntarla. Un concetto semplice, che prova a inculcarti a furia di ceffoni e poderosi calci nel sedere, perché non sei degno di lui, punto e basta. Novello Catellani, ti sfonda i timpani a suon di “coglionazzo”, ci prova in ogni modo a demoralizzarti, fino al momento in cui scatta qualcosa, forse un improvviso moto d'orgoglio, vai a sapere. Non dico che da quell'istante i ruoli si invertano, perché non accadrà mai, eppure inizia a farsi strada la convinzione che oltre al game over ci sia qualcosa di più. Lo affermo a ragion veduta, dall'alto di diverse ore trascorse in questo delirio di frattaglie e adrenalina, declinato in un FPS dall'estetica nostalgica e all'insegna dello spigolo vivo. In realtà Strafe non è sparatutto in soggettiva nudo e crudo, ma un roguelike spavaldo, tosto e fedele alla linea.
Con la prospettiva di un roseo avvenire, un soldato senza nome – in fondo è solo carne da macello - viene spedito a bordo di Icarus, una stazione orbitante da cui nessuno ha mai fatto ritorno. Per fuggirne, dovrà risalire una china di sangue e budella, sgomitando fra aberrazioni della genetica e mutanti di ogni risma, creature talvolta anche senzienti e quindi ancor più pericolose. Una tonnara a dodici livelli, divisi in quattro aree: si parte dalla claustrofobica astronave e si giunge a un avamposto che strizza l'occhio ad Aliens, passando per l'immancabile superficie di un pianeta sconosciuto. A contestualizzare il tutto ci pensa un tutorial interattivo, introdotto da un filmato goliardico, una gustosa parodia dei FMV che per anni hanno imperversato su CD-ROM. Retaggio di un passato più analogico che digitale, il video è stato riversato su un nastro da discount, senza curarsene più di tanto. È una vignetta satirica, sagace e pungente.
In Strafe si spara parecchio e lo si fa con gusto, maciullando qualsiasi cosa si palesi sullo schermo. Non è affatto un solo fiorir di frattaglie, perché il gioco ha solidi argomenti, avrebbe tantissimo da dire anche se fosse privato del valore estetico della violenza. Ogni sessione si apre con una decisione chiave: nonostante ci siano a disposizione tre armi, la recluta può sceglierne soltanto una, pescando fra il fucile a canne mozze, un mitragliatore con annesso lanciagranate e una railgun al gusto di Quake III Arena. Tre strumenti di morte, per altrettanti stili di gioco. Perk e bonus assortiti ne migliorano le performance, aumentando la precisione di tiro, la potenza dei proiettili, la loro velocità e la capacità del caricatore. Appositi distributori automatici – sono merce rara – ne cambiano l'aspetto, aggiungendo una canna supplementare o un motore rotativo, che fa tanto gatling gun. C'è davvero di che sperimentare, fidatevi. Dal canto mio, dopo un breve flirt con il railgun, ho dapprima imbracciato lo shotgun e infine ho trovato la pace dei sensi con la restante Cenerentola, la più versatile del lotto. Capita anche di imbattersi in qualche arma supplementare, ma non fateci troppo affidamento: esauriti i colpi in canna, escono mestamente di scena, da brave comparse. Le più ambite - più uniche che rare - vestono Strafe di nuovo e lo trasformano in qualcosa di incredibilmente diverso. Il gioco Pixel Titans strizza così l'occhio a Devil Daggers e SUPERHOT, assumendone alcuni tratti distintivi. Quali? A voi scoprirlo, ho già detto fin troppo.
Al rendere il tutto imprevedibile ci pensa l'immancabile algoritmo procedurale, la mano invisibile che crea i livelli, pescando da un set precostituito di pezzi. Alla lunga emerge una piacevole sensazione di déjà vu, quasi rassicurante nel suo piccolo. A dispetto di questa ricorsività, non è raro perdersi tra anfratti e corridoi: viene così in parziale soccorso la mappa a schermo, stilosa ma non sempre leggibile. Sinceramente avrei preferito una soluzione più spartana, magari sulla falsariga del buon vecchio DOOM. Fra una mattanza e l'altra, c'è spazio anche per alcuni diversivi, semplici rompicapo che non spezzano affatto l'azione e danno un pizzico di brio al tutto. Uno è gustosamente macabro e verte intorno a una porta a tenuta stagna, dotata di una serratura a scansione oculare: non ci sono bulbi da cavare, ma teste di cadavere da portarsi appresso, nemmeno fossero dei portachiavi.
Strafe è un gioco incredibilmente appagante, ma richiede impegno, passione e dedizione. Bisogna insistere e stringere i denti, senza mai darsi per vinti. Il livello di difficoltà è ben calibrato e l'azione è sempre incessante, al punto che non c'è un attimo di respiro. Seppur mascherato da FPS, Strafe resta un roguelike a tutti gli effetti e rispetta fedelmente i canoni del genere. La gestione delle risorse è un elemento cruciale e non mi riferisco solo alle munizioni a disposizione, che talvolta scarseggiano. L'oro di Icarus sono i frammenti di metallo, i rottami che un apposito macchinario trasforma in proiettili e armature. Nulla si crea o si distrugge, tutto si ricicla: sta a voi scegliere in che modo, soppesandone pro e contro.
Allo stato attuale, Strafe è privo di un sistema di salvataggio, non c'è modo di sospendere la partita in corso per poi riprenderla in un secondo momento. È un difetto che non mi infastidisce più di tanto, ve lo dico sinceramente: sono un fan degli shoot'em up e sono abituato alle lunghe sessioni di fronte allo schermo, non mi spaventano affatto. Per dovere di cronaca, Pixel Titans ha già annunciato di volerci mettere una pezza, seguendo così l'esempio di Enter the Gungeon, che ha colmato la medesima lacuna con il Supply Drop Update, distribuito a dieci mesi di distanza dall'uscita. Quanto ci vorrà? Al momento non è dato saperlo. Dal canto mio, per completare Strafe ci impiego come minimo un'ora e quaranta minuti, passando in rassegna tutti i livelli. A rendere il tutto meno ostico (ma ovviamente c'è l'inghippo) ci pensano i teletrasporti, collocati all'inizio di ogni terzina. Sfortuna vuole che qualcuno li abbia distrutti e che tocchi a voi rimetterli in sesto, un'operazione semplice solo sulla carta, visto che i pezzi di ricambio – eccezion fatta per il primo di ogni serie, in cui è impossibile non imbattersi – non sempre appaiono fra i detriti. Decide tutto l'algoritmo procedurale, pretendetevela con lui. A prescindere dalla dea bendata, i teletrasporti sono dei placebo: sì, partire da un punto intermedio con i punti ferita al massimo e l'armatura intatta è allettante, ma si è nudi e crudi, sprovvisti di perk e bonus.
C'è tanta passione dietro a Strafe, non avete idea di quanta: Pixel Titans, un team indie davvero minuscolo, ha dimostrato fino a questo momento una grandissima umiltà. Nel momento in cui scrivo queste righe - praticamente a un mese di distanza dalla pubblicazione del gioco - sono già state distribuite ben cinque patch, corposi aggiornamenti che hanno migliorato le performance del motore grafico e hanno mitigato in parte il livello di difficoltà, rendendo i primi tre livelli meno spietati. Pixel Titans è sempre sul pezzo, legge i feedback degli appassionati, prende nota dei loro suggerimenti e poi si rimette al lavoro. Un atteggiamento a dir poco encomiabile, lasciatemelo dire.
E allora sì, lo ribadisco per l'ennesima volta: adoro Strafe, ne vado matto. Ne apprezzo l'idea di fondo, i suoi spigoli vivi e le sue piccole incertezze, quelle che lo rendono un gioco vero e sincero. Per me è una piccola chicca, da non lasciarsi sfuggire.
Ho giocato a Strafe grazie a un codice fornito da Devolver Digital, scaricando il tutto da Steam. Lo trovate anche su GOG, nel caso siate allergici ai DRM. Il prezzo del biglietto è di 19,99 €. Prima di stilare la recensione, ho accumulato 42 ore di gioco e non intendo fermarmi lì. Il test è stato condotto su un sistema dotato di processore AMD FX 8320, 8 GB di RAM e una scheda video AMD Radeon R9 270X. A livello di codice, il motore grafico incespica vistosamente solo con Murderzone, l'ormai immancabile modalità orda. C'è qualche piccolo bug, ma niente di grave, il gioco è stabile e funziona a dovere. C'è in cantiere una versione per PlayStation 4, ma fossi in voi non me ne curerei più di tanto: Strafe si esprime al meglio con mouse e tastiera, non si scappa. Chiudo con un plauso alla colonna sonora, davvero strepitosa nelle sue sfumature quasi carpenteriane.