ARMS, io ti ho giocato tutto sbagliato
Tra le tante belle cose che ci ha portato il 2017, c’è stato anche ARMS, la nuova IP di menare uscita lo scorso 16 giugno in esclusiva per Nintendo Switch. Tuttavia, a me il gioco non è arrivato assieme al sole della tarda primavera, né tantomeno col caldo dell’estate, ché ero troppo preso da The Legend of Zelda: Breath of the Wild, Sonic Mania, Thimbleweed Park, Mario Kart 8 Deluxe e qualche altra gemma incastrata in un anno che probabilmente passerà alla storia (dei giochini).
Comunque no, a me ARMS lo ha portato Gesù Bambino come strenna tardiva qualche giorno dopo Natale, ché si vede sono stato bravo, OK, ma non bravissimo. Per questo e altri motivi ci sto giocando a singhiozzo da poco meno di un mese, e considerato che il mio gennaio è partito col botto a livello di sbattimenti e rogne, sono riuscito appena a sfiorare la superficie del gioco. Così, per onestà, vi dico subito che qui di seguito non troverete una recensione né tantomeno una disamina approfondita del picchiaduro di Nintendo EPD, ma più che altro una fila di impressioni e considerazioni a caso (tanto per cambiare).
Del resto, il gioco è uscito da un bel po’, e per le recensioni potete sempre rivolgervi tranquillamente altrove, oppure fidarvi della firma videoludica di riferimento di Davide Soliani.
Tornando ai fatti miei e al mio primo impatto con ARMS, direi che si può riassumere in una frase: «Ma perché diavolo non ci hanno pensato prima?».
Essì, perché se da un lato l’idea di fabbricare un picchiaduro a incontri con la visuale in terza persona di spalle ai personaggi sarà anche desueta, ma non certamente inedita, quella di appoggiare l’intero sistema di combattimento sul controllo delle traiettorie dei colpi attraverso braccia che si allungano come certi portachiavi degli anni Ottanta, beh, poteva venire in mente soltanto ai designer di Nintendo. Per metterla giù meglio (o peggio, a seconda): immaginatevi un mix tra Punch-Out!! e le manine gommose allungabili delle patatine, disegnato con uno stile a metà tra quello di Splatoon (da cui ARMS ruba anche qualche altra malizia) e un episodio di Yattaman.
Ma se da Yattaman e Splatoon ARMS mutua soprattutto lo stile scanzonato, i personaggi demenziali e i gadget ipertrofici, per quanto riguarda invece il gusto per le traiettorie e per certe dinamiche di combattimento spericolate mi ha ricordato - del tutto a nesso, quindi potrei tranquillamente sbagliare - alcuni aspetti della serie Mario Kart.
Detto questo, al netto delle varie influenze, ARMS è senza dubbio un titolo fresco e originale, nonché un picchiaduro purissimo, con la sua rosa di quindici personaggi (dieci iniziali e cinque aggiunti durante i mesi successivi al lancio; inutile dire che col mio ingresso tardivo mi sono beccato il set completo fin dall’inizio), le arene, i round a tempo, i livelli bonus, i sottogiochi eccetera eccetera. C’è naturalmente la campagna single player assieme a qualche altra modalità sfiziosa, ma è chiaro che il gioco sboccia nelle competizioni in multiplayer, in locale ma soprattutto online, che nel piccolo della mia connessione da due soldi ho trovato solido veloce e senza LAG (ma forse ho avuto culo, oh!). In ARMS è presente anche una forte dinamica di progressione: attraverso un minigioco a gettoni, è possibile collezionare un vasto set di armi dagli effetti più svariati e pirotecnici. Si va dalle bombe gelatinose ai guanti di ghiaccio, fino alle rondini robot, ma la lista potrebbe proseguire per un bel pezzo.
Tuttavia, al di là dei gadget e dei personaggi, ARMS respira davvero nella sua prospettiva e nelle meccaniche base, con quel “dettaglio” delle braccia allungabili: ancora una volta, a Nintendo è bastato aggiungere una molla, cambiare una virgola a un concept di trent’anni fa per rivoluzionarlo. Così, come se i designer fossero semplicemente saliti su un tavolo e avessero preso a osservare le cose da un punto diverso, notando dettagli nascosti ai più.
Inutile dire che il concept influenza lo svolgimento del gioco e soprattutto il dialogo col giocatore: diversamente dalla maggior parte dei picchiaduro sulla piazza, che si sono evoluti per addizione partendo dal cliché di Street Fighter II, strato dopo strato, puntando su colpi e tecniche sempre più complesse, ARMS ha avuto il coraggio di fare un passo indietro e ripartire dalle basi. Per “diventare forti”, qui, non serve padroneggiare chissà quali combinazioni di tasti, ma semmai avere un ottimo controllo di quelle due o tre cose che il gioco mette sul piatto fin dall’inizio.
Poi, ripeto, le combinazioni tra armi e personaggi possono fare parecchia differenza, ma non tutta la differenza, ecco. E nonostante ancora non mi sia riuscito di scandagliare per bene la profondità del sistema di combattimento, mi sento di affermare che il titolo di Nintendo premi - o perlomeno non ostacoli - un’approccio di gioco libero da parte dell’utente, paradossalmente svicolandolo persino dalle tante variabili presenti, se per caso non dovessero incontrare il suo sfizio.
E, a proposito della libertà d’approccio: mi sono tenuto per ultima una piccola confessione (che è un po’ un’ammissione di colpa). È evidente come ARMS sia stato concepito completamente a favore dei Joy-Con e relativi sistemi di movimento e rotazione, che permettono al giocatore di “sovrapporsi” al proprio avatar. Ciò nonostante, vuoi per la pigrizia, vuoi perché non sono mai stato in sintonia con certi gimmick di Nintendo (gimmick che qui hanno tutto il senso del mondo, eh), preferisco utilizzare il Pro Controller. Capisco che in molti potrebbero trovare la cosa scandalosa, ma scandalo per scandalo, tenete conto che prediligo il joypad pure per i vari Tekken e Street Fighter - adotto la medesima configurazione dei tasti dai tempi del Super Nintendo - e ho comunque battuto Colaneri, che fa tanto il gradasso con l’arcade stick. :D
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Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.