Xenoblade Chronicles 2 è la gemma scheggiata (e un po' sfigata) del 2017
Dandogli un po’ di tempo per carburare e ingranare la quarta, Xenoblade Chronicles 2 è stato una fra le sorprese dell’anno, soprattutto per me, normalmente così restio a voler concedere ottanta o cento ore di gioco a un RPG. La speranza era di vedermi ricompensato con qualcosa di unico, trascinante e coinvolgente, qualcosa da non voler lasciare anche quando il contatore del tempo di gioco raggiunge inesorabilmente il suo limite fisico. Il mio azzardo è stato largamente ricompensato, considerando che, mentre scrivo queste righe, mi appresto ad affrontare il boss finale e non ho alcuna intenzione di smettere di giocarci, anche a storia completa.
Il world building, ovvero la capacità di costruire un mondo coerente, coeso, interessante e vivo, è qui ad altissimi livelli. Alrest è un mondo che vive letteralmente con la testa fra le nuvole, con i suoi abitanti costretti a sopravvivere sul dorso o all’interno di gigantesche creature primeve, che si muovono lentamente in un mare di nubi, orbitando attorno al punto focale di questo mondo, quell’Albero del Mondo che costituisce anche la destinazione ultima dei protagonisti della storia. Una sorta di versione atomizzata del Mondo Disco di Terry Pratchett, insomma. Questo artificio narrativo permette al gioco di regalare alcune fra le più belle vedute che abbiamo mai potuto ammirare in un gioco: ogni screenshot è potenzialmente uno sfondo del desktop. Ecosistemi e biomi, diversi e completi, si sviluppano sulle spalle di questi giganteschi e misteriosi titani, che con i loro arti e la loro testa spesso incombono direttamente sul giocatore, a voler ricordare effettivamente dove siamo. Il risultato mi ha lasciato senza parole più di una volta, fermo a girare la telecamera per qualche istante per godermi al meglio il paesaggio prima di ricominciare l’avventura. Quanta poetica bellezza in quelle cascate di nubi che si stagliano su un cielo terso, da cui fanno capolino le forme frastagliate della colossale creatura che ho sotto i piedi.
Il tutto fa da cornice a una storia epica ed esistenziale, molto più interessante e toccante di quanto avrei potuto immaginare, in cui umani e Gladius (le vere e proprie armi viventi che popolano il mondo di Alrest) si uniscono per trovare un senso ultimo alla loro esistenza. Momenti tragici e divertenti si alternano a passo regolare e con buon senso del ritmo. Stupisce solo come in tutto questo i creatori abbiano voluto comunque sfociare in un talvolta becero fan service, sia nel design dei personaggi, sia nelle situazioni, che a volte sembrano prese di peso da un anime di serie B. Tanto per fare un esempio, non era affatto necessario conciare in quel modo la protagonista, Pyra, una Gladius potentissima e dall’animo tormentato, e perdipiù farle recitare, pur sporadicamente, battute prese pari pari dal manuale della perfetta “waifu”. Il tutto senza voler parlare delle dimensioni francamente eccessive delle sue curve, probabilmente al limite del ridicolo. È un personaggio scritto e caratterizzato bene, e messo in scena ancora meglio, grazie a un doppiaggio inglese quasi impeccabile. E allora perché viziarne le qualità cadendo nelle più classiche trappole del fan service? Per quanto scelte stilistiche del genere facciano cadere spesso e volentieri il fondamentale velo del coinvolgimento, non mi sento di poter dire che rovinino irrimediabilmente l’esperienza. Ma a volte mi hanno fatto sentire profondamente in imbarazzo, di quella vergogna empatica che si prova quando qualcuno si mette in ridicolo davanti ai nostri occhi. Quindi siate pronti anche a questo. Forse esagero? Forse anche questo fa parte dei topoi del genere, da accettare insieme a tutto il resto?
Fortuna che l’essenza ludica del gioco c’è ed è una goduria. Il sistema di combattimento è indubbiamente ostico di primo acchito e il gioco fa un lavoro abbastanza pessimo nel cercare di spiegarne le sue intricatezze, ma una volta presa la mano, è tutta un’esplosione dinamica di attacchi al momento giusto, assalti combinati e numerini sempre più grandi che compaiono a schermo, con indubbia soddisfazione del sottoscritto. Nessuna battaglia è scontata e il gioco costringe a stare sempre all’erta per reagire a situazioni impreviste, riuscendo a premiare il giocatore che si sia preso la briga di esplorarne le meccaniche con combinazioni decisamente soddisfacenti.
E che musica, amici! Sinfonica quanto basta ma con quel tocco hard prog (tanto caro ai Final Fantasy) per le sezioni più concitate, senza mai sfociare in improbabili contaminazioni hip-hop, come capitava inspiegabilmente in Xenoblade Chronicles X. La colonna sonora, qui, è dritta, potente, epica, tecnica, con le sezioni di archi che si sposano inspiegabilmente bene con una grancassa suonata a doppio pedale. Non ve ne libererete mai più!
Ci sarebbe davvero tanto da parlare delle tantissime sfaccettature di un prodotto del genere, così ampio e variegato, complesso ma coeso in un universo narrativo indimenticabile, ma vi invito caldamente a pagare il prezzo del biglietto e visitare Alrest di persona, se questo tipo di esperienza è nelle vostre corde. Xenoblade Chronicles 2 è una gemma lungi dall’essere perfetta ma che forse avrebbe meritato maggiore attenzione, in un anno fin troppo ricco di prodotti eccezionali. Fortuna che gli sviluppatori hanno già annunciato che supporteranno a lungo il gioco, non solo con DLC ma anche con contenuti gratuiti, fra cui una modalità New Game + in uscita a breve, quindi avrò più di una scusa per tornare ad Alrest in futuro. Forse, dopo aver spolpato per bene Persona 5, dovreste trovare anche voi una scusa per tuffarvi nel mare di nubi di Alrest.
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Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.