Into the Breach è lo strategico dell'anno
A volte i videogiochi sono un rifugio. Se ripenso ai momenti più difficili della mia vita, insieme al dolore, ricordo quei momenti di escapismo digitale, passati stringendo un mouse, una console portatile, un controller. Quando mi bullizzavano alle medie, tornavo a casa e giocavo a Sim City 2000. Durante la prima malattia di mio nonno, mi sdraiavo sul letto e innaffiavo i fiori di Animal Crossing su DS. In questi giorni, con la nonna novantenne in ospedale, torno a casa e mi rinchiudo dentro a Into the Breach. Uno strategico spietato, nel quale ogni errore si paga e non si annulla ma, in caso di game over, si cambia timeline e si riprova da capo. Catartico.
Into the Breach è un capolavoro di design strategico. Unisce la semplicità e lo spessore nintendiano di Advance Wars, la rapidità di un puzzle game e la cattiveria rigiocabile di roguelike come The Binding of Isaac. Non a caso, nasce dalle stesse menti malefiche che ci hanno regalato FTL - Faster Than Light. Il concetto è semplicissimo: si gestisce una squadra da tre unità, tutte con abilità e caratteristiche radicalmente diverse, in mappe piccolissime, da otto per otto caselle. Ogni volta che un'unità nemica colpisce uno dei palazzi da proteggere, l'indicatore della "grid" scende di un'unità. Quando arriva a zero, è game over e l'unica alternativa è scappare in un'altra timeline, nel disperato tentativo di respingere l'invasione. E chiariamoci subito: questa cosa succede spesso.
Amo i giochi che non hanno paura di essere difficili, e Into the Breach ha il coraggio di esserlo da subito, senza chiedere scusa, senza vaselina. Già nella prima missione, quando un tutorial leggero ed elegante spiega le basi del gioco, può finire tutto in tragedia. Nelle missioni successive si realizza che lo spawn dei nemici è spietato e che perdere palazzi e vite umane è facilissimo. Così facile che spesso e volentieri gli obiettivi secondari vengono ignorati bellamente, anche se sono fondamentali per accumulare risorse e sopravvivere alle fasi successive, che prevedibilmente diventano sempre più violente e spietate. Nel caso non si capisse, mentre batto sulla tastiera ho gli occhi a cuoricino.
Oltre che dalla raffinatezza del design, che crea continuamente situazioni nuove e intriganti partendo da pochissimi elementi base, sono completamente rapito dal ritmo delle partite, che fanno scattare il virtuoso/malefico meccanismo del "Ancora una missione, poi stacco". Se vi piacciono gli strategici a turni, vi avviso subito che rischiate di cadere in un pozzo simile a quello di Civilization, aggravato dalla consapevolezza che una campagna può finire in poco più di un'ora. Anzi, è più probabile che finisca dopo dieci minuti, perché quando ti muore il tuo pilota preferito alla seconda missione, ragequitti e chiudi il gioco. Però poi lo riapri, fai partire un'altra campagna, ti rendi conto che puoi sbloccare altre squadre, provare altre armi, potenziare diversamente i tuoi mech...
Ah, sì, perché poi ci sono i mech, che nel mio cuore infantile sono ancora la cosa più bella del mondo. Mech fighissimi, disegnati con uno stile pixelloso che piace persino a un fondamentalista del retrogaming come me. Insomma, è tutto giusto.
Sono felice di potermi rifugiare dentro Into the Breach. Sarà che il momento mi rende sentimentale anche verso i giochi indie, ma non riesco a trovargli un difetto e non starò certo a trovarlo col lanternino per sembrarvi un critico severo. Compratelo, amatelo, fatevi prendere a pisellate negli occhi dagli insetti.
Ho giocato a Into the Breach con un codice Steam ricevuto dagli sviluppatori, entrando in uno stato di catalessi e uscendone solo quando ero costretto ad andare a letto. Ho finito qualche volta la campagna, ho sbloccato quasi tutte le squadre e sono in scimmia durissima.