Racconti dall'ospizio #119 - Conflict: Freespace, l'ultimo grande simulatore spaziale
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Quando sono andato al cinema a vedere L’Impero colpisce ancora, sono uscito dalla sala con due certezze. Avevo cinque anni scarsi, ma ero sicuro che prima o poi mi sarei costruito un AT-AT in LEGO, e che prima o poi sarei salito nel cockpit di un caccia stellare. Per la prima ci ho messo un pomeriggio di duro lavoro usando i pezzi gialli del primo set del castello – non vi dico fare le ali, ho dovuto usare dei sistemi illegali. Per la seconda, una decina di anni abbondanti, ma poi ci sono riuscito alla grande.
Certo, Elite mi ha dato un assaggio di quello che voleva dite viaggiare nello spazio, e mi ricordo ancora gli anni di purgatorio accumulati nel tentativo di effettuare il dock senza l’auto-coso nella stazione spaziale che girava come 2001: Odissea nello spazio. Una roba che, signori miei, quando leggo le vostre paturnie da millennials sulla difficoltà di Dark Souls, mi spunta proprio il sorrisino del veterano dell’EMS e dell’XMS, che già far partire i giochi era da achievement G100.
Ma è stata Origin, quella di Ultima (che, come sapete, è un gioco a cui voglio proprio bene) ad avermi fatto salire per davvero su un caccia stellare con Wing Commander, nel 1991. Lì ero un pilota fresco di accademia che combatteva contro i Kilrathi, alieni che assomigliano a delle tigri: per la prima volta, potevo sfrecciare in coda a un nemico, scaricargli addosso le mie armi, eseguire un “tonneau” e poi blastare quello che mi si era messo in coda. E poi, da Wing Commander 3 (che introdusse attori veri per le scene d'intermezzo, una roba che oggi fanno anche gli indie ma al tempo era molto particolare), c’era Mark Hammill sul ponte comando.
Nel 1993 è arrivata LucasArts, con il primo X-Wing. Ragazzi, lì c’erano i veri caccia di Guerre Stellari: si iniziava con gli X-Wing, gli A- Wing e gli Y-Wing e c’era anche l’espansione con i bombardieri pesanti, i B-Wing, quelli de Il ritorno dello jedi. Mi ricordo ancora oggi quante volte avrò rifatto la quarta missione (Oggi, la quarta missione è ancora il tutorial, generalmente, quello in cui ti dicono “ora premi LB per sparare i missili, quel tasto che è lì sopra il joypad, dai che ce la fai, siamo tutti con te qua a Seattle, ti stiamo guardando!”).
A fine anni ’90, poi, arrivò Descent: FreeSpace. Finì sui nostri radar redazioniali perché c’era il “Descent” nel titolo ed essendo di Interplay, il collegamento con i Descent ambientati nei cunicoli sotterranei risultava immediato. Invece no: alla fine si scoprì che il nome era dovuto (al di là di un evidente acchiappo marketing) al fatto che Freespace era il nome di una utility per PC, e per non aver rogne di copyright, gli aggiunsero un prefisso che comunque male non faceva.
Freespace riusciva a riunire il meglio delle due serie di flight-sim: aveva una trama originale, accattivante a sufficienza per tenerti agganciato, e un sistema di controllo che funziona molto bene. La storia ti sparava al centro di un conflitto tra umani e Vasudan: nelle prime missioni ce la si duellava alla grande, a bordo di caccia spaziali che non avevano molto da invidiare agli X-Wing della LucasArts. A un certo punto, plot twist: arrivava una terza civiltà molto più forte e spietata, e terrestri e Vasudan dovevano dimenticare i dissapori precedenti per unire gli sforzi e vincere, o quantomeno sopravvivere alla nuova minaccia.
L’interfaccia di controllo era semplicemente ottima: non solo era possibile personalizzarla a piacere, ti faceva anche vedere quello di cui avevi bisogno: i designer, probabilmente, si erano studiati per bene Wing Commander e X-Wing. Si usavano molti missili, nel gioco, più che le armi laser e simili, o almeno questa era la mia chiave di lettura. Probabilmente non ero abbastanza bravo da riuscire a mettermi sempre in coda agli sfuggenti caccia nemici stile Barone Rosso, e quindi preferivo i missili, che davano più certezze anche con una mira approssimativa. Mi ricordo che la I.A. dei wingman era bella tosta e che potevo ordinare loro di attaccare punti particolari delle mega astronavi, per esempio, o che più di una volta mi hanno levato dai casini di loro iniziativa.
Dopo un solo anno, è arrivato il seguito, Freespace 2: grafica ancora più pulita e colorata, molte nuove missioni e un sacco di divertimenti alla Guerre Stellari. Purtroppo, da allora, il genere dei simulatori di caccia è un po’sparito, e questo per me è uno fra i misteri del settore dei videogiochi. Un po’ me lo spiego pensando che i tre publisher responsabili per i giochi citati in questo articolo (Origin, Lucasarts e Interplay) non sono finiti bene, ma resta il fatto che è un enorme “gap” nel mondo dei videogiochi. Oggi, se vogliamo salire sul cockpit di un caccia stellare senza doverci preoccupare della complessità e della completezza del reboot di Elite (comunque ottimo), ci sono solo dei giochi indie come CDF Starfighter o Eve Valkyrie, oppure le missioni “spaziali” di Star Wars: Battlefront II, anche se hanno un modello di volo che è descrivibile come un ferro da stiro semplificato, se paragonato a quello realmente “simulativo” di Freespace e soci. Chris Roberts (uno degli autori di Wing Commander) ci ha fatto sognare con l’annuncio dell’epico e gigantesco Star Citizen (e della sua componente single player Squadron 42), ma ormai sono passati sei anni e il gioco sembra ancora lontano persino dalla beta. D’altra parte, rigiocare oggi a Freespace non è un’idea del tutto astrusa: lo trovate su GOG e su Steam per dieci euro a capitolo e un joystick PC costa relativamente poco, Se poi scegliete la versione di GOG, potete scaricare FreeSpace Open Installer, che migliora la grafica, ed è possibile arricchire il gioco con i mod creati dalla community (ci sono total conversion ispirate a Battlestar: Galactica e a Babylon 5, oltre che la demo di una TC di Wing Commander). Giocato oggi, con un joystick anche solo discreto, ha ancora molto da dire, a patto di chiudere un occhio (o forse tutti e due) sulla grafica un po’ cubettosa.