Tonya vi spezza in due
Quando di biopic ne hai visti tanti (o anche se ne hai visti pochi ma hai scarsa fiducia nel prossimo), è difficile non approcciarne un altro con un po' di scetticismo. Per carità, ogni tanto ci scappa il filmone, se non il capolavoro, ma in media ti ci avvicini convinto che, nel migliore dei casi, ti ritroverai davanti una storia interessante, delle ottime interpretazioni, dei valori di produzione lussuosi ma una scrittura e una regia al massimo anonime. E sai anche che, se butta male, andrà molto peggio. Ogni tanto, però, va meglio. E non so se Tonya sia un filmone (probabilmente no), ma oltre a raccontare le sue vicende ha qualcosa da dire, trova un modo azzeccato per dirlo, butta sul piatto qualche idea e si permette di giocare coi punti di vista, i narratori inaffidabili e la rottura del quarto muro, pasticciando fra intervista, documentario, film, ipotesi, chiacchiere, balle. E, sì, ha un ottimo cast, una ricostruzione storica adorabile, un'attrice molto brava ma forse un po' sopravvalutata, un'attrice qui clamorosa ma forse un po' sottovalutata. Poteva andare peggio.
Tonya si inserisce in maniera abbastanza agevole nel solco tracciato da film come The Wolf of Wall Street e La grande scommessa, ma lo fa trovando tutto sommato una sua identità, incentrata sul mescolare punti di vista differenti e voci poco affidabili. Gioca fin dall'inizio sul riprodurre all'interno del film le interviste che lo sceneggiatore Steven Rogers ha condotto con Tonya Harding e Jeff Gillooly, interpretati da una Margot Robbie sempre pronta a guardare negli occhi lo spettatore e un Sebastian Stan lontanissimo da quello che se ne va in giro col braccio di metallo. Proprio il fatto di giocare coi punti di vista è ovviamente un ottimo strumento per dare forma "credibile" ai tratti più folli e coeniani del racconto (che, come al solito, sono quelli realmente accaduti) ma anche per permettersi qualsiasi licenza sul piano dell'adattamento. Tanto, la verità è che non sappiamo cosa sia realmente successo e non lo sapremo mai.
In questo modo il film abbraccia diverse versioni dei fatti, fa probabilmente incazzare chi non vuole credere alle parole di nessuno dei due su alcuni passaggi specifici ma trova una formula divertente e coinvolgente per raccontare la sua storia. Una storia che è comunque, in larga misura, quella di una donna che non si vergogna per mezzo secondo della propria natura e pretende di ottenere ciò che si merita con le proprie azioni e il proprio talento. E, sì, ci sono i cliché da biopic e da film sportivo del caso, ma vengono talvolta sovvertiti, talvolta semplicemente sfruttati bene, fra l'altro con scene di pattinaggio davvero riuscite, con quell'operatore che scivola sul ghiaccio assieme a Margot Robbie e alla sua controfigura. Il film di Craig Gillespie, poi, è anche una storia di abuso, di accettazione e normalizzazione dello stesso, raccontata con un raro equilibrio nel momento in cui non rinuncia al suo gioco metacinematografico ma evita di sminuirne i temi con l'umorismo. Infine, Tonya è soprattutto Margot Robbie, vale a dire ciò che eleva il film più di tutto, davvero clamorosa, intensa, quasi brutale nella forza con cui affronta il ruolo e nella maniera meticolosa in cui adatta modo di parlare, movimenti, gestualità, utilizzo del corpo alle diverse fasi della vita, alle età lontane anni luce che si trova ad interpretare.