La magia di Grand Prix Legends
I due semi che hanno generato la Formula 1 moderna sono stati piantati alla fine della stagione 1967, prima della stagione 1968. Venne concesso ai costruttori di installare appendici aerodinamiche sulle auto (gli alettoni) e venne permesso di addobbare le auto con sponsor non strettamente tecnici e senza il vincolo dei colori assegnati alle varie nazioni. L’importanza della potenza del motore e dell’abilità dei piloti furono, passo dopo passo, incisi dal ruolo della deportanza aerodinamica, oggi prevalente.
Con gli sponsor, alcol e tabacchi, arrivarono anche fiumi di denaro, piloti con la valigia e una serie di eccessi che hanno, poco alla volta, allontanato il campionato dalle proprie radici ruspanti e pericolose. Anche per quanto appena detto, il 1967 è considerato da alcuni come l’ultimo anno della Formula 1 romantica.
Una società di sviluppo americana, la Papyrus Design Group, fondata nel 1987 da David Kaemmer e Omar Khudari, dopo avere dedicato giochi importanti alle corse a stelle e strisce (Indianapolis 500, Indycar Racing e Nascar Racing), decise di omaggiare apertamente, e al contempo documentare, la stagione 1967 della F1, i suoi piloti e le loro auto, con un videogioco rivoluzionario.
Grand Prix Legends venne pubblicato nel 1998 e si rivelò, oltre che tecnicamente avanzato (grazie all’uso delle prime schede acceleratrici, per la prima volta i PC generavano i frame sufficienti a far percepire i cavalli), graziato da un motore fisico intransigente e privo di compromessi. Tanta potenza (la Lotus 49 aveva 400 cavalli su 500 kg senza ali, una F1 moderna ne ha 1000 di picco, su 730 kg, con ali ed effetto suolo), gomme dure con il marmo, e i freni …… (diciamo i “freni”, meglio), significavano una cosa sola: per giocare occorreva imparare a guidare secondo le regole del gioco.
Nel libricino di 100 pagine (“Derapata su quattro ruote”) che accompagnava il manuale di gioco erano descritte le tecniche di guida: frena e scala presto, tieni la traiettoria, fai slittare la macchina e tieni un po’ di coppia da spendere in percorrenza di curva, il tutto da affinare in ore e ore di gioco. Non c’era possibilità di selezionare aiuti alla guida, ma si poteva (doveva) correre con motori depotenziati (1/4 o 1/2 circa) prima di prendere in mano il volante di una F1 full spec del 1967.
Tra le auto c’era la Lotus 49 di Jim Clark e Graham Hill, regina del gioco. Era una macchina quasi indomabile ma largamente più veloce di tutte le altre auto se guidata con competenza.
Quell’auto non vinse il titolo del 1967 perché si rompeva troppo facilmente.
Jim Clark, tuttavia, guidò con quell’auto, in quell’anno, una fra le migliori corse nella storia della F1, che mi venne raccontata più volte da mio papà e di cui lessi su Autosprint, allora la prima fonte di materiale sull’automobilismo sportivo. Su quella corsa, oggi, si può trovare molto materiale in rete (spoiler: non vinse Clark).
Il miracoloso omaggio alla stagione 1967 di David Kaemmer e soci mi permise di immaginare che cosa significasse guidare una Lotus 49 a 233 orari di media a Monza.
Questo è per me il vero lascito di Grand Prix Legends: un tributo elegante, esigente e perfetto a una stagione e a un’epoca di F1 irripetibili, resa finalmente tangibile anche per chi non c’era.
Imparando a giocare, ho capito che nel 1967 un qualsiasi errore, anche piccolo, poteva determinare non solo la fine delle ambizioni per quel giro o quella gara, ma poteva essere fatale.
Curva dopo curva e giro dopo giro, ero pervaso da una sensazione di tensione e pericolo costante, tangibile e ingombrante.
Altri giochi da allora hanno affrontato quelle auto e quelle piste (in Assetto Corsa c’è l’achievement Jim Clark, ed è sul giro secco a Monza) ma sono arrivati dopo, e non avvicinano l’eleganza e la dedizione di Grand Prix Legends.
Ogni tanto penso che mi piacerebbe un gioco moderno, ma con lo stesso approccio monastico e stoico, dedicato al periodo 1983/86, i primi campionati che seguii coscientemente, con i mostri ipertrofici da 1300 cavalli, con gomme e motori da un giro. Mi piacerebbe come elemento storico e di testimonianza di un’altra era epica, per far breccia nel cuore di un appassionato odierno che magari guarda i video di Ayrton e Mansell sul tubo.
Perché quella magia l’ho già vissuta.
Ho giocato a una cosa che mi avevano raccontato, ed è stato indimenticabile.
Se volete provare il gioco, partirei da IRacing, sempre di Kaemmer. Poi al limite provate a recuperare quello vecchio. Anche il canale GP Laps su YouTube costituisce un buon punto di partenza.
Non gioco a Grand Prix Legends da anni, ma conservo ancora il ricordo di quelle curve, poche volte perfette, percorse inseguendo Jim Clark, lontano e imprendibile.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.