Il pregevole commiato di Blackwell Epiphany
Non nego di provare un profondo rispetto per le realtà indipendenti, soprattutto per quelle dotate di indubbio carisma e talento. Mettersi in gioco, esprimere le propria sensibilità in un'opera, interattiva o meno che sia poco importa, è un atto di coraggio. I più pavidi, noi non facciamo eccezione, si limitano a giudicare le fatiche altrui, spesso peccando di supponenza e superbia. Nel mondo di Blackwell Epiphany si entra in punta di piedi, nel pieno rispetto di uno sviluppatore, Wadjet Eye Games, piccolo, persino minuscolo se confrontato con i giganti multimilionari. Nell'economia di un'avventura grafica, la qualità della scrittura ha un peso specifico non indifferente, al punto da rappresentarne l'elemento cardine, il perno dell'intero complesso. Enigmi e rompicapo, per quanto intriganti possano essere, sono destinati a crollare miseramente, se per l'appunto viene meno il sostegno del tessuto narrativo. Lo schermo del monitor è un teatro e ogni comparsa, anche quella dal ruolo marginale, deve lasciare un segno, un tratto indelebile. La protagonista, all'anagrafe Rosangela Blackwell, non fa mistero delle sue mille insicurezze e grazie alle vulnerabilità, capaci di renderla così viva, buca la parete e crea un dialogo fitto con il suo deus ex machina. Suo malgrado, per colpa della sorte, veste i panni di un tramite, un punto di contatto fra il mondo dei vivi e quello dei trapassati, un ruolo carico di dolore e sofferenza. A fare da cornice, il peggio che New York possa offrire, lo spaccato crudo di una metropoli fredda, dentro e fuori. Sebbene il tema non sia originale, e lungi da me affermare il contrario, questo titolo ha l'indubbio pregio di svicolare dai luoghi comuni. Rosa è fragile, è una figura plausibile, dotata di un certo spessore, caratterizzata in maniera esemplare da Dave Gilbert, designer e autore dell'intera sceneggiatura.
Al suo fianco, Joey Mallone, uno spettro con la testa agli anni '30 e il corpo, una proiezione ectoplasmatica, nel presente. Un pesce fuor d'acqua, almeno in apparenza. In verità, è complementare, si lega a doppio filo alla giovane, colmandone le lacune, osservando e interagendo con quella parte del cielo che lei, essendo ancora di carne e non di spirito, fatica persino a immaginare. Poli del tutto opposti, non si attraggano e spesso si scontrano, in un battibeccare mai superfluo. Rosangela è puntigliosa, crede a ciò che vede, strabuzza gli occhi di fronte all'imponderabile, salvo infine farsene una ragione, dopo aver a lungo meditato e ponderato. Lui, ormai immortale e testimone di mille accadimenti, pare talvolta persino sprezzante. Non ha un'anima lesiva, il suo cinismo è solo una forma di difesa, attuata in maniera più che sistematica.
Nell'addentrarsi in una storia davvero avvincente, si apprezza la semplicità di un'interfaccia utente snella, precisa e puntuale. Non v'è aria di rivoluzione: gli oggetti, giusto per fare un esempio, sono raccolti in un menu a scomparsa, collocato nel lato inferiore dell'immagine. Sotto questo profilo, il gioco è canonico, rispetta per filo e per segno le regole consolidate del genere. E, lo dico in piena sincerità, in ciò non v'è nulla di sbagliato. A livello concettuale, esistono delle differenze marcate fra la medium e il suo spirito, c'è una distanza palese, anche per quanto concerne le capacità deduttive. La giovane, qualora si trovi in difficoltà, può fare appello alla tecnologia, navigando sul web, grazie allo smartphone, alla ricerca di eventuali indizi. Il fantasma, allergico a qualsiasi modernità, si fa beffe di ostacoli e barriere, grazie alla sua natura extracorporea, e può, con un lieve soffio, smuovere piccoli oggetti. Raccolti gli indizi, la coppia può abbozzare un confronto, incrociando gli spunti, per giungere così a una soluzione plausibile, formulata di comune accordo. Alla fine i due insiemi, così diversi, trovano un'intersezione.
Blackwell Epiphany è eccellente anche per quanto riguarda i valori di produzione, all'insegna del lo-fi, ma solo per quanto concerne la risoluzione dell'immagine. Al contrario di chi cerca di nascondersi dietro mille trucchi e filtri, il gioco va fiero dei suoi pixel ruggenti, l'elemento che maggiormente contraddistingue la direzione artistica. Non ci troviamo al cospetto dell'eccesso geometrico, anch'esso superlativo, di The Last Door, qui è tutto più morbido, liscio e meno tagliente. C'è grande attenzione per il particolare e si viene cullati in un'atmosfera nostalgica, ma priva di ruffianeria. Così, senza voler, affiorano i ricordi legati a realtà che, con il passare del tempo, sono prima svilite e poi scomparse, lasciando un'eredità che, per nostra fortuna, qualcuno è riuscito a raccogliere.
L'opera di Dave Gilbert ha saputo conquistarmi, al punto che mi sento di consigliarla. Resto convinto che gli appassionati del genere, anche quelli di lunga data, avranno modo di apprezzarne la qualità della scrittura, davvero lodevole, e la puntualità della struttura di gioco, bilanciata in maniera ottimale.
Ho giocato a Blackwell Epiphany grazie a un codice fornito dallo sviluppatore. Il test è stato condotto su un PC dotato di processore AMD FX 8320, 8 GB di RAM e una scheda video AMD Radeon R9 270X.