Io e gli open world
Quasi tre mesi dopo avere iniziato a giocarci, sono a trenta ore scarse di Dead Redemption 2, mi avvicino alla parte degli epiloghi (che comunque mi pare di capire non essere brevissima) e l'altro giorno stavo riflettendo su una cosa. Che non è "Oh, mamma, non ho tempo di giocare, guarda quanto ci metto ad accumulare trenta ore", perché in realtà non è vero, il tempo libero ce l'ho, solo che (1) lo dedico ad altri giochi, tipo quelli che mi gusto assieme a mia figlia e (2) lo dedico ad altre attività. Anche se, sì, in altri momenti della mia vita avrei fatto più in fretta, banalmente perché Red Dead Redemption 2, rispetto ad altri videogiochi, è una roba a cui preferisco evitare di giocare in compagnia della prole e, soprattutto, è una roba che non puoi portare avanti a spizzichi e bocconi, altrimenti finisce che il giorno dopo carichi il salvataggio e scopri che no, quello non era un checkpoint e sì, gli venisse un'accidente, devi rifarti la lunghissima missione da capo, compresi i minuti di chiacchiera a cavallo. Ma sto divagando.
La cosa su cui stavo riflettendo, dicevo: io "vivo" tutti gli open world come se fossero quelli di Alan Wake e/o di L.A. Noire, vale a dire come pura scenografia. È bellissimo che ci siano, che diano sostanza, peso, profondità, solidità, credibilità agli ambienti in cui si svolge il gioco, in cui mi trovo a percorrere l'avventura, ma mi interessano solo per quello, quindi mi va benissimo se l'esplorazione libera è impossibile (come in Alan Wake) e/o se è futile perché rivela il vuoto spinto che caratterizza il mondo di gioco (come in L.A. Noire). A conti fatti, anche quando l'open world è in realtà denso, popolatissimo, pieno di cose da fare, io lo percorro come se stessi giocando a quei due giochi lì che ora non torno a menzionare. Lo faccio fino al punto che, una volta esaurito il fascino iniziale dell'immersione nell'atmosfera, bramo il fast travel, lo sfrutto a valanga appena si rende disponibile e mi irrito quando mi viene negato. Ma allora, uno dice, perché ci giochi, a un open world? Eh, beh, intanto perché magari mi interessano i contenuti e il gioco che in quell'open world sono stati infilati, e poi perché ,ripeto, è comunque fichissimo che attorno a me ci sia quel genere di profondità. Anche se non la sfrutto più di tanto in termini di gioco, me la godo in quello che mi dà come forza, presenza, ricchezza.
E in fondo è una deriva figlia del minor tempo che dedico ai videogiochi rispetto una volta ma facilmente intuibile anche da come mi comportavo quando di tempo glie ne dedicavo molto di più. Perché anche dieci o vent'anni fa, di open world che ho spolpato esplorandone ogni centimetro quadro perché preso benissimo ce ne sono stati pochi. E sì, mi capitava più facilmente di "lasciarmi andare", trascorrere ore di gioco cazzeggiando in giro, divertendomi con le piccole cose, esplorando, ma era sempre una fase da "fascino iniziale", che poi lasciava spazio a una visione più puramente funzionale di quei mondi enormi (e che, per altro, all'epoca erano ben meno enormi, e soprattutto ben meno densi, rispetto a oggi).
Mi chiedo però come mi veda chi questi giochi li sviluppa. Sviluppatori: vi sto sulle palle? Vi sta sulle palle l'idea che io mi perda una fetta così grande dei contenuti che producete, non come conseguenza di scelte morali o di gioco ma proprio perché decido di ignorarla? La butto: secondo me no. Secondo me vi sto comunque simpatico perché il gioco ve lo compro e mi accettate perché faccio semplicemente parte di una fra le tante categorie in cui si dividono i videogiocatori contemporanei. E oltretutto sono parte di una minoranza, non tanto perché ignoro una corposa fetta di gioco (azzardo che siano in molti a non battere a tappeto le mappe degli open world), quanto perché tendenzialmente i giochi li finisco. E, è cosa nota, quelli che finiscono i videogiochi, specie poi i videogiochi così immensi, sono una minoranza. D'altro canto, mi immagino che in quella grande maggioranza di gente che non porta a termine la "storia" di Red Dead Redemption 2 ci sia al contrario parecchia gente che si gode l'open world, andando in giro, cazzeggiando, spulciando le minuzie e divertendosi con le mille invenzioni che contiene. E proprio per questo poi finisce per disinteressarsi della storia ed essere risucchiata dal gorgo dell'open world, trovandolo molto più interessante ed esaurendo nella sperimentazione tutto ciò che il gioco ha davvero da offrire.
In fondo il bello di un gioco del genere sta anche in questo, no? Nel fatto che ognuno può viverlo alla sua maniera, interpretare questa sua caratteristica fondante, l'immensità e la densità del mondo di gioco, nel modo che più si adatta alle proprie esigenze e godersela proprio per quello. L'open world, come concetto, può essere meraviglioso per ciò che promette, suggerisce, veicola, senza la necessità di concretizzare quel potenziale nel modo più ovvio. Oltretutto, insomma, questa variabilità interpretativa è il bello del videogioco in generale, più che dell'open world nello specifico, e fa sì che ogni tipo di giocatore vada a far parte di un "ecosistema" nel quale hanno tutti diritto di cittadinanza e contribuiscono tutti a sancire la grandezza del videogioco stesso. O qualcosa del genere. Cosa sto cercando di dire? Dove sto andando a parare? Non lo so. O forse sì, forse alla fine si torna sempre al concetto di base del vivi, lascia vivere, non giudicare, sii invece curioso (un saluto a Ted Lasso) e accetta il fatto che la bellezza di questo passatempo sta anche nella sua plasmabilità. Non esiste un modo "giusto" di godersi queste cose, esiste solo il godersele e tutti i modi di farlo hanno diritto di cittadinanza. A patto di non scassare l'anima al prossimo.
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