Landstalker è un po’ fuori dal tempo | Racconti dall’ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Voglio essere onesto: nel 1992 non sapevo manco cosa fosse, Landstalker. Oddio, se proprio devo essere onesto, non mi ricordo se nel 1992 sapevo cosa fosse Landstalker. Magari lo sapevo. Mi sembra tutto sommato probabile, considerando che seguivo riviste su riviste, leggevo tutto il leggibile e fantasticavo sognando sulle immagini dei giochi che non mi finivano in casa. Ma, tant’è, non ho alcun ricordo di Landstalker nel 1992. Io e lui abbiamo invece fatto conoscenza nel 2008, quando, un bel giorno, avevo per le mani una manciata di punti stella e decisi di investirla nell’acquisto su Virtual Console di questo gioco del quale non sapevo nulla. O forse ne sapevo qualcosa. Boh? Certo, ne avevo letto bene su uno di quei siti interamente dedicati alle uscite per Virtual Console, ma insomma, eh, con tutte le meraviglie che si manifestavano in quegli anni di esplosione degli store digitali, proprio su Landstalker, dovevo gettarmi? Eh, a quanto pare, sì.
Sviluppato da Climax Entertainment, che all’epoca aveva già alle spalle la collaborazione con Camelot sulla serie Shining, Landstalker era un arcade adventure con una lievissima spruzzatina da GdR, focalizzato su enigmi, avventura, esplorazione, azione, il tutto percorso da un forte profumo d’acqua di rose. Ogni aspetto era piuttosto semplice, a cominciare dalla trama risibile, e nulla andava realmente in profondità, anche se comunque certe battaglie sapevano essere abbastanza toste, come da tradizione dell’epoca. Era, insomma, un gioco medio, che aveva forse dalla sua il fascino di ricordare, come impostazione estetica e per l’inquadratura isometrica, un certo tipo di giochi d’azione e avventura che già nel 1992 era abbastanza passato di moda. Figuriamoci oggi.
Quando ci giocai nel 2008 mi sembrò più che altro una curiosità sfiziosa, con alcuni tratti molto riusciti. Soprattutto, era un gioco aperto, libero, con dungeon enormi e pieni di enigmi da risolvere, fra interruttori, chiavi, leve, cazzi & mazzi, il tutto all'insegna del completo "attaccati al tram": capitava di premere un tasto e aprire una porta nascosta chissà dove, tipicamente a minuti e minuti di distanza, senza avere una chiara idea di cosa fosse accaduto. Che, insomma, nel 1992, quando era ancora abbastanza normale prendere appunti per gli enigmi su un foglio e usare la carta quadrettata per disegnare le mappe dei dungeon, ci stava, ma già nel 2008 poteva diventare pesante, figuriamoci oggi. Però, ehi, se cercavi quello, di sicuro non sbagliavi.
Landstalker aveva una faccia da gioco occidentale, che ti stupisci davvero a scoprire che l’han fatto dei giapponesi, e non era perfetto, preciso e pulito come ci si aspettava magari da un gioco giapponese di quegli anni, ma aveva un suo fascino tutto storto e, alla fin della fiera, non erano probabilmente in pochi a pensarla così, considerando che negli anni uscirono spin-off per Super Nintendo, Saturn e Dreamcast. Tra l’altro, vogliamo dire che quello per SNES ha un titolo ingenuamente agghiacciante? Lady Stalker, rendiamoci conto.
Chiudo autovirgolettandomi, in totale assenza di vergogna, con un passaggio dal mio blog che all’epoca commosse Babich:
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.