Racconti dall'ospizio #188: Micro Machines V3 e gli anni in cui l’online era un salotto
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
C’è stato un tempo, Dio se ero giovane, nel quale persino i codici amico potevano sembrare avveniristici. Senza Plus, senza Gold e spesso pure senza lo straccio di una connessione, io e la mia combriccola di amici ci radunavamo nella stessa casa per scacciare ogni minima possibilità di figa nella nostra vita. Ma ci divertivamo, diamine se ci divertivamo…
C’è stato un tempo, Dio se ero felice, nel quale potevi radunare sotto lo stesso tetto due multitap, almeno otto giocatori, una copia di Micro Machines V3 e fare le cinque di mattina, senza bisogno di Red Bull, solo per il gusto di insultare quello davanti a te. E c’era sempre qualcuno davanti a te, pure se eri il più bravo di tutti, perché in Micro Machines V3, il migliore era anche la più squisita delle vittime. Ricordo le risate, i pugni sulle spalle, le urla incazzate dei genitori svegliati nel cuore della notte. Non lo avremmo fatto più… fino alla sera successiva, almeno.
Un attimo troppo veloce e la pista ti si nascondeva, un attimo troppo lento e lo schermo ti risucchiava per sempre, nel mezzo la guerra e il sangue e qualche mamma nominata con troppa leggerezza. Semplice come gli scenari che raccontavano piccole storie di vita ma crudele a chiedere bravura, istinto e fortuna in egual misura. Oppure potevi partire in retromarcia solo per rovinare la gara a quello dietro di te, nessuno ti avrebbe giudicato. Magari ti avrebbe picchiato, ma non giudicato.
Otto persone, tutte insieme davanti allo stesso schermo, i battle royale più feroci che la storia ricordi. È difficile farlo oggi. Un po’ perché siamo più vecchi, un po’ perché mancano i giochi che lo permettono. Il multiplayer da salotto è stato velocemente sostituito da quello online, forse più pulito e onesto, sicuramente più pratico. Ci si diverte comunque, quasi sempre, e le mamme non hanno smesso di essere al centro dell’attenzione, ma a volte bisogna guardare negli occhi il proprio avversario, prima di mettersi una mano sul pacco in segno di irriverenza.
C’è stato un tempo, Dio se è passato, prima che il Gamecube dimostrasse al mercato che non ne valeva la pena, nel quale le console servivano anche per aggregare qualche stronzo e insegnargli che perdere poteva essere divertente, che arrivare primi non era l’unico scopo. C’erano schermi senza K tagliati a pezzetti, certo, ma non è mai quello che ricordo.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a PlayStation Classic e alla prima PlayStation, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.