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Driver, estate 1999: una visione dal futuro tra Paradiso e Inferno | Racconti dall'ospizio

Driver, estate 1999: una visione dal futuro tra Paradiso e Inferno | Racconti dall'ospizio

Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Luglio 1999, vacanze estive. Ho quattordici anni e sono in vacanza a Sorrento, in una fra le mie ultime lunghe estati al mare con la famiglia, perché in quegli anni, forse, i prezzi delle case vacanza non hanno raggiunto ancora le stelle. O forse semplicemente lo hanno già fatto ma siamo troppo abituati a farle, quelle vacanze. È la fine del millennio, l’ottimismo degli anni Novanta ci fa vivere ancora al di sopra delle nostre possibilità e l’unico problema all’orizzonte sembra il Millennium Bug. Su MTV ci sono Nina Moric che, ancora priva di innesti cibernetici, balla sotto la pioggia nel video mentre Ricky Martin fa sognare (inutilmente) milioni di ragazze con il suo movimento di bacino e Christina Aguilera che fa strane allusioni sullo sfregamento della lampada. Io ho ancora Americana di The Offspring nel lettore CD e canticchio What’s My Age Again dei Blink 182. Fuori piove, è ormai ora di pranzo e l’idea di andare in spiaggia sta tramontando, perché è dalla mattina che il tempo ha deciso di impazzire. Nella stanza che condivido con mia sorella c’è una TV 19” e, soprattutto, la PlayStation, perché che fai, stai più di un mese fuori casa senza la PSX, che siamo pazzi? 

Il tempo atmosferico è una sorta di segnale divino e so che è arrivato il momento. The President’s Run mi aspetta. L’ultima, terrificante, rotta, pazza, assurda, missione di Driver. Ci ho già provato troppe volte, il gioco è uscito a giugno e ho divorato la storia di John Tanner, ho guidato a Miami, San Francisco, Los Angeles e New York, lavorando per la famiglia mafiosa Castaldi in una spirale di paranoia che alla fine ti fa dubitare anche dell’FBI. Soprattutto, guidando tra quelle strade spigolose e squadrate che mi sembrano la roba più realistica del mondo, Driver mi fa capire che il mondo dei videogiochi sta cambiando, perché, diamine, non è che sto guidando in Midtown Madness, che pure al momento mi sembra tanta roba, ma sono proprio le città vere, capite? Driver è l’unione perfetta tra i giochi d’azione, di guida e la realtà, e poi, per me, a cui piace sostanzialmente guidare, l’idea di avere un Grand Theft Auto in 3D (con GTA III che arriverà due anni dopo) senza poter uscire dall’auto è praticamente una win-win. Nella mia testa, è esattamente il futuro che voglio: città fotorealistiche (sic!), il piacere di guidare, una storia che omaggia i film polizieschi (anche se provate a risentire il doppiaggio oggi, che dramma). Ci sono tanti piccoli dettagli in stile fantasma del Natale futuro, nel gioco di Reflections, che ancora oggi ricordo con estremo piacere, ma su tutti credo sia stato il primo mondo virtuale in cui abbia avuto voglia di perdere tempo per il solo gusto di farlo, magari sfruttando la possibilità di guidare da persona civile, con tanto di frecce associate alla pressione dei tasti direzionali, e stare lì, mentre la primitiva funzione di vibrazione del primo DualShock prova a restituirti qualche sensazione tattile del mondo reale. 

In questa magniloquente visione paradisiaca di un futuro in cui tutte le città del mondo diventano esplorabili in automobile mentre ci dilettiamo ad essere autisti della malavita, però, c’è sempre quell’inferno The President’s Run che ci aspetta. Che mi aspetta da tipo tre settimane. Tutto sommato, quasi preferisco continuare a farmi i giri per la città, perché no, non potete capire quella missione che dramma brutto, se non avete giocato a Driver. O meglio, magari ci avete giocato e vi siete fermati prima, tipo al tutorial, che alla fine è un po’ una scuola guida vera e ti avverte già che, se hai difficoltà a finire lo slalom finale, probabilmente quello non è il gioco per te e il presidente degli Stati Uniti mica sei degno di salvarlo. Alla fine, forse, col senno di poi, direi che quella di Driver è una struttura circolare perfetta, che nella prima missione già ti dice che alla fine riscoprirai la fede nel peggiore dei modi possibili. Solo che poi, dopo il tutorial, il gioco scorre talmente bene che gli perdoni quell’inizio nel parcheggio un po’ ruvido e scontroso. Alla fine, però, paghi il conto, ed è salatissimo. Per portare in salvo il presidente, sulla sua macchina d’ordinanza super pesante e super lenta, devi da un lato sfuggire ai tamponamenti delle auto dei Castaldi, della polizia e di chiunque altro, mentre dall’altro devi evitare le vetture corazzate kamikaze degli agenti corrotti, che sono più veloci, più forti, più pazzi. E ovviamente piove, e si scivola. E la manovrabilità dell’auto presidenziale è tipo la peggiore di tutte le macchine del gioco. O del mondo. Una missione di dieci minuti scarsi può diventare leggenda. Oggi diremmo che è semplicemente rotta, o che è il Dark Souls dei giochi di guida, o che “non diverte” in lunghi stati su Facebook. All’epoca, invece, l’unica strada è rappresentata dall’accettazione del sadismo, perché comunque viviamo nel primo lascito dell’era arcade.

In ogni caso, quella giornata di pioggia di luglio del 1999 decido che è il momento di sconfiggere i miei fantasmi e di scrollarmi di dosso l’onta del fallimento. Con buona lena, dopo pranzo, mi ci metto di impegno e tentativo dopo tentativo, decido che la mia vita è arrivata a un bivio. Per fortuna, quattro ore dopo, ce la faccio, e le mie urla di gioia le ricorderanno in tutto il vallone su cui dà la casa vacanza. Ovviamente, i miei genitori pensano che abbia problemi seri, o che sia successo qualcosa di gravissimo, e invece è solo incontenibile gioia. Non penso di aver mai giocato a una missione in un videogioco così artificialmente difficile come l’ultima del primo Driver, ma allo stesso modo, non credo neanche di ricordare così tanta gioia legata al completamento di un’avventura. 

Non sono un fan dei Souls, ma forse è quello stesso tipo di sensazione, ma insomma, credo che continuerò a vivere nel dubbio. Qualche mese dopo, smaltita l’ubriachezza e la follia di quell’ultima corsa, ho ripreso in mano Driver su PC solo per il gusto di gironzolare per il livello segreto, una tech demo ambientata a Newcastle Upon Tyne, in Inghilterra, sede dello studio, di cui sono ricostruiti sostanzialmente solo una piccolissima parte del centro e il Quayside, il lungofiume. Nulla di più, se non un divertissement europeo, che prolunga quella sensazione così strana, così nuova, di poter vagare senza meta e senza obiettivi in un videogioco ed essere felici. Però, come dicevo prima, Driver ha una struttura circolare. Venti anni dopo l’uscita del gioco originale, ho passato la terza (e probabilmente ultima, ma vai a sapere) estate della mia vita a Newcastle Upon Tyne, dopo averci praticamente vissuto per tre anni. Quando per caso, una volta, mi sono trovato davanti alla sede di Reflections, oramai Ubisoft, non ho potuto fare a meno di pensare a quell’estate del 1999, a Driver e alla dannatissima The President’s Run.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a The Irishman e al crimine, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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