Moonlighter e le gioie del doppio lavoro
A ben pensarci, Will, il protagonista di Moonlighter, non è troppo diverso da un Batman qualsiasi: di giorno è un ricco imprenditore senza scrupoli, di notte investe i suoi guadagni in attrezzature che possano permettergli di migliorare la vita dei suoi concittadini, liberandoli dai problemi che li tormentano. Solo che Will non è prestante come Bruce Wayne. O ricco come Bruce Wayne. O carismatico come Bruce Wayne. Anzi, Will è abbastanza sfigato. Ma in fondo, chi dei due è il vero eroe? Quello che gira per Gotham City con corazza e macchinone fantascientifico o quello che si avventura attraverso misteriosi sotterranei con lo zainetto sulle spalle, armato inizialmente solo di una vecchia ramazza?
Moonlighter racconta di un mondo fantasy in cui gli umani hanno scoperto, scavando, una serie di portali in grado di far accedere a dimensioni alternative piene di creature terribili ma anche di inestimabili tesori. Ovviamente, frotte di avventurieri, ma soprattutto opportunisti alla ricerca del soldo facile, si cimentano nelle sfide dei dungeon, facendo le fortune di Ryoka, il piccolo villaggio vicino ai portali, che diventa un florido centro economico, ricolmo di vita e negozi che vendono gli artefatti trovati nei mondi oltre i portali. C’è già molto di affascinante, in questo concetto che viene esplorato in maniera non dissimile, ma di certo molto più cruda, nell’anime di Made in Abyss. Quando la storia del gioco comincia, però, sono passati molti anni dalla scoperta dei portali e, a seguito degli incidenti e delle molte morti che si sono succedute nel corso del tempo, quasi tutti hanno rinunciato alla possibilità di esplorare i mondi oltre i portali, temendo per la propria incolumità. Ryoka è caduta in uno stato di disgrazia e abbandono, con in particolare il Moonlight, il negozio principale del villaggio, ormai chiuso dopo anni di gloria. Will, manco a farlo apposta, è il nipote del proprietario originale del Moonlight. Spinto da un misto di desiderio di rivalsa, eroismo, ma soprattutto cupidigia, decide di dirigersi nuovamente nei portali alla ricerca dei tesori che vi si nascondono.
Da queste premesse si sviluppa un gameplay che appura fin da subito una chiara dicotomia: di notte Will si avventura nei dungeon alla ricerca di tesori, di giorno gestisce il Moonlight, il negozio di suo nonno, vendendo ciò è riuscito a recuperare nottetempo. Moonlighter prova e riesce in gran parte a unire due generi molto diversi fra loro. Da un lato c’è l’esperienza notturna dei dungeon, che segue le classiche regole di un roguelike, dall’altro un gestionale lite à la Recettear, originalissimo titolo indie giapponese di qualche anno fa, in cui era necessario gestire al meglio uno stereotipico negozio di oggetti da JRPG.
La componente gestionale di Moonlighter è abbastanza essenziale. Per ogni oggetto recuperato nei dungeon che si vuole vendere, è necessario scegliere il prezzo migliore. L’unico modo per sapere quale sia l’effettivo valore di un oggetto è quello per tentativi, altresì conosciuto come “Metodo OK il prezzo è giusto”. Si piazza un oggetto all’interno del negozio a un determinato prezzo e si osservano le reazioni dei compratori tramite un apposito fumetto: se fanno la faccina triste, il prezzo è troppo alto, se si affrettano a comprare con gli occhi a forma di dollaro il prezzo, è troppo basso, mentre un simpatico sorriso segnala un prezzo corretto e onesto. C’è anche un rudimentale sistema di domanda e offerta per cui, se si satura il mercato con un determinato oggetto a un prezzo conveniente, poi sarà sempre meno richiesto dagli avventori. Inoltre, è ovviamente presente anche tutta una serie di miglioramenti apportabili al negozio, per invogliare i compratori a spendere di più.
Le scorribande notturne sono, invece, in pieno stile roguelike, con chiare influenze da The Binding of Isaac: generazione procedurale delle mappe, schermate fisse, tre piani di dungeon prima del boss e una vagonata di bestemmie. Moonlighter sa essere punitivo senza esagerare, penalizzando la morte del giocatore sprovveduto con la perdita di tutto l’inventario, fatta eccezione per la prima riga di caselle. È possibile, però, uscire dal dungeon in qualsiasi momento, pagando con la moneta del gioco e portando con sé tutto il loot, ma perdendo ogni progresso fatto fino a quel momento all’interno di quel portale. Oppure pagare un costo di gran lunga maggiore e mantenere anche il proprio progresso. Nel mondo di Moonlighter, a patto di avere i soldi, si può fare di tutto, un po’ come nel mondo reale. Queste meccaniche sono associate all’unico vero elemento di grande originalità del gioco, ovvero la gestione dell’inventario, che diventa a suo modo un piccolo puzzle. Molti degli oggetti che si trovano nei dungeon portano con loro una maledizione. Può essere qualcosa di semplice, come il fatto che l’oggetto può essere posizionato solo in basso o ai lati della finestra dell’inventario, ma anche molto più cattivo e complesso, come la maledizione che rompe l’oggetto posizionato a fianco dell’oggetto maledetto. A un certo punto, durante l’esplorazione, magari tutti accelerati dopo una stanza particolarmente difficile, sarà necessario fare i conti anche con questa meccanica, cercando di utilizzare al meglio le maledizioni e gli spazi disponibili nell’inventario per portare a casa quanti più artefatti possibile. La varietà nei dungeon, purtroppo, al momento non è eccelsa, ma sono in cantiere vari aggiornamenti gratuiti che dovrebbero migliorare questa situazione da qui a ottobre.
Moonlighter è migliore della somma delle parti che lo compongono. L’aspetto gestionale è relativamente semplicistico, per gli appassionati del genere c’è ovviamente di meglio, e lo stesso si può dire per le sue meccaniche roguelike, per quanto molto meglio strutturate. Tuttavia, è proprio l’alternanza fra le adrenaliniche e mosconiane fasi notturne e la relativa serenità nella gestione del negozio di giorno a dare ritmo al gioco. Personalmente, dopo trenta minuti di The Binding of Isaac sono cotto: che vada bene o vada male, ho raggiunto un livello di stress pari a quello di un divorzio con figli e sono quindi costretto a dedicarmi ad altro. Con Moonlighter, nonostante le meccaniche e la varietà di oggetti e situazioni drasticamente inferiore rispetto all’ormai leggendario roguelike di Edmund McMillen, questo non mi succede, proprio grazie all’alternanza con le fasi gestionali. Che si accetti la morte, o il semplice ritorno al villaggio pagando dazio quando l’inventario si fa pieno, la tranquilla gestione del negozio ha saputo sempre donarmi la calma necessaria ad affrontare al meglio la run successiva. È quasi un esperimento zen di alternanza emotiva, delle piccole montagne russe di adrenalina e dopamina. E nel complesso funziona, se ha saputo tenere incollato me allo schermo per le quindici ore necessario a finirlo, nonostante l’ADHD videoludico che mi affligge.
Si potrebbe parlare anche della pixel art riuscita (senza strafare), o della musica piacevole (senza strafare), ma insomma, va già bene che Moonlighter sia riuscito a conciliare mondi così distanti in un’esperienza coesa e piacevole, che non rivoluziona niente ma fa tanto e bene con classe.
Ho giocato a Moonlighter grazie a un codice Steam fornito gentilmente dagli sviluppatori. Ho completato Moonlighter in modalità difficile (quella consigliata) in circa 15 ore, non forzando mai i tempi e godendomi il viaggio. Oltre che su PC, il gioco è disponibile anche su PlayStation 4 e su Xbox One. La versione Switch è prevista per il prossimo autunno.