Mortal Kombat, una rinascita nel sangue lunga dieci anni | Racconti dall’ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Tra Street Fighter e Mortal Kombat, ho sempre preferito il secondo. Nonostante il titolo Capcom fosse migliore sotto molti punti di vista, trovavo l’universo cupo e violento del picchiaduro Midway molto più interessante. La lotta fra la scuola giapponese e quella americana è proseguita senza quartiere fino all’avvento dei picchiaduro tridimensionali, quando titoli come Virtua Fighter, Tekken e compagnia finirono per catalizzare l’attenzione degli appassionati. Se Street Fighter ha continuato a godere di ottima salute grazie ai tradizionali picchiaduro 2D come i titoli della serie Alpha e i crossover con l’universo Marvel, altrettanto non si può dire di Mortal Kombat. Dopo un discreto ma non del tutto convincente quarto episodio e un paio di titoli che volevano ambiziosamente tentare strade diverse da quelle del picchiaduro a incontri (Mortal Kombat Mythologies: Sub-Zero e Mortal Kombat: Special Forces, stroncati all’epoca dalla stampa di settore), la saga tornò alle sue radici con una serie di titoli a cadenza biennale. Nonostante la buona accoglienza dei nuovi capitoli, Mortal Kombat sembrava aver perso quell’aura mistica che aveva negli anni Novanta: ormai il mercato era talmente saturo di giochi di questo genere che il titolo Midway sembrava essere solo uno dei tanti. Dopo aver tentato la strada del crossover con quella simpatica cialtronata di Mortal Kombat vs DC Universe, i diritti del celebre picchiaduro passarono da Midway (finita in bancarotta) prima a WB Games Chicago e poi a NetherRealm Studios, casa di sviluppo di proprietà di Warner Bros. guidata da Ed Boon.
Il nuovo titolo sarebbe stato un reboot, intitolato semplicemente Mortal Kombat: niente sottotitoli o numerazione progressiva. La voglia di tornare alle origini la si vedeva già dalla cover del gioco, dove Scorpion e Sub-Zero, indiscusse icone della serie, erano pronti a darsele di santa ragione in nome della loro antica rivalità. Mortal Kombat fu in grado di soddisfare sia i palati dei fan storici che dei neofiti: oltre alla solita abbondante dose di sangue digitale, vennero introdotte delle mosse speciali chiamate X-Ray che permettevano di togliere almeno un quarto di energia all’avversario, dopo avergli fracassato le ossa in maniera brutale, e una nuova serie di fatality che non lasciavano spazio all’immaginazione. I lottatori si padroneggiavano in maniera immediata e le loro mosse speciali si attivavano con una semplice combinazione di tasti, senza doversi slogare le dita come in passato. Venne introdotto anche il tag team, che permetteva l’alternanza di due differenti lottatori durante il match. La longevità era garantita dalle numerose modalità offerte dal titolo oltre alla storia: La skalata (da affrontare per vedere il finale di ogni personaggio), la kripta (che permetteva di sbloccare nuove mosse) e tutta una serie di divertenti mini-giochi. Ottimo anche il parco lottatori, che, oltre ai volti storici, comprendeva interessanti aggiunte extra come Kratos (in esclusiva per la versione PlayStation3) e Freddy Krueger della serie Nightmare.
Per quanto mi riguarda, Mortal Kombat è stato uno dei pochissimi esponenti del genere che ho giocato a fondo in tutte le modalità, finendo per padroneggiare discretamente buona parte dei lottatori, e per uno che non ha mai amato i picchiaduro troppo tecnici è stato una manna. Il titolo, a dieci anni dalla sua uscita, ha centrato il bersaglio, ovvero riaccendere l’interesse per la saga, tornata prolifica in termine di uscite videoludiche (alternata alla serie Injustice, sviluppata sempre da NetherRealm Studios) e con un nuovo film in uscita questo mese.