Old! #87 – Novembre 1994
Old! è esattamente quella stessa rubrica che da vent'anni vedete apparire su tonnellate di riviste o siti di videogiochi. Quella in cui si dice "cosa accadeva, nel mondo dei videogiochi, [inserire a piacere] anni fa?" Esatto, come su Retro Gamer. La facciamo anche noi, grazie a Wikipedia, pescando in giro un po' a caso, perché siamo vecchi nostalgici, perché è comoda per coprire il sabato e perché sì. Ogni settimana, anni Settanta, Ottanta, Novanta e Zero, o come si chiamano. A volte saremo brevissimi, a volte saremo lunghissimi, ogni singola volta si tratterà di una cosa fatta senza impegno, per divertirci assieme a chi legge, e anzi ci piacerebbe se le maestrine in ascolto venissero a dirci "oh, avete dimenticato [inserire a piacere]".
Il 10 novembre del 1994 è il giorno in cui ci lascia, dall'alto dei suoi ottantaquattro anni, William Higinbotham, creatore di Tennis for Two, primo gioco elettronico interattivo analogico della storia e uno fra i primi giochi elettronici muniti di display grafico. Originario di Bridgeport, nel Connecticut, Higinbotham ha a curriculum anche un ruolo importante nello sviluppo della strumentazione radar e, ehm, della bomba atomica, ma in questa rubrica, ovviamente, preferiamo ricordarlo per il gioco seminale di cui sopra.
Tennis for Two risale al 1958 e venne creato da Higinbotham come passatempo per intrattenere i visitatori del Brookhaven National Laboratory, in cui lavorava. Basato su un computer analogico Donner Model 30, il gioco utilizzava un oscilloscopio per mostrare il percorso di una pallina su un campoo da tennis. Tramite un tasto si colpiva la pallina e con una manopola si controllava l'angolazione del colpo. Ricorda niente? Difficile non considerare Tennis for Two un fondamentale antenato della "Pong-mania" che colpì poi gli anni Settanta, eppure il gioco di William Higinbotham è stato dimenticato per parecchio tempo, al punto che il suo ruolo fondamentale nella genesi del videogioco come lo conosciamo gli verrà realmente riconosciuto solo nel corso degli anni Ottanta.
Il 21 novembre 1994 esce nei negozi un videogioco piuttosto importante ma del quale, lo ammetto con una punta di colpevolezza, non me n'è mai fregato nulla. Sto parlando di Donkey Kong Country, primo gioco dedicato allo scimmione non curato direttamente da un comunque coinvolto Shigeru Miyamoto. A dirigere il progetto è infatti Tim Stamper di Rare e il risultato è un mastodonte capace di vendere nove milioni di copie, risultando a conti fatti il secondo titolo di maggior successo pubblicato su Super NES.
Donkey Kong Country si allontana parecchio dalle origini del personaggio creato tanti anni prima e propone un gioco di piattaforme a scorrimento orizzontale, carico della fissa per il collezionismo che caratterizzerà la Rare di fine anni Novanta e dotato di multiplayer cooperativo e competitivo. Inoltre, è uno dei primi giochi ad adottare la grafica pre-renderizzata, una tecnica che Rare abbraccerà in seguito anche per Killer Instinct. Il successo del gioco dà ovviamente vita a una serie, con tre episodi sviluppati ancora da Rare (i seguiti diretti su Super NES e Donkey Kong 64 su Nintendo 64) e, successivamente, Retro Studios a curare Donkey Kong Country Returns su Wii e Donkey Kong Country: Tropical Freeze su Wii U. Il gioco originale, invece, verrà convertito su Game Boy Color nel 2000 e su Game Boy Advance nel 2003, prima di arrivare sulle Virtual Console Wii e Wii U.
E a proposito di videogiochi importanti per i quali non ho mai avuto particolare interesse, il 23 novembre del 1994 esce Warcraft: Orcs and Humans. All'epoca, sono trascorsi due anni dall'uscita di Dune II, il gioco di Westwood Studios che ha recuperato elementi di svariati titoli passati per definire i tratti essenziali del genere RTS, e dal nulla spunta il capolavoro di Blizzard Entertainment, che, assieme al successivo Command & Conquer di Westwood Studios, andrà a sancirne definitivamente l'esplosione.
Fra le innovazioni introdotte dal primo Warcraft, Wikipedia mi segnala diversi tipi di missioni mai visti prima e la modalità skirmish, che propone battaglie indipendenti e separate dalla campagna principale. Il gioco di Blizzard, inoltre, pur non essendo certamente il primo RTS a proporre una modalità multiplayer, si rivela fondamentale nel consolidare l'importanza di internet (e delle reti locali!) per il genere. Chiaramente Warcraft riscuote un successo clamoroso, il più grande per Blizzard fino a quel punto, e andrà a generare negli anni due seguiti, i diversi capitoli della variante sci-fi Starcraft e un certo qual World of Warcraft.
Fra 21 e 22 novembre del 1994, Sega continua il suo percorso che, nel giro di pochi anni, la porterà a uscire definitivamente dalla guerra dell'hardware. Prima propone il 32X, espansione per il Sega Mega Drive pensata per potenziare le capacità della console e fare da ponte nel passaggio alla generazione successiva. Si rivelerà un discreto fallimento, anche a causa di una lineup non proprio devastante. Fra i giochi più riusciti, comunque, si segnalano Knuckles' Chaotix, Star Wars Arcade e Virtua Fighter. Appena due anni dopo la messa in vendita originale, il 32X farà ciao ciao con la manina. Quanto a Sega Neptune, l'annunciata e mai messa in vendita console in grado di far funzionare i giochi per 32X senza dover essere collegata a un Mega Drive... lasciamo stare.
L'altra grande mossa targata Sega di quei giorni è l'uscita del Sega Saturn in Giappone. Al Saturn vogliamo decisamente più bene, grazie alla discreta quantità di capolavori che ospita e al fatto che, paradossalmente o forse no, il suo scarso successo finirà per dar vita a una macchina su cui trovano spazio diversi giochi interessanti e fuori dagli schemi. Senza contare che la predisposizione per la grafica bidimensionale genererà parecchi giochi invecchiati decisamente meglio rispetto alla marea di produzioni 3D del tempo. Per un certo periodo, nonostante le difficoltà di Sega e la barzelletta Sonic X-Treme, il Saturn non va male e, anzi, riesce a tenere le mani salde su una buona fetta del mercato americano, ma arrivati al 2006 è ormai evidente che PlayStation sta tirando raffiche di schiaffi a tutti e non ci vorrà molto altro perché Sega decida di dedicarsi anima e core alla sua console successiva. Un altro successone, per altro.
Chiudiamo la rassegna di questa settimana con King's Quest VII: The Princeless Bride, primo episodio della storica serie di avventure grafiche firmate Roberta Williams a poter vantare un motore grafico in alta (per l'epoca) risoluzione, applicato a uno stile visivo a cartoni animati. Non vi basta? Diciamo allora anche che è il primo King's Quest a dividersi in (sei) capitoli indipendenti e proporre due diversi protagonisti nelle mani dei giocatori. Inoltre, vede l'introduzione di un'interfaccia dinamica, con un puntatore che si attiva in maniera contestuale con l'ambiente di gioco, abbastanza standard altrove ma novità assoluta per la serie.
Piuttosto scollegato dalla saga (è l'unico episodio in cui non appare re Graham!), anche se comunque inserito nella cronologia, King's Quest VII è una buona avventura grafica, per quanto non ai livelli massimi della serie, ma all'epoca viene accolta da opinioni contrastanti. Col senno di poi, si rivelerà essere l'ultimo King's Quest anche solo vagamente tradizionale, dato che l'ottavo episodio andrà ad abbracciare la strada "sperimentale" intrapresa da Sierra negli anni immediatamente precedenti alla propria chiusura.