Outcast GOTY 2015
Ed eccoci qua, sempre insieme appassionatamente, al termine del quarto anno di Outcast nel formato attuale, pronti a tirare le fila dei dodici mesi videoludici appena conclusi alla nostra maniera, quindi totalmente accazzodecane. Come piace a noi outcazzari.
La modalità è quella ormai tradizionale, al punto che adesso copincollo un pezzo del testo di un anno fa, all'insegna del riciclo totalmente privo di vergogna: ho contattato un mucchio di gente presa a caso, fra membri fissi dello staff di Outcast, altri che partecipano in maniera molto saltuaria e tizi pescati per strada, e ho chiesto loro di scrivere del proprio gioco dell'anno (e perché) e di un altro premio a caso per puro gusto personale (e perché). Ovviamente poi hanno quasi tutti ignorato le mie istruzioni e fatto un po' quel che volevano, ma d'altra parte, che ci vogliamo fare, questo è Outcast, Outcast è così.
Di seguito trovate quel che ne è venuto fuori, un bordello di opinioni e segnalazioni buttate via che potrebbero magari farvi scoprire quel giocone in precedenza ignorato o anche solo darvi qualcosa d'interessante da leggere mentre digerite ill macello gastronomico di fine anno. O magari qualcosa da leggere di non particolarmente interessante. Vai a sapere.
Ah, ho anche cercato di linkare, dove possibile, le nostre recensioni dei giochi trattati. Non ho linkato i podcast in cui ne parliamo perché non ci allarghiamo. Non ho messo i link ad Amazon perché perfino io conosco il significato della parola "vergogna". Fermo restando che, oh, c'è il banner lì a destra (e il link per Amazon UK, se preferite, sta nella sezione dei contatti).
Basta, direi che è tutto, buona lettura e buon anno.
Stefano Talarico
Gioco dell’anno:Rocket League
Perché? Perché se penso ai videogiochi di quest’anno, la prima immagine che mi viene in mente è quella delle sere di luglio (sì, praticamente tutte) passate su PlayStation 4 a scannarmi con gli amici a Rocket League. Un mese intero, seguito dai primi giorni di agosto e interrotto solo dalla Gamescom, che dopo l’avvento di Rocket League aveva perso anche quel briciolo di interesse che le era rimasto ma ormai era tutto pronto, e bisognava andare lo stesso. Rocket League è “i videogiochi come vorrebbero venderceli nel 2015”, ovvero la roba social online da giocare con gli amici e destinata a diventare più grande del gioco stesso. Ma, a differenza di tutti quelli che ci hanno provato disperatamente (vedi Destiny e Star Wars Battlefront, che più o meno ce l’hanno fatta, ma senza dimenticare Titanfall e Evolve, che invece sono morti male sul nascere), Rocket League c’è riuscito senza neanche provarci (con i conseguenti problemi di stabilità dei primissimi giorni risolti praticamente subito, alla faccia dei tripla A), e questo dimostra una volta di più di che gioco incredibile stiamo parlando. Senza contare poi che, porca miseria, Rocket League è *davvero* un gioco. Una di quelle cose a cui ti attacchi per dimenticare il logorio della vita moderna e divertirti, sentendoti in qualche modo migliore, più leggero, più in grado di segnare il gol della vittoria allo scadere, in retromarcia volante, guidando il camionetto dei gelati di Twisted Metal. Beat that, triple A!
Il gioco giusto del 2015:Not a Hero
Perché? Perché non volendo fare seicento categorie extra come i bambini indisciplinati, preferisco fare il compromesso giusto e un po’ cerchiobottista. Anche quest’anno, come categoria opzionale, avrei proposto quella del “gioco più divertente”, ma la verità è che, con la scusa dell’uscita su PlayStation 4 e PS Vita, avrebbe vinto di nuovo Super Time Force (Ultra), uscito già l’anno scorso (e in effetti mio GOTY 2014). Anche perché quest’anno l’ho finito meglio, con più calma, sbloccando molta più roba e godendomi di più i singoli livelli e le singole meccaniche di gioco, e mamma mia che cazzo di capolavoro è, Super Time Force (Ultra). D’altro canto, non posso davvero dimenticarmi di Downwell, una droga pesante dal design sopraffino e sicuramente uno dei giochi migliori di questo 2015, ma purtroppo Downwell non l’ho ancora finito (e non credo ci riuscirò mai), perché è un gioco veramente, veramente difficile, di quelli che li apprezzi tanto ma dopo un po’ che prendi calci in faccia li molli un attimo, prima di spaccare tutto. Quindi, il gioco giusto del 2015 è Not a Hero: sparacchino stupido e delizioso come Super Time Force (Ultra), difficile (ma non come Downwell), divertente come pochi altri giochi usciti negli ultimi 365 giorni, e con una colonna sonora chiptune che ti martella il cervello anche a gioco finito. Per altro, è uscito a maggio e tanta gente se lo sarà anche mezzo dimenticato, in mezzo al delirio tripla A invernale, quindi, se non lo avete ancora fatto, dovete recuperarlo per forza. Lunga vita a BunnyLord!
Davide Moretto
Gioco dell'anno: Everybody's gone to the rapture
Perché? Ebbene sì, alla fine in questo 2015 il gioco che giudico il migliore è in realtà il non gioco dell'anno, Everybody's Gone to the Rapture. Molti lo considerano una schifezza o, se sono buoni, una roba di una noia mortale, per me invece è stato un'esperienza bellissima, un gioco che mi ha fatto vivere, per la sua durata, le vite e le speranze degli abitanti di una cittadina inglese, coinvolti dalle loro vicissitudini giornaliere, come amori e discussioni, ma anche spaventati dalla terribile catastrofe che incombe su di loro. Il progetto di The Chinese Room mi ha emozionato e trasportato, grazie anche a una colonna sonora incredibilmente evocativa e a un impatto grafico decisamente sopra la media. Posso capire chi non ha apprezzato questo piccolo gioiello, anche se ovviamente ha un cuore di pietra e un'anima nera.
Premio "Ma io rivoglio Rogue Leader": Star Wars Battlefront
Perché? Quando tutte queste parole saranno disponibili su Outcast, il mondo sarà alle prese con le discussioni nerdiche su Star Wars VII già da diversi giorni, ma questo non toglie che giocare a Star Wars Battlefront nella modalità "Squadrone di caccia" ha risvegliato in me la voglia di un gioco basato sulla saga di Star Wars come Dio comanda, ovvero un nuovo capitolo (mi accontento di un reboot, remake, re-qualcosa) della serie Rogue Squadron. Ecco, EA, fai così: prendi le persone che furono di Factor 5, rimettile insieme e fagli fare un Rogue Leader Remastered per la generazione attuale. Tranquilla, continuo a giocare a Battlefront, che ti è uscito proprio bene.
Giuseppe Colaneri
Gioco dell'anno: Undertale
Perché? Perché è un JRPG che non è un JRPG, un gioco che sa raccontare ed emozionare con pochissimi pixel, un protagonista sostanzialmente muto, un battle system che permette di non combattere e un microcosmo di personaggi tanto stereotipati quanto mutlisfaccettati. Ti prende per mano, Undertale, e ti sembra qualcosa che in realtà non è, per poi rivelarti la sua vera natura prima tramite indizi e poi attraverso un paio di espedienti che sembrano un vero e proprio schiaffo in faccia al giocatore fin troppo abituato ai soliti cliché. Undertale per me è stato una delle esperienze più belle, folgoranti e struggenti. Una vera e propria opera di genio. Undertale è il Mother 4 che il mondo non si merita, ma che per fortuna ha avuto. Di più non vi dico, perché il bello del gioco è anche scoprirlo e scartocciarlo come una gustosa scatola di cioccolatini. E non voglio mica che sappiate cosa vi capiterà di trovare.
Premio “Non puoi lasciarmi così”: Overwatch
Perché? Ti ho bramato. Ti ho voluto e ti ho anche sognato, lo ammetto. Ho persino applaudito alla scelta di uscire a sessanta euro piuttosto che in formula free to play. Ho sbavato sui tuoi concept art e frugato tra le indiscrezioni sui tuoi eroi, i loro poteri e i loro retaggi. Ma non mi hai fatto accedere alla tua beta, e ho sofferto un po’. Eppure, quando me ne ero fatto una ragione, spunti con un weekend di stress test e mi permetti di provarti. Sono rimasto folgorato. La fusione perfetta delle meccaniche di Team Fortress con personaggi MOBA-style, ma senza amenità come level up o negozi in game. Tre giorni di passione intensa poi sfumati al lunedì. Mi hai lasciato, come si suol dire, sedotto e abbandonato. E come dicevano i più grandi saggi degli anni ’90 in un italiano stentatissimo, non puoi lasciarmi così.
Andrea Maderna
Gioco dell'anno: Her Story
Perché? Perché è bellissimo, perché ai giochi che mi spingono a scribacchiare sul foglietto di carta voglio sempre un bene dell'anima e per le cose di cui ho parlato nell'ultimo Videopep.
Rimpianto dell'anno: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
Perché? Ho iniziato a giocarci* tutto convinto nei giorni precedenti alla registrazione dell'Outcast Magazine in cui ne abbiamo parlato, ma poi l'ho mollato lì, un po' perché stavo finendo Mass Effect 3, un po' perché la vita continua, e non l'ho più ripreso in mano. Un giorno lo farò, ne sono sicuro, così come sono abbastanza convinto che se l'avessi finito sarebbe stato il mio gioco dell'anno. Ma che ci vogliamo fare?
*In realtà ho iniziato Ground Zeroes e non sono riuscito a finire manco quello. Vedete un po' come sto messo.
Fabio Bortolotti
Gioco dell'anno:Just Cause 3
Perché? Ho appena scritto una recensione, quindi leggetevi quella. Oppure prendete la tuta alare e volatevene affanculo.
F. Cinquemani
Gioco dell'anno: Pac-Man 256 - Endless Arcade Maze
Perché? Perché a fare i giochi originali siamo bravi tutti. Perché pure le megaproduzioni: dammi cento milioni di dollari e duecento polacchi e te lo faccio pure io The Witcher 3. Perché invece provaci tu a fare un remake del gioco più copiato e riciclato della storia dei videogiochi come manco Space Invaders. Un gioco che già aveva ricevuto un lifting poderoso tuonante spacca culi con Pac-Man Championship Edition DX. E invece i nuovi re dell'arcade (perché, di nuovo, provaci tu a fare Crossy Road e Shooty Skies) hanno tirato fuori la versione di Pac-Man per cellulare definitiva. Controlli perfetti, lunghezza media di una partita e difficoltà divinamente calibrate e monetizzazione onestissima. Pac-Man è anche in questa versione un gioco magnetico, capace di farti stringere il culo quando ti trovi fra due fantasmi e di farti venire le nocche bianche appena ti rendi conto di essere vicino a battere il tuo record personale. Però è nuovo e fresco. Siamo tutti vecchi bacucchi incarogniti e odiamo le cose dei giovini, OK. Ma se sei cresciuto nelle sale giochi negli anni '80 e oggi snobbi i giochi mobile sei un imbecille. Perché è lì che lo spirito arcade vive.
Miglior Gioco che non hai giocato: Grow Home
Perché? Lo spiego qui; non mi fate ripetere le cose.
Marco Calcaterra
Gioco dell'anno: Rocket League
Perché? La mia esperienza con Rocket League? Nessun problema. Oltre 130 ore di gioco macinate su un vero e proprio sport digitale, che finalmente restituisce il gusto del gol all'abilità manuale del giocatore. La curva di apprendimento può apparire un filo ardua all'inizio, ma allenandosi con regolarità i miglioramenti saranno evidenti, come anche la soddisfazione di portare a compimento giocate spettacolari. La durata delle partite (7 minuti circa, replay compresi) è perfetta per il mondo dei videogiochi odierno e giocare 1v1 o 3v3 risulta un'esperienza così diversa da garantire una longevità intrinseca potenzialmente infinita. So che sono usciti dei giochi eccezionali quest'anno, ma voglio premiare Rocket League, un gioco che ha il sapore di un capolavoro per Amiga in ritardo di 25 anni.
Lorenzo Antonelli
Gioco dell'anno: DiRT Rally
Perché? Colin McRae è morto, Richard Burns è morto pure lui e il miglior rally dell'anno, o probabilmente del decennio, ma diciamo pure di sempre, è DiRT Rally per PC, con le maiuscole e minuscole messe un po' a caso, ma a me che cazzo me freca a me, conta il gameplay.
Si tratta di un autentico sogno infangato/innevato per ogni buon appassionato della disciplina in fuoristrada. Il parco auto provoca copiose erezioni ai grandi appassionati: tutte le vetture più iconiche del passato e del presente, dalla Lancia Fulvia alla Stratos, passando per Delta Integrale, Delta S4, Lancia 037, Escort RS2000, Subaru Impreza, Peugeot 205, le "belve" con alettoni mostruosi dedicate alla cronoscalata in Colorado e le più recenti auto da rally. In buona sostanza, dagli anni Sessanta a oggi, godetene vieppiù. E poi, e poi, oh mio dio, ogni sbandata è un'emozione unica, ogni ripartenza da uno stretto tornante fa eicaulare gli scarichi e le orecchie, si percepisce tutto il grip meccanico a centro curva, un force feedback di ottima categoria e gli pneumatici che mordono (o tentano di farlo) le credibilissime tipologie di terreno. E graficamente, beh, fa paura, non scatta, è drammatico, squisitamente inquietante e… guarda, l'unico difettuccio sono certe ombre nel bosco un pizzico troppo spigolose, ma ci si sgomma sopra e passa la paura.
DiRT Rally fa a brandelli qualsiasi concorrente (morto, semi-morto o ancora vivo). È un simulatore appagante, raffinato ed estremamente esigente sul piano fisico (nel doppio senso del termine, se si possiede un buon volante). Il nuovo rally di Codemasters non perdona chi non frena / sa frenare / ascoltare il navigatore e gratifica i piloti più coraggiosi e capaci di danzare sui pedali. Se amate il rally in ogni sua forma, DiRT Rally è la risposta, oltre che il mio cazzo di GOTY 2015 in derapata.
Premio "Ma a me che cazzo me ne freca a me della trama!": Panau 3!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Davide Mancini
Gioco dell’anno: Life is Strange
Perché? Il motivo principale è che probabilmente il passaggio ai trenta ha fatto scattare qualche processo automatico che mi rende automaticamente nostalgico e ipersensibile a qualsiasi cosa stile anni ’90. La mia regressione a ragazzina adolescenziale uscita da Non è la RAI si sposa perfettamente con il gioco Dontnod, che, diciamocelo, è fatto proprio per tutti quelli come me che vedevano TRL e si innamoravano di Giorgia Surina. Dato che però c’è chi sostiene che sia una specie di persona che scrive di videogiochi seriamente, aziono il generatore random di motivazioni GOTY e vado a manetta con il discorso serio: Life is Strange è uno di quei giochi che “mancavano”, se non nella forma, derivativa ma con gusto, perlomeno nei contenuti. Mancava una storia adolescenziale in cui affezionarsi ai personaggi e alle loro emozioni più che alle loro vicende straordinarie. Mancava una serie su cui fare speculazioni becere sugli amori, le simpatie e le ambiguità dei personaggi utilizzando come metro di giudizio le categorie della vita quotidiana. Certo, alcuni dialoghi sono palesemente scritti da finti giovani e ci sono un paio di momenti di stanca, ma gli ultimi due episodi spazzano via qualsiasi dubbio. Al di là dei risvolti fantascientifici, che portano a un dramma finale un po’ scontato ma gestito con cura, il mix di normalità ed eccezionalità dell’arco narrativo di LiS e delle sue scelte mi ha conquistato tanto da entrare a far parte della mia vita come qualcosa di cui ho sentito di dovermi preoccupare. E questo vuol dire due cose: uno, che sto male, ma soprattutto che Dontnod ha fatto davvero centro. Per il resto, ci sentiamo l’anno prossimo con Crossing Souls.
Premio “Dovevano chiamare René Ferretti”: NBA 2K16
Perché? Se avessero affidato al maestro di Boris la regia di MyCareer, invece che a Spike Lee, l’ultimo capitolo del franchise 2K sarebbe entrato davvero nella storia. Al posto di NY, Fiano Romano, senza distinzione di razza, colore e forma, perché “er sogno” non sarebbe stato precluso a nessuno. E invece no, ci siamo dovuti sorbire Spike Lee, il suo razzismo al contrario e la fantastica scena del mio giocatore bianco nella famiglia di colore. A pensarci bene, però, Spike e René hanno qualcosa in comune, dato che Livin’ the Dream segue oggettivamente i canoni del rigoroso “a cazzo de cane”. Nonostante ciò, però, NBA 2K16 riesce a essere uno dei giochi più divertenti dell’anno, la miglior simulazione sportiva di sempre, e a coniugare in un solo titolo gli omologhi cestistici di FIFA e Football Manager, con tanto di visuale a pallini dall’alto se vi rompete le palle di giocare per l’ennesima volta contro Philadelphia, che tanto si batte da sola.
Danilo Dellafrana
Gioco dell'anno: Metal Gear Solid V
Perché? Perché non me l'aspettavo nemmeno io. L'ho comprato con sensibile ritardo, impermeabile all'hype e ai filmoni spacca maroni di Kojima, però mi sono trovato a mettere la sveglia alle sei del mattino per giocare quel paio di ore extra prima di andare in ufficio. E poi altre due nella pausa pranzo, e poi ancora la sera, stile tossico. Mi è piaciuta la polverosa direzione artistica, con quell'Afghanistan soleggiato e immenso, il mio impero mercenario da costruire un po' alla volta e D-Dog, inseparabile compagno di scorribande e uccisioni furtive a go-go. Sopratutto, mi è piaciuta l'enfasi sulla componente ludica a discapito di una narrazione opprimente e soporifera, una cosa che magari ti aspetti in un videoGIOCO ma che non dai mai per scontato con Hideo alla regia. Mi mancano i boss carismatici, unici e folli; quello sì. Lo scontro con una colonna di mezzi corazzati non regge il confronto con i nervosi momenti spesi assieme a Vulcan Raven o The End, ma complessivamente ho amato l'ultimo Metal Gear come mai mi sarei aspettato, dedicandogli un quantitativo di ore impensabile a questa età e con questi ritmi. Promosso, e il "secondo tempo" con il vero finale mi è piaciuto parecchio; del resto come puoi bocciare una sequenza finale in cui appare un MSX-2 SONY Hit Bit HB-F1?
Premio frechete: Bloodborne
Perché? Dolcissimo generatore di bestemmie a nastro, ma anche di remunerativo divertimento. Ogni progresso è una soddisfazione e le armi da fuoco mi hanno fatto dimenticare gli scudi, da sempre in cima alle mie priorità in ambito di equipaggiamento durante i precedenti soulslike. Schioppettata in faccia seguita da un attacco critico è il nuovo nirvana, insomma. TRUE FACT: Mia moglie ha messo un calendario vicino al pad, dopo aver notato il leitmotiv degli improperi che provenivano durante ogni sessione. Sai mai che manchi l'ispirazione. TRUE FACT 2: Un tavolino dell'Ikea che uso solitamente per poggiare pad, Zzap!, Retro Gamer e roba simile ha un angolo costantemente coperto. Lì c'è un piccolo cratere creato dal sixaxis durante uno scatto di ira causato da non ricordo più quale boss.
Biagio Etna
Gioco dell’anno:Bloodborne
Perché? Il gioco dei From Software è stato sviscerato dagli “esperti” del settore in lungo e in largo. Se n’è parlato ovunque, quindi immagino che non ci sia nulla di realmente nuovo o interessante da aggiungere, se non delle personalissime considerazioni di carattere emotivo. Amo praticamente tuttodi Bloodborne: è una mistura meravigliosa e devastante di orrore, oscurità, eleganza, follia e morte. Il gotico si fonde magistralmente con un oscuro sottotesto a metà tra Berserk di Kentaro Miura e le novelle di Lovecraft. Nonostante alcune trascurabili ingenuità – soprattutto riguardo il grinding degli oggetti più utili – Bloodborne riesce a trasmettere una fisicità, una possenza e una brutalità nei colpi inferti che raramente ho ravvisato ingiochi simili. Certamente ci sono molti altri action, soprattutto di matrice nipponica, che brillano in tal senso, e gli stessi titoli From Software sfoggiano con fierezza velleità simili. Ma cacchio, in Bloodborne senti proprio il colpo che vibra mentre squarcia la carne dei nemici, vedi la tua arma volteggiare sotto una pioggia vermiglia e cambiare forma, in un rumore di metallo e sangue da lasciare senza fiato. Poi c’è tutta la parte narrativa, che sembra buttata lì tra le descrizioni degli oggetti e qualche dialogo, e invece è un meraviglioso e straordinario puzzle da costruire. Davvero, c’è così tanto lore in Bloodborne da far impallidire il più ambizioso tra gli RPG. Scopri la follia, gli Antichi, la menzogna della chiesa, il sangue smunto, l’ascesa verso gli dei e non ti capaciti di come la narrazione riesca a dire più nel silenzio e nella scoperta di quanto non facciano delle sfavillanti cut-scene. Infine, dopo che hai passato ore e ore di gioco dentro e fuori le mura di Yarnham, nell’incubo, il sogno, i labirinti dei Calici, esce un DLC dove il primissimo boss e relativa colonna sonora ti colpiscono al cuore almeno quanto tutta la prima metà del gioco. A quel punto non può non scoppiarti il cervello. Benvenuto, buon cacciatore.
Il più bel gioco che però non giochi: Super Mario Maker
Perché? E’ bello pasticciare con i Lego, la sabbia, la creta, il Das o il Pongo. Si tratta di sensazioni intime, istintive e primordiali, che ognuno di noi ha provato fin da bambino, almeno una volta. Immaginate, quindi, quanto possa essere divertente pasticciare con dei pezzi di Super Mario. No, davvero, disseminare una tela bianca di monete, blocchi, tubi, fino a veder spuntare un livello giocabile, uno stage fatto da noi, trasmette le medesime sensazioni che tutti abbiamo provato dopo il nostro primo castello di sabbia (o pupazzo di neve). Poi c’è la gratificazione planetaria, i voti, i commenti delle persone che giocano il tuo livello “n” volte scrivendoti che fa cagare o è meraviglioso. Senza contare le opzioni che Nintendo ha offerto gradualmente per raddrizzare gli iniziali problemi insiti di ogni editor. Rimani lì a decidere cosa costruire, dove, come, infilando un pizzico di sadismo in ogni passaggio, oppure sfoggiando la tua creatività in livelli musicali o autonomi (che dopo un po’ ho cominciato a odiare, ma che rimangono obiettivamente dei grossissimi lavori). Super Mario Maker è il passatempo per eccellenza: inizi a pianificare uno stage e quando l’hai concluso sono passate due ore, senza essertene minimamente accorto. Ti ritrovi così felice e orgoglioso che non vedi l’ora di condividere le tue creazioni con tua moglie\fidanzata\figlio\amico\cugino. Anche se sono a digiuno di videogiochi, anzi! Con soddisfazione ancora più grande nel caso il coinvolgimento riuscisse a creare nuovi “adepti” di questa straordinaria passione. Super Mario Maker è capace di tutto questo, tra le altre cose.
Gregory Raffa
Gioco dell'anno: Super Mario Maker
Perché? Quest'anno non ho avuto modo di giocare molto, nemmeno con cellulari e dispositivi portatili, ma tenendoci comunque a dire la mia, partecipo all'annuale GOTY di Outcast nominando il buon Super Mario Maker, che non solo é uno dei pochi titoli a cui ho giocato, ma un vero e proprio manuale di game design, soprattutto per chi con Nintendo ci é cresciuto. Super Mario ha una grammatica videoludica radicata nell'essere umano (non ho detto giocatore) che poche altre opere possono vantare. Vedi lo schermo e sai cosa devi fare. Sai che devi saltare sulla tartaruga e che il suo guscio schizzerà via. Capisci al volo cosa ti farà male e cosa no. Questo é qualcosa di impagabile. La comunità sta ampliando i livelli in maniera incredibile, grazie a un editor semplice ma soprattutto divertente da usare. Un Super Mario infinito, delizioso è pieno di amore. Questo é tutto quello che ho da dire, di più non serve. Acquisto obbligatorio.
Marco Mottura
Miglior gioco che ho aspettato per un anno intero e poi manco ho finito: Titan Souls
Miglior gioco indie scemo a cui ho voluto bene (e anche lui ne ha voluto a me): Bulb Boy
Miglior gioco che "dovevo alzarmi dal water 40 minuti fa e cazzo ormai ho perso completamente la sensibilità delle gambe": Downwell
Miglior gioco che "me ne parlavano tutti un gran bene, e in effetti c'avevano pure ragione (al di là della superficie di hipsterate moleste)": Life is Strange
Miglior gioco che "non gli ho dedicato il tempo che si sarebbe meritato, e ciò mi rende moderatamente stronzo anche perché mi ci stavo divertendo assai": Dying Light
Miglior gioco che "mi sento un coglione vero per non averlo nemmeno iniziato nonostante lo abbia lì sulla scrivania praticamente dal lancio": The Witcher 3
Miglior gioco che "fatemelo nominare perché lo abbiamo giocato in 34 e si sarebbe meritato ben altra sorte":Ori and the Blind Forest
Miglior gioco, punto e basta:Splatoon (di mezzo tentacolo davanti a Bloodborne)
Lorenzo Baldo
Gioco dell'anno: Bayonetta 2
Perché? Mi sono congedato dal 2014 (vedasi il precedente appuntamento con i GOTY di Outcast) con un Wii U che mi guardava sornione dalla mensola, cinto da una copia di Bayonetta 2 che urlava a gran voce “Prendimi, usami, fammi tua, sono la tua schiava!”. Oddio. Mi rendo conto che è un'immagine agghiacciante e probabilmente dovrei cancellare questa frase, per ripartire da zero facendo tabula rasa. Ma non lo farò, perché voglio regalarvi un attimo di disgusto.
Ora che avete rigettato anche l'anima, ritorniamo al dunque. Non solo ho tenuto fede all'ottimo proposito, ma per diversi mesi ho focalizzato la mia attenzione quasi esclusivamente su quel capolavoro senza pari, una delle tanti ragion d'essere della sfortunata ammiraglia di casa Nintendo. Scalognata perché – vuoi per l'assenza delle terze parti – non riesce a fare breccia nel cuore del pubblico. Ma non ho intenzione di andare fuori tema o dilungarmi sull'argomento.
Bayonetta 2 è un sequel al bacio, che spezza il malevolo incantesimo di Devil May Cry, incapace a suo tempo di ripetersi (almeno in quella tornata). Il solo prologo è l'esempio di cosa dovrebbe essere un'opera interattiva: un continuo crescendo di adrenalina, incorniciato da un pari climax visivo. Estasi che talvolta ripercorro solo per dilettarmi. E non me ne stanco mai.
Ma anche: Splatoon
Perché? Sempre in casa Nintendo, non posso non citare Splatoon: concept brillante, azione al fulmicotone, profondità strategica e un'offerta – quella della nuova IP – che a Kyoto hanno saputo ampliare a piccoli passi, fino all'agognata maturità (conseguita comunque nell'aggiornamento di agosto). Il futuro di questo sparatutto è più che roseo, al punto che mi auguro che NX alla fine risulti retrocompatibile, in modo da garantire l'avvenire ai server e alle infrastrutture di rete.
Capitolo indie: Ex aequo a Crypt of the NecroDancer e Downwell
Perché? Due titoli così lontani eppur così vicini. Li accomuno per la capacità di dare risalto alla formula roguelike, declinandola in due contesti completamente differenti. Il primo – lode a Brace Yourself – è uno dei rhythm-game più affascinanti dell'ultimo lustro, una gioia multisensoriale (e che splendida colonna sonora, santo cielo!). Downwell, e non è affatto poco, è un fulgido esempio di cosa sia in grado di realizzare la scena indie nipponica, metà del cielo che purtroppo (me ne rammarico) ci sfugge.
Broforce non volermene male: anche tu hai avuto un ruolo di spicco nel 2015 e non a caso, mentre mi congedo, ti menziono con tanto di mano portata alla fronte e battuta di tacchi.
Alessandro De Luca
Gioco dell’anno: Her Story
Perché? In passato questo premio mi ha sempre creato un sacco di problemi, perché di solito faccio fatica a identificare un gioco che mi sia piaciuto e mi sia rimasto impresso più di tutti gli altri. Quest’anno, invece, Her Story si aggiudica il premio a mani bassissime e senza il minimo dubbio, è nettamente il primo titolo che mi viene in mente quando ripenso a un gioco che è stato davvero memorabile. Ne ho parlato allo sfinimento nei podcast, con gli amici online e di persona, e non c’è molto altro da aggiungere di nuovo al riguardo, quindi mi scuso con chi ci segue regolarmente perché temo che mi ripeterò. Her Story non è solo stato il gioco che quest’anno mi ha regalato più emozioni, ma è anche quello che mi ha fatto provare emozioni nuove con un videogioco, che mi ha fatto scoprire e capire che è possibile interagire con il mio passatempo preferito in modi innovativi e creativi, ma soprattutto divertenti e coinvolgenti. L’opera di Sam Barlow dimostra che si può far credere ai giocatori di essere a capo della storia pur togliendo loro quasi completamente la libertà di scelta. Prende un concetto fondamentale del cinema, il montaggio, e lo adatta e plasma fino a farlo diventare il meccanismo fondamentale su cui basa tutta la meccanica ludica Her Story. Aggiungiamoci poi una storia complicata il giusto e con abbastanza punti oscuri da discutere, e abbiamo una vera gemma.
Premio “Vi ho voluto assai bene quest’anno, ma un po’ meno di Her Story” Qui ci metto, in ordine sparso, alcuni dei titoli a cui ho giocato quest’anno e che meritano una menzione particolare.
Bloodborne, per PlayStation 4, è stato il primo grosso titolo del 2015, e mi ha fatto godere forte. Non l’ho finito, purtroppo, e non ho nemmeno comprato il DLC uscito da relativamente poco, ma mi è piaciuto tantissimo come abbia preso l’idea di base dei vari Souls e l’abbia rinnovata per farne un gioco che ricordasse il giusto, e con rispetto, i suoi antenati. Dimostra anche come sia possibile fare “seguiti” spirituali di grandi saghe senza rinunciare a innovazione e novità di un certo spessore.
The Witcher 3: The Wild Hunt, su PC, che ho finito con gran godimento. Questo terzo episodio conferma che la saga di CD Projekt è una delle serie di giochi di ruolo più belle uscite negli ultimi anni. Forse è un po’ legnosetto dal punto di vista prettamente ludico, con alcune scelte di design che ancora mi infastidiscono assai, ma il mondo di Geralt di Rivia è tratteggiato in maniera superba, ed è sempre un piacere esplorarlo e avere a che fare con tutti i suoi personaggi. Anche i più subdoli e malvagi.
Rocket League, su PlayStation 4, a cui ho colpevolmente giocato troppo poco, ma che in quelle poche volte mi ha sempre fatto spaccare dal ridere, anche grazie alla compagnia di tanti amici. Un giocone e una sorpresa davvero inaspettata.
Hearthstone, su PC. Nonostante l’espansione de Il Gran Torneo sia stata abbastanza deludente, la nuova Lega degli Esploratori ha introdotto una marea di novità con molte meno carte. Il gioco continua a mantenersi sempre interessante e coinvolgente, è una discreta droga.
Monster Hunter 4, per 3DS. Vabbè, che ve lo dico a fare. Ci ho buttato dentro in scioltezza circa 200 ore, e sono state 200 ore di farming e bestemmie e divertimento, da solo e in compagnia del buon Surgo. Ora non vedo l’ora che arrivi l’X (uscito da poco in Giappone).
Alessandro Billeri
Gioco dell'anno: Brothers: a Tale of Two Sons
Perché? Sarò pazzo ma nomino un gioco del 2013 come gioco dell'anno, quello che secondo me é stato il più bel gioco della generazione PS3: Brothers: a Tale of Two Sons, che é uscito, finalmente, su iOS. Brothers é una favola, a tratti cupa, a tratti feroce, come ogni vera favola. Parla del rapporto tra due fratelli, della necessità dell'aiuto reciproco, ma se vi farete catturare, parla anche di molto altro, sovente lasciando parlare gli scenari... parla dell'assurdità della guerra, della piccolezza dell'uomo di fronte a questa, parla di amore, di tradimento, di fame, di morte, di vita, di vita vera, senza edulcorare la pillola. Emozione allo stato puro. Se c'è ancora un bambino da emozionare dentro di voi, Brothers lo troverà. E peccato per i controlli ostici (all'inizio da follia), che hanno pure sofferto nel passaggio al touch e che non prevedono un controller MFI. Tecnicamente si può definire un multiplayer per singolo giocatore e quindi qualche pecca dal punto di vista del controllo si può perdonare, ad un gioco che ha un'interfaccia così innovativa.
Menzione speciale: Lara Croft GO
Perché? Non credevo che un puzzle game isometrico fosse in grado di ricostruire le atmosfere del primo Tomb Raider. Eppure ci riesce perfettamente e viene voglia di finirlo dal primo all'ultimo quadro. Non sono riuscito a staccarmi.
Menzioni sparse: (lo so, non ce la faccio mai a dare due titoli soli come vorrebbe il capo) Legend of Grimrock, perché ci vogliono coraggio e classe a presentare un GdR vecchia scuola e a farlo in questo modo. Transistor, perché, anche se non è nelle mie corde, è un tripudio per gli occhi, un po' cyberpunk e un po' hack 'n slash, e atterra su tutte le piattaforme (compresa Apple TV) Geometry Wars 3:Dimensions, perché è uno spettacolo di azione pura e atterra magnificamente su tutte le piattaforme anche lui. Horizon Chase: World Tour perché sono anni e anni che un gioco di corse non mi acchiappava così tanto. Her Story, perché è geniale e inventa un genere.
Ah... la delusione dell'anno è stata la seconda parte di Broken Age.
Alberto Torgano
Premio “Christmas with the yours 2015”: Disney Infinity 3.0
Perché? Qua ci metto il primo gioco che ho completato con il mio figlioletto, che ormai ha fatto quattro anni, ovvero Disney Infinity!!! Ho comprato il 2.0 in versione paccone Marvel lo scorso febbraio o marzo, in offerta al 50%, e, tra super eroi, personaggi dei film Disney e ora personaggi di Star Wars, è stato uno stillicidio per il mio portafogli. Inoltre, anche se nella pratica il gioco lo ho finito io mentre Leonardo cazzeggiava volando con Iron Man, il set Avengers e quello Twilight of the Republic sono i primi giochi che ho terminato con lui, e soprattutto sono tra i giochi a cui ho dedicato più ore quest’anno, dato che ovviamente non posso giocare ad Assassin’s Creed con un bambino di quattro anni in stanza e la maggior parte del mio tempo libero la passo con lui. Per cui, volente o nolente, un premio a Infinity lo devo proprio dare. Sarà commerciale, tecnicamente scrauso, con menu veramente di cacca e meccaniche di gioco per lo più elementari, ma Infinity è divertente e soprattutto ha lo split screen e ti fa salvare quando vuoi! Skylanders, pur tecnicamente molto migliore, ha dei livelli terribilmente lunghi, che non permettono di salvare, quell’odiosa ragnatela bianca che unisce i due personaggi e tanti, troppi salti, e a giocarlo divento scemo perché ogni due secondi devo prendere il controller per fare un salto o un passaggio difficile. Per cui W Infinity!!! Almeno per un altro paio d’anni, mi sa che resterà il mio gioco da co-op domestica di riferimento!
Premio “Easter what you want 2015”: Wolfenstein The New Order
Perché? É il miglior regalo che ho ricevuto lo scorso Natale e quindi me lo sono giocato in gran parte nel 2015. Inoltre TNO è anche uno dei pochi giochi “AAA” che ho iniziato e finito nel 2015, per cui mi pare doveroso dargli un premio, dato che è riuscito ad accaparrarsi la mia attenzione abbastanza a lungo da convincermi a portarlo a compimento (che non è affatto cosa da poco, fidatevi!). TNO è un bell’FPS, cattivo al punto giusto, con un protagonista molto piacevole, qualche scena di sesso di troppo, dei nazisti super idioti e ambientazioni spettacolari. E considerando che sono molto, molto schizzinoso quando si tratta di FPS (colpa dell’adolescenza passata con roba come Doom, che fa sfigurare ogni cosa uscita negli ultimi quindici anni), il solo fatto che consideri TNO degno di essere rispettato come FPS è motivo di grande meraviglia. E devo anche dire che la lunghezza e la varietà del gioco sono proprio giuste, lo ho finito senza stufarmi e senza volerne ancora, e non fremo all’idea di un seguito, va bene così. Le uniche critiche che muoverei a Machine Games sono rivolte appunto alle scene di sesso, che sembrano sceneggiate da un adolescente infoiato, e alle orribili sezioni semi-esplorative della base, che se non lo facevano saltare i nazisti lo facevo saltare io, quel buco dimmerda. Per il resto, grandissimo gioco!
Premio “New Year’s Eve laddroga 2015”: Star Wars Jedi Knight 2
Perché? Qua avrei dovuto metterci ancora Brave Frontier, dato che ormai sono due anni ininterrotti che ci gioco, e inoltre ho il sospetto che in qualche GOTY Jedi Knight lo abbia già messo negli anni scorsi, ma sento comunque il dovere di dare un qualche riconoscimento a questo gioco, che ho finito nel 2015 dopo averlo iniziato nel 2012, durante la convalescenza da una piccola operazione, quando avevo a disposizione un PC piuttosto vecchiotto su cui girava ben poco. Ho giocato Jedi Knight a spizzichi e bocconi per tre anni, passando i salvataggi su due diversi PC e giocandolo in un sacco di posti diversi. A dirla tutta, potrei dire di averlo finito in tre o quattro periodi di gioco intenso, con tantissimi mesi di pausa in mezzo, causati principalmente dal fatto che su PC gioco prevalentemente col joypad e Jedi Knight non supporta bene i controller. Avrei potuto piantarlo come ho fatto con un miliardo di altri giochi, ma Jedi Knight è talmente ben fatto e talmente rappresentativo di un buon modo di fare videogiochi che ormai non si usa più, che proprio non ce l’ho fatta, e ho insistito e insistito a tenerlo installato fino a completare il gioco qualche mese fa. Grandissimo gioco, tantissima varietà, enigmi mentalissimi e il miglior combattimento con spada laser che la storia ricordi... non credo che sarò mai più tanto Jedi come lo sono stato nei panni di Kyle Katarn e certamente ricorderò con grande piacere questo gioco per il resto della mia vita. Kudos ai vecchi giochi di Star Wars e lunga vita a Jedi Knight! La Forza era davvero con te.
Luigi Marrone
Gioco dell’anno: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
Perché? Perché essere la propria irreprensibile identità – Kojima/Metal Gear – senza prostituirsi a chi non abbia ancora metabolizzato la tua intera storia, è cosa da pochi immacolati.
Perché The Phantom Pain diluisce la narrazione sfiorando quasi il mutismo, il non poter più parlare, poiché il linguaggio è un virus (William Burroughs) e l’identificazione o la separazione dovuta alla lingua unisce e divide più d’ogni altra realtà.
Perché l’esegesi di questo Metal Gear passa per la voce, il linguaggio parlato, e il giocatore che vuole avvicinarvisi senza mai aver provato a comprendere la sua lingua perde qualcosa nell’opera di traduzione, tagliato fuori solo da sé stesso, dalla propria mancanza di volontà di apprendere e partecipare.
Perché se giocato bene, vengono potenziati il senso di libera infiltrazione e il portato strategico dell’anima diun sand box al servizio di chi vi stabilisce complicità, di chi col videogioco ci sa fare.
Perché disattivare ogni icona dall’interfaccia, ogni marcatura dei soldati, restituisce una sensazione adrenalinica di infiltrazione, nudità e precarietà come nessun altro videogioco mai creato.
Infine, per l’emozione di un nuovo Metal Gear. Per la sensazione di vita che palpita dentro e che restituisce un nuovo Metal Gear. Perché The Phantom Pain è il Metal Gear che ti fa sentire l'antico contatto con un game design sognato ventotto anni fa, l'idea d’infiltrazione, il sogno egotico-pazzo di un esercito davvero libero. E tutto si trasforma in una antica emozione, o un dolore, per tutto il tempo passato - tempo cronologico, tempo tecnologico - sino a giungere ad oggi. Perché si possono attendere ventotto videoludici anni, come in un coma, affinché si verifichi l’emancipazione, affinché sia reso possibile l'esaudirsi di quel sogno di libertà. Ed è in questo che il videogiocatore, l'appassionato di Metal Gear, è equiparabile a Big - chiunque sia Big Boss - nel suo cuore anelante ad una libertà che oggi strappa via dall'anima il suo dolore-desiderio fantasma per innestarvi l'ultima opera, l'ultimo graffio di libertà firmato Hideo Kojima.
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è per chi ha vissuto nell'attesa dal passato. Per tutti gli altri, per le nuove generazioni, un qualcosa come una coscienza che difficilmente potranno sentire.
Perché dove molti sognatori erano in coma, altri non erano nemmeno nati.
Premio “Coraggioso videogioco oscurato da immeritata mistificazione commerciale.”: Mad Max
Perché? Condividendone setting, ambienti e personaggi, è facile credere che il Mad Max di Avalanche Studios sia solo un opportunista prequel narrativo, propulsore di Fury Road e pronto solo ad avvantaggiarsi di un feedback commerciale di ritorno.
Non è così. Mad Max possiede un referente cinematografico a cui agganciare la nostalgia del tempo andato, e non si chiama Tom Hardy ma Mel Gibson. È lui, il catalizzatore del tempo andato.
Difficile comprendere, per chi non sia nato a cavallo fra i ’70 e i primi anni ’80, cosa volesse dire vedere o sentirsi Mad Max (l’esaltazione della prima volta che, nel secondo capitolo della trilogia, Max tira fuori un canne mozze e consuma una preziosa cartuccia facendola esplodere contro gli invasati che lo assalgono). È vero che con i vari Fallout vengono esaurite tutte le zone contaminate, le passerelle rugginose, le paratie di lamiere, la scarsità d’acqua e munizioni... ma la Magnus Opus si fa oggi simbolo di un culto di potenza, di fuoco e di una mistica dei motori – oltre che di sabbia e deserto e polvere e sangue - che non era ancora stata sperimentata in tal modo in un videogioco.
Mad Max di Avalanche Studios è un prodotto non solo rispettoso dell’estetica dell’ultimo film, ma di una pulsione sedimentata nel passato. Un’esperienza dove è giustissima la profusione di “collezionabili”, dato che ognuno di questi, ogni fotografia o pezzo di carta strappata riemersa da un mondo perduto, tratta di un recupero di identità non solo di quel mondo perduto, quello di Max Rockatansky e dell’inferno sulla Terra che si è scatenato, ma della memoria dei videogiocatori, degli spettatori che in passato hanno vissuto quel mondo attraverso l’originale trilogia milleriana.
Infine, perché Mad Max avrebbe potuto non esistere. Esclusivo su piattaforme next gen, a ridosso di The Phantom Pain e derivato da suggestioni generazionalmente non così diffuse, si staglia nell’olimpo delle grandi produzioni come un faro che riaccende immaginari decantati nella memoria di chi credeva tutto dimenticato, ma che invece si può rivivere con epidermica aderenza oggi grazie ad un grande, coraggioso videogioco.
Roberto Magistretti
Gioco dell'anno: Super Mario Maker
Perché? Ho giocato poco e male, quest’anno, anche perché ho giocato praticamente solo su 3DS e su Wii U. E questo, per le console Nintendo e per chi ci gioca sopra, non è che sia stato proprio un anno di quelli formidabili. A parte una manciata (abbondante, e sia) di eccezioni, che quindi tanto eccezioni non possono essere, la qualità media dei giochi pubblicati da Nintendo è stata bassina. Rispetto ai suoi standard, chiaro. Resta il fatto che, costretto a scegliere un gioco per questo diavolo di 2015, sono obbligato a mettere a soqquadro le mie collezioni Wii U e 3DS e a scegliere, alla fin fine, tra Splatoon e Super Mario Maker. Vince il secondo, ma solo perché i platform mi stanno più simpatici degli sparacchini online. Le regole di base di Splatoon, infatti, sono talmente buone, semplici e raffinate da meritarsi l’ambito premio “Conflitto 2015 - Premio al Game Design”. Ma visto che almeno qui comando io e non il fantasma del mio bulldog, il premio lo rifilo al vecchio Super Mario. Che è sempre lo stesso di sempre, certo, ma che questa volta si è trovato a saltellare per livelli che sono stati disegnati & progettati da amici miei tipo Babich e MdM. O da loschi figuri che ho imparato a conoscere nella chat delle deliranti serate in streaming di Kenobit e Babich (c’è sempre, c’è). Sapete chi siete: grazie di tutto il level design. Mai, mai e poi mai dalle officine di Nintendo sarebbero venute fuori robe come quelle che avete messo assieme voi. E grazie anche a quelli di Nintendo, tutto sommato, che con Super Mario Maker hanno ribadito, per l’ennesima volta, che i Super Mario, come li fanno loro, nessuno mai. Appunto.
Premio “In alto i calici”: Satoru Iwata
Perché? E per chi se non per Satoru Iwata, l’ultimo brindisi? Da appassionato di videgiochi, e della storia loro, non posso far altro che alzare il bicchiere di chinotto alla sua memoria, non fosse altro perché mi ha dato la possibilità di giocare a una valanga di roba buonissima, stranissima, nintendosissima. Disgraziatamente non ho aneddoti personali da raccontare. Non l’ho mai incrociato, del resto. Non a Kyoto, quando visitai la sede di Nintendo per un’intervista balorda al Miyamoto. E non a Francoforte, quando il destino cinico e baro mi infilò per un anno sull’Arca di NoE. E anche se l’avessi incrociato, o se addirittura avessi avuto modo di parlarci, non potrei comunque scriverlo. E non potrò farlo ancora per tanto, tantissimo tempo. Tranquilli, comunque: le biografie postume sono fatte apposta per casi come questi. E in quella di Conflitto, intitolata Curarsi con i salumi - Psiche, ci sarà dentro questo e altro. Soprattutto altro, in effetti, ma pure questo.
Alessandro Martini
Premio “Non c'entra una fava con Battlefield”: Battlefield Hardline
Perché? EA non poteva esimersi dallo spremere come un limone la sua serie più redditizia in ambito shooter-film bellico-clone di Call of Duty e di sicuro non poteva distribuire questo gioco come semplice add-on. Perché si vede lontano un miglio che Battlefield Hardline è partito come DLC, diventando poi uno spin-off, per finire in un qualcosa di simile a un gioco che non c'entra nulla con la serie di appartenenza. Sopratutto per il lato single-player, a tratti divertente e complessivamente gustoso (benché breve), se amate le serie TV americane. Ma la storia di un poliziotto rinnegato nella Los Angeles odierna che c'azzecca con la guerra su larga scala? Nulla, e infatti resta solo il riciclatissimo multiplayer a “collegare” il contesto ai precedenti capitoli. Si, vabbè, ma alla fine mi è piaciuto o no? Abbastanza, però avrei preferito una campagna più consistente e nessun gioco online. Cosa che, trattandosi di EA, resta una semplice illusione.
Premio “Figlio illegittimo di Resident Evil 4”: Resident Evil: Revelations 2
Perché? Il primo Resident Evil: Revelations aveva esordito su 3DS per poi trovare un'accoglienza molto più calorosa sui formati casalinghi, dando a Capcom l'occasione di ripulire la fedina penale della sua serie horror dopo l'imbarazzante (sebbene divertente) RE6. Ci è riuscita? Ni. Ovvero: complessivamente siamo molto più vicini a RE4/5 che non al decadente sesto episodio, però non ci siamo ancora. Le meccaniche miste stealth/puzzle/shooter finiscono spesso per incasinarsi una nell'altra, mentre i personaggi e la trama sanno molto di derivativo-fantasioso-buttato lì tanto per… Ad ogni modo, è certamente il migliore degli ultimi Resident Evil, anche perché l'atmosfera di certe sezioni riesce a mettere una certa tensione, sopratutto quando si controllano le due ragazze (Barry, si sa, è troppo forte per chiunque). Insomma: la strada verso la redenzione è quella giusta, bisogna solo percorrerla con più verve.
Luca Galliano
Gioco dell'anno: Dirt Rally
Perché?Dirt Rally, mi dicono, è il primo vero gioco di rally dai tempi di quell'altro gioco uscito parecchi anni fa, prima che Codemasters e compagnia si dessero alle colonne sonore tamarre, agli story mode con donne, motori, gioie e dolori e ai modelli di guida presi di peso da Super Off Road. Dirt Rally, a quanto pare, è un gioco che è uscito in early access ma che poi è stato portato a termine nei tempi previsti, invece di arrivare alla versione 1.0 nel 2045. Dirt Rally, non ci si crede ma è proprio vero, è un gioco che funziona a 60 fps su una gran varietà di configurazioni (forse persino nelle future versioni console, ma io non presto fede a certe voci prive di fondamento). È, insomma, un ottimo gioco di guidare storti sul fango, di pennellare curve al millimetro tra ali di folla e alberi finlandesi, di saltellare nella neve svedese o di scivolare tra i tornanti ghiacciati di Montecarlo. Si può guidare una Mini, si può guidare una Lancia Stratos, si può guidare roba da duemila cavalli per venti chili di peso eccetera eccetera. C'è persino il navigatore Italiano che, fino alla scorsa patch, ogni tanto si dimenticava di chiamare alcune curve per farsi pazze risate rotolando nei burroni.
Queste sono tutte cose bellissime e, per quelli che sanno giocare ai simulatori di guida realistici, Dirt Rally è indubbiamente la realizzazione di vari sogni bagnati ed inconfessabili. Personalmente, in questo genere di giochi sono una sega: vado a sbattere contro gli alberi, mi ribalto in parcheggio, perdo il controllo dell'auto nei menù e accumulo ritardi di decine di secondi ad ogni intertempo. Epperò mi piace. Mi piace guidare la Lancia Delta S4 pure se è l'auto più ingestibile del gioco perché nell'86, quando il mondiale di rally era popolare quasi quanto il campionato di calcio (giuro, andate a controllare), era la macchina che avrei voluto comprare. Mi piace lanciarmi sulle stradine del Col de Turini perché sempre nel famoso '86 rischiai la morte per assideramento per odiare un sacco la Peugeot al Rally di Montecarlo, assieme a qualche altra decina di migliaia di pazzi fanatici giunti dalla parte bella delle Alpi. Mi piace un sacco limare i miei tempi e passare dalla disonorevole posizione novemilaottocentotredici della classifica mondiale alla molto più dignitosa ottomilaequalcosa. Mi piace che il gioco ti faccia esplodere i fari a dieci metri dall'inizio di una prova speciale in notturna e poi pretenda pure che tu arrivi alla fine entro dieci minuti. Mi piace la matita sul cruscotto della Lancia Fulvia. E mi piace tutto il resto.
Dirt Rally è un bel gioco. Ed è uscito quest'anno. È un bel gioco di quest'anno e mi piace, anche se non ci so giocare.
Elena Avesani
Gioco dell'anno: Hearthstone
Perché? Lo so, lo so, è uscito nel 2014 e a suo tempo l’avevo anche installato e iniziato, commettendo gli errori più comuni possibili, tipo spendere tutte le monete, la polverina, vendere qualsiasi carta per comprare altre carte a caso: in conclusione l’avevo mollato lì, tra un “Preferisco non sapere” e un “Non ho voglia di farmi il mazzo”. Poi quest’estate non so cosa mi sia preso, sicuramente avevo del tempo da impegnare, ho deciso di riscaricare il gioco e di dargli una possibilità, decidendo a priori che sarei diventata una campionessa professionista, che avrei studiato tutte le strategie, avrei combinato tutti i mazzi per vincere senza spendere soldi. Già sentivo in mano la coppa della vittoria di non so bene cosa. Quindi ho ricominciato a fare i soliti errori, tipo sparare Missili Arcani al primo turno, Fireball al quarto contro qualsiasi cosa si muovesse, arrivare a fatica a completare il set base per ciascun eroe, sentendomi un po’ una minorata. Ci sono dei momenti in cui veleggio col vento in poppa verso il rank 18, troppo ganza, e poi mi do la zappa sui piedi addormentandomi tra un turno e l’altro, risvegliata solo qualche volta dal gioco stesso che mi dice “Your turn!”. Eh sì, perché Hearthstone mi concilia il sonno (non che ne abbia bisogno, ma ormai la partitina sotto le lenzuola è un must anche al risveglio). Stamattina, per esempio, mi sono svegliata, ho aperto l’iPad per giocare e mi son vista davanti “Win streak!”, il messaggio che appare quando vinci almeno tre partite di fila. A quanto pare ieri sera, dormendo, sono arrivata al livello 17-3 senza rendermene conto. Come si fa a non amare un gioco che ti permette di vincere anche quando dormi? In realtà è tutto merito di un mazzo Face Hunter di Trump e della strategia conseguente. Tradotto dall’”hearthstoniano” all’italiano, quello che ho appena scritto significa quanto segue. Siccome non sono capace di crearmi da sola dei mazzi bilanciati, ne cerco di già pronti, combinati da altri giocatori. Trump, in particolare, è un cinoamericano dotato di sintesi e fascino orientale che compone mazzi e consiglia le strategie per usarli. Il Face Hunter è uno che dà botte in faccia, bello aggressivo, e la strategia per usarlo non è star in un angolino a fare i conticini da ragioniere sul Mana, il Tempo, e fare il Sun Tsu della board cercando di controllare il numero di minion nemici. No, no, hai giusto tre turni per iniziare bene, eventualmente limitare qualche danno qui e là ma con leggerezza, e poi *BEM* botte in faccia, *TUM* calci negli stinchi, *PAM* dita negli occhi. Il problema principale che ho io con Hearthstone è che non riesco a trovare un senso organico nella mia seppur minima collezione di carte: lo troverei se giocassi da sveglia, se dedicassi almeno dodici ore al giorno allo studio delle carte… ma forse solo a otto anni avrei avuto la lucidità mentale per fare una cosa del genere. Ovviamente poi ci ho speso dei soldi: cosa fai, non dai dei soldi a chi ti fa divertire? Le avventure mi sono state regalate, io ho acquistato cinquanta bustine, il prossimo mio obbiettivo è arrivare al rank 15 (In realtà subito dopo aver consegnato questo contributo mi ha detto di essere arrivata al 16. ndgiopep), ma dovrò cambiare sicuramente il mazzo. Perché Trump magari riesce anche a salire in cima alla classifica, con queste carte… io al massimo faccio del nonnismo di rimbalzo su persone come me. Magari devo ridimensionare le mie ambizioni di campionessa del cosmomondo, però, ora che ho chiaro quanto voglio/posso impegnarmi con Hearthstone, potrei anche giocarci per sempre. Legendary RuMi. Epic RuMi. Rare RuMi. Common RuMi.
Fabio di Felice
Gioco dell'anno: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain
Perché? Quest’anno c’è stata una tripletta allucinante. Nel giro di qualche mese ho giocato tre dei giochi più belli che abbia mai giocato. È una roba che se ci pensi ti esplode la testa, eh? Comunque, nella goleada di cui sopra, c’è un gioco che spicca anche solo per il rapporto che ho con la saga che chiude: Metal Gear Solid V. Al di là delle vicende personali, per voi poco interessanti, che mi legano a Solid e Big Boss, quello che mi è piaciuto davvero da impazzire del capitolo finale è stata la capacità di sapersi rinnovare, sconvolgendo la struttura classica eppure mantenendosi fedele, nel microcontesto, ai capitoli precedenti.
The Phantom Pain è un Metal Gear completamente diverso, coraggioso e forte, ma allo stesso tempo riesce ad essere familiare per i vecchi giocatori e fedele alle origini. In più racconta una storia matura e adulta, ridefinisce i personaggi degli altri capitoli e inserisce una tematica originale e attuale che mantiene salda la presa sul carattere politico tipico dei Metal Gear Solid. Le polemiche a proposito del finale tagliato lasciano il tempo che trovano: l’arco narrativo che viene aperto nei primi minuti di gioco si conclude in una struttura a scatole cinesi splendida e complessa (inedita in una proposta, quella dei videogiochi, che spesso è super lineare) che mette il punto e con un ultimo colpo di coda riesce a offrire una prospettiva completamente diversa su vent’anni di storia. Straordinario.
Secondo posto: The Witcher 3: Wild Hunt
Perché? L’altro della tripletta che esce vincitore è The Witcher 3. Tanto per la cronaca, il bronzo se lo aggiudica Bloodborne. Perché Geralt Di Rivia ha conquistato la seconda posizione? Perché The Witcher 3 è riuscito nella magia di farmi perdere nel suo mondo, ed è una roba che mi succede sempre più raramente. L’idea di passare più tempo con la spada nel fodero e il naso all’insù a guardare i tramonti, le montagne, le foreste, le sfumature del cielo, è terribilmente affascinante. Ho abitato in quel mondo per più di cento ore e, dopo qualche mese di stop, non vedo l’ora di tornarci.
Claudio Chianese
Gioco dell'anno: Order of Battle: Pacific
Perché? Perché è proprio dove dovrebbe stare uno strategico, né così complesso da ricordarmi che alla mia età già è iniziata l'apoptosi dei neuroni, né così semplice che la vocina interiore - forse conseguenza dell'apoptosi stessa - mi da del bimbonutella. È un gioco indie fatto con pochi soldi e un sacco di cuore, lo sviluppatore è un ragazzone biondo che mi ha raccontato le varianti teoriche al piano d'invasione del Giappone: trivia ucronici che mi sono già rivenduto un paio di volte in giro per la rete. C'è anche da dire che la ricerca di una colonna sonora adeguata mentre lo giocavo mi ha fatto conoscere il meraviglioso (?) mondo del cantautorato identitario non-conforme.
Durante i caricamenti: Mishima Yukio, La voce degli spiriti eroici.
Vincenzo Aversa
Gioco dell’anno: Ori and The Blind Forest
Perché? Non c’è bisogno di inventarsi per forza qualcosa di nuovo per divertire e certe meccaniche, snellite e modernizzate, sanno ancora intrattenere a dovere. Ori and The Blind Forest è una meraviglia per gli occhi che non ti regala soddisfazioni ma ti premia quando lo meriti. Ti coccola con i salvataggi posizionabili e ti punisce con antiche e arcigne sezioni trail and error. Veloce e gratificante, insomma, non chiedevo di meglio.
Premio “A spasso con Daisy”: Fallout 4
Perché? Potrei parlare per ore dei difetti di Fallout 4, ne ha fin troppi e troppo evidenti, ma io volevo un mondo post atomico da esplorare, possibilmente non orribile e verde come quello di Fallout 3, e ne ho avuto uno persino commovente. Ho bevuto le sue acque putride, ho respirato la sua aria corrotta e dopo una fracconata di ore non ne ho ancora abbastanza.