Persona (3, 4, 5) e il gigantismo del boss | Spoiler Zone
Spoiler Zone è una rubrica in cui parliamo di giochi, film, libri, la qualunque, a posteriori, senza farci alcun problema di spoiler. Se non avete ancora "consumato" ciò di cui si parla - in questo caso Persona 3, 4 e 5, oltre a Shin Megami Tensei - Digital Devil Saga, 1 e 2 - statene alla larga, perché qui potremmo svelarvi ciò che non volete sapere!
I boss finali della serie Persona passata in mano a Katsura Hashino erano GROSSI.
E, sì, non è che il Mostro Grosso come boss finale o segreto non fosse un marchio di qualità del genere JRPG: nella cultura popolare sono stampate in maniera indelebile le Weapon di Final Fantasy VII, sopratutto la c@$$° di Emerald e la mezz’ora buona spesa a tirarla giù a suon di Quad-Bahamut Zero, mimic-Knights of The Round e Last Attack-Phoenix.
Ma i boss finali di Persona 3, 4 e 5 sono GROSSI su una scala da “Montagna” a “Luna”: la meteora di Jenova puppa tantissimo, a confronto.
Del resto, non poteva essere diversamente: da una parte Hashino in Shin Megami Tensei - Digital Devil Saga aveva fatto affrontare a personaggi virtuali materializzatisi in una realtà post-catastrofe niente meno che la personificazione del Sole stesso, hackerato dall’hybris umano e trasformato in un puro dispensatore di morte; dall’altra, da sceneggiatore di razza quale è, aveva ben presente che una narrazione fantastica radica la sua forza nella metafora.
Nei suoi Persona, come avevo già detto negli altri articoli (monotematico, dite? No, dai, cosa ve lo fa pensare?) il giocatore deve arrivare a comprendere, con i protagonisti, di stare combattendo contro un’idea.
Il disvelamento è progressivo e prevede sempre la scoperta passiva di un antagonista umano “manovrato” e di un antagonista umano “manovratore” che, se sconfitti, portano al massimo al final standard“normal ending”.
E’ solo quando attivamente il giocatore ha soddisfatto le necessarie condizioni che si rivela il vero avversario che, incarnando un concetto, ha una dimensione oltreumana. In Persona 5, il falso dio Yaldabaoth rappresenta le convenzioni sociali: quella comoda gabbia che ti priva della fatica di mettere ogni volta in discussione ciò che sei e ciò che fai, di interrogarti su giusto e sbagliato sia che tu sia un vincitore, sia che tu sia un vinto, ogni giorno della tua vita, fino alla morte. Inevitabile che ai suoi occhi, che raccoglievano la visione di tutti coloro che a lui si erano assoggettati, alla fine fosse inutile che gli umani vivessero.
Inevitabile che torreggiasse più alto delle montagne: un Monte Olimpo riunito in una sola essenza.
Per tutto Persona 4, invece, i personaggi avevano dovuto confrontarsi con “l’altro sé”: quello di cui tendiamo a vergognarci per motivi, molto spesso, piuttosto stupidi, e che teniamo nascosto persino a noi stessi. Per tutto il gioco il giocatore era stato spettatore di quanto sia disastroso, potenzialmente suicida, questo rifiuto.
Non a caso i due antagonisti umani erano due personaggi che traevano la loro forza nell’aver accettato, uno in maniera distorta a causa di un inganno e l’altro invece compiutamente e gioiosamente, “l’altro sé”.
Non a caso il vero antagonista finale non era niente di meno che Izanami una delle due divinità shintoiste del mito fondativo del Giappone. Un mito legato al rifiuto.
Di nuovo si tratta di un concetto enorme e, infatti, Izanami è un mostro enorme che presenta due aspetti: l’inganno (si presenta coperta interamente da panni bianchissimi ed eterei) e il rifiuto (rimossi i panni si vede la Izanami cadaverica e decomposta del mito). Marchio di fabbrica pure questo di Hashino: il boss finale non si rivela mai, immediatamente, nella sua natura. Anche solo per percepirne la dimensione bisogna combattere.
Come spesso ripeto, però, senza voler togliere alla maestria dimostrata da Hashino e ai suoi compari - Shigenori Soejima ai disegni e Shoji Meguro alle musiche - Persona 3 è a mio parere quello in cui la poetica di questo autore si mostrava matura e priva dei piccoli compromessi successivi.
In Persona 3 l’antagonista, il concetto, è la morte. Morte come orizzonte ineludibile della vita, morte come limite terrificante ma che, proprio in quanto limite, può “definire” la vita. Nyx, la fine di tutto, è grande come la luna. Anzi è la luna: quella luna piena verde, enorme, che domina la scenografia della “Dark Hour” durante gli scontri con i vari sub-boss. Visibile da ogni punto, sempre presente, incombente. Invincibile.
In realtà tutti i boss finali dei Persona di Hashino, nel momento in cui azzeri i loro punti vita, ottengono l’invulnerabilità. Trucchetto narrativo persino un po’ pretestuoso che serve a veicolare il messaggio che il singolo non può competere con la potenza dell’idea, ma occorre che cambi mentalità. Infatti, all’inevitabile sprofondare nella disperazione impotente, ecco che arriva “la cavalleria” nella forma dei pensieri positivi di tutte le vite che sono state toccate nel corso del gioco tramite i Social Link. La comunità si unisce alla ribellione e canalizza nel protagonista la forza di scagliare l’attacco finale di ciclopica potenza. La “Fiamma di Megalopoli” o “L’Attacco Solare” che schiantava i titanici Kaiju e Meganoidi: “Ti sei messo contro le persone sbagliate!”.
In Persona 3 il protagonista però muore (o, meglio, “si addormenta”). La morte non è invulnerabile. È invincibile. Non è un Mostro Grosso che puoi far sparire. La vittoria è aver vissuto ed aver trovato insieme agli altri un senso nelle proprie storie e portare con sé questo senso fino alla fine ed oltre.
Nel confronto con gli antagonisti umani, questi ultimi accettano la morte, il protagonista accetta la vita.
Nel sacrificio del protagonista (ed è per questo che i successivi Persona mi paiono invece tornare ad una visione più consolatoria), c’è la diretta continuità con Digital Devil Saga in cui TUTTI i protagonisti morivano: i comprimari sacrificandosi uno dopo l’altro in stile I sette contro tebe (o Case dello zodiaco, se vogliamo un riferimento più contemporaneo), mentre i protagonisti annullandosi per rimediare alla corruzione del Sole.
L’Hashino “integralista” non accettava scorciatoie: una singola persona per cambiare un’idea deve mettere in gioco la propria pelle. La vittoria contro i Mostri Veramente Grossi si ottiene a prezzo della vita.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai MOSTRI GROSSI, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.