Racconti dall'ospizio #2 – Super Hang-On: a 320 km/h coi reumatismi!
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Quand'ero un piccolo giovine dal folto crine, all'incirca cinque lustri fa, l'idea di cavalcare un bolide a due ruote e sfrecciare ginocchio-a-terra tra palme e tucani mi sembrava irresistibile. Era il 1987, c'era scritto Super Hang-On e in pratica era il massimo della vita, senza neppure sapere chi fosse Yu Suzuki o chi avesse "inventato" Out Run. Bastava montare sul cabinato basculante (che stava sempre troppo vicino ai tavoli da biliardo e letteralmente disperso nel fumo di sigaretta dei più grandi, ché allora volavano ceffoni come niente), quindi infilarci dentro un gettone e saggiare ritualmente l'acceleratore prima del via, sentendosi un po' migliori. Bastava, insomma, una saccoccia di monetine sonanti, per potersi pavoneggiare come impavidi centauri arcade, senza neppure togliersi di dosso il montgomery marrone.
Il dramma del cabinato extra-lusso di Super Hang-On (ne esistevano molteplici varianti, come per Out Run), tuttavia, era questo: a sbatacchiare quella maquette col numero 1 sul codino, muovendosela tra le cosce prima a destra e poi a sinistra, ci si sentiva tutti un poco scemi, diciamo per almeno il 10%. L'imbarazzo percepito dal pilota lì abbarbicato, inoltre, cresceva esponenzialmente a partire dal tredicesimo anno d'età del giocatore, per mutare in incontenibile gioia, priva di alcun tipo di pudore, dal trentesimo anno in poi. Il top, comunque, era giocarci a undici o dodici anni.
L'illusione delle due ruote virtuali di Sega, bisogna dirlo, costava solo pochi spiccioli e durava sempre troppo poco per via dell'elevata difficoltà del gioco, eppure non aveva prezzo: il macchinario idraulico alla base del coin-op consentiva l'inclinazione della moto e dispensava adrenalina dagli altoparlanti circolari (mirabilmente incastonati nel bianco cockpit fregiato di sponsor), mentre l'avatar pilota sfrecciava con l'appeal di Barry Sheene. Occorreva anticipare la discesa in piega con il più corretto tempismo, memorizzare la successione di curve, dossi e lunghi rettifili, oltre che scansare con rapidissimi riflessi i piloti avversari in strada e gli ostacoli a bordo pista (palme, cartelloni pubblicitari, lampioni), pena un'inesorabile sbandata, o peggio ancora un ruzzolone a terra.
Il turbo era la novità: disponibile non appena raggiunti i 280 km/h, produceva galvanizzanti fiammelle dagli scarichi del quattro-cilindri-virtuale. Il controllo del mezzo con le turbine a tutto spiano, dunque, mutava la corsa in una questione altamente mnemonica, terribilmente pericolosa, da massima concentrazione e chiappe ben strette.
Giocarlo ancora una volta oggi su Virtual Console Wii (occorrono 900 punti Nintendo, cioè 9 euro), a distanza di venticinque anni dalla prima partita, vuol dire fallire in maniera reiterata, quasi al limite dell'imprecazione convulsa, nel tentativo di giungere anche solo all'ultimo checkpoint dello stage per principianti. La verità è che Super Hang-On era ed è un gioco estremamente difficile, esigente come la gran parte dei videogiochi degli anni ottanta, ovvero un sacro tempio di reazioni e riflessi, nel più che arduo tentativo di completarlo in tutti i suoi impossibili 48 stage. Si capisce che si è troppo vecchi per farcela, tuttavia, quando s'incomincia ad usare il freno e s'accende spesso e volentieri lo stop posteriore, oppure quando è pronta la mela cotta.