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Racconti dall’ospizio #18 - 3D Thunder Blade: coito, ergo sum

Racconti dall’ospizio #18 - 3D Thunder Blade: coito, ergo sum

Racconti dall'ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.

Non mi sono mai considerato un tipo preciso o metodico. Anzi, direi esattamente l'opposto. Tuttavia, nel mio 3DS, campeggiano tante cartelle, catalogate e rinominate con rigoroso ordine. Lo faccio da sempre: una ritualità quasi onanistica, che dà senso al titolo della recensione e sottende, grazie alle splendide conversioni M2, un legame intimo con alcuni giochi. Psicologico, ancor prima che ludico. Fra le suddette cartelle, quella di cui vado particolarmente fiero è la "3D SEGA Classics", un microcosmo stracolmo di piccole gemme del passato. E non a caso 3D Thunder Blade è una di queste.

Una delle schermaglie contro i poco fantasiosi boss.

Classe 1987, il gioco Sega è riproposto su Nintendo 3DS nella sua versione originale da sala. A bordo di un iconico elicottero Apache saremo chiamati a farci largo tra i nemici a suon di mitragliate e missili terra-aria. Il gioco sfoggia un'abbacinante grafica in 3D stereoscopico, nonché il supporto per il pad scorrevole Pro (denominato dal sottoscritto "modello Voltron") o l'uso dell'analogico destro del New 3DS. Grazie alla solita maniacale cura da parte degli M2, non mancano sfiziose personalizzazioni: i controlli tramite giroscopio funzionano al meglio solo disabilitando l'effetto 3D, quantomeno nei "vecchi" modelli della console. Il risultato, tuttavia, è riuscito e divertente, soprattutto attivando l'assenza di collisioni con il fondale. La cosa potrebbe farvi storcere il naso, forse (un giocatore borderline che si facilita il compito?) ma potrete sempre riservarvi la possibilità di un giro supplementare nel caso il gioco cominciasse a mostrare il fianco alla ripetitività. Evento assai probabile, a dire il vero. La difficoltà è scalabile grazie a due parametri differenti: robustezza dell'elicottero - per l'appunto - e numero di vite a disposizione.

L'effetto tridimensionale, anche al minimo, restituisce un'ottima resa.

Ma dove gli sviluppatori si sono davvero distinti è nell'implementazione delle diverse visuali. Le cornici che riproducono il look dei cabinati originali, con tanto di rumori delle strutture idrauliche che ne accompagnavano il movimento, sono tributi amorevoli di prim'ordine. Un autoerotismo videoludico che rigira come calzini i nostri desideri più reconditi, trasformando l'inutile in essenziale, così come avviene in ogni pulsione nascosta. Disponibile in tutto il suo feticistico fulgore, il salvataggio delle partite, per rivedere le nostre ero(t)iche gesta con un sorrisino ebete sul volto.

Insomma, questa conversione su console Nintendo, così come per gli altri SEGA 3D Classics, gode come non mai della rinnovata visione stereoscopica che, oltre ai nuovi contenuti, offre anche un'estensione visiva e una riproduzione arcade improponibile per altri sistemi. Non c’è dubbio, quindi, che il gioco mostri tra i migliori effetti 3D dell'intera serie. Le sezioni principali con la visuale alle spalle dell'elicottero restituiscono un magistrale senso di immersione. Siamo dalle parti di Out Run e After Burner: scusate se è poco.

Una palette di colori... Emozionante.

Il comparto audio, viceversa, non presenta musiche degne di plauso (o addirittura storiche, come per il sopracitato Out Run). Fortunatamente i rumori simulati del cabinato idraulico sopperiscono perfettamente a tale mancanza. Alla fin della fiera, tornando al gioco vero e proprio, come siamo messi in quanto a divertimento lordo? Beh, sapete che vi voglio bene, per cui sarò sincero: 3DThunder Blade non possiede la trascinante adrenalina e l'ipnotico coinvolgimento dei suoi più blasonati colleghi stereoscopici. Nonostante il discreto gameplay, il gioco risulta breve, spesso caotico, quasi mai assuefacente. Tuttavia, per quanto possa apparire paradossale, in tal caso i conti da fare sono tanti.

Nel peso dei classici Sega, non si può trascurare il fattore emotivo e collezionistico; l'intimo desiderio di possedere l'ultimo (?) baluardo di una software house che fu e mai più sarà. Certo, volendo pesare un tanto al chilo, tra gli extra è possibile sbloccare lo Special Mode. Se non volete sapere cosa sia, saltate questo mini SPOILER e continuate a leggere il pezzo sotto la prossima immagine. Ci siete ancora? Bene. La modalità che si sblocca dopo i quattro livelli base - un po' pochini, lo so - permette ai giocatori di riaffrontare il gioco con un armamentario potenziato, un numero maggiore di nemici (riposizionati per l'occasione), avversari inediti e un micro-stage ex-novo, sviluppato appositamente per questa versione.

La SPOILER save image. Qui in Outcast non ci facciamo mancare nulla.

Poca cosa in sé, ma nell'economia globale della conversione, al netto dei cinque euro richiesti, si tratta di tributi immensi. Come il piacevole remix delle musiche originali, ovviamente disattivabili nelle opzioni. Accorgimenti, premure, attenzioni. Un doveroso petting mediatico prima dell'amplesso videoludico che ne consegue. D'altronde, in un rapporto amoroso, contano soltanto i secondi di massimo godimento? Ovviamente no, e seppure stia sguazzando un po' troppo in questa parafrasi dal retrogusto freudiano, bisogna avere amore per questo genere di conversioni.

E proprio come mi aveva chiesto il buon Andrea Maderna al momento dell'assegnazione di questo articolo, confermo la risposta che ho dato a lui: - "C'hai ammore per Thunder Blade?". - "Certo, che ce l'ho!".

E non è neanche ammore platonico, aggiungo ora.

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