Tetris e Darius così, de botto, senza senso
Come già chiacchierato in uno degli ultimi Outcast Weekly, qualche giorno fa sono passato dagli uffici milanesi di Koch Media per toccare con mano il Sega Mega Drive Mini, e pure per dare un’occhiata a due fra i titolo più curiosi della sua lineup, Tetris e Darius. Curiosi non tanto per la loro natura, eh, ché in fondo stiamo parlando del videogioco più famoso della storia e del capostipite di una celebre dinastia di shoot ’em up. Ma semmai per le sliding door che li hanno guidati fino alla nostra consolina.
Prendiamo Tetris. Il puzzle game scaturito dal genio tetraminico di Alexey Leonidovich Pajitnov rappresentava, per la fine degli Ottanta, l’equivalente digitale del Cubo di Rubik di dieci anni prima. Tutti lo conoscevano, tutti quanti ci giocavano e chi diceva il contrario mentiva o viveva sulla Luna.
Il videogioco di Pajitnov aveva pure finito per diventare il cavallo di Troia del neonato Game Boy, ma senza scomodare le versioni curate da Bullet Proof Software, quasi tutte le piattaforme dell’epoca avevano il loro bravo Tetris. Qualche volta addirittura più di uno, tipo i possessori di Amiga e Atari ST, che potevano scegliere tra quello pubblicato da Mirrorsoft e quell’altro di Spectrum HoloByte.
Se giravano tutte queste varianti, era soprattutto a causa degli impicci con le licenze, spesso ottenute troppo tardi rispetto ad accordi già presi, o non ottenute affatto. Tipo che Robert Stein, boss di Andromeda, incappò in una copia del gioco mandata da Pajitnov a un collega ungherese e, prima ancora di ottenerne i diritti per sé, iniziò cederli a terzi.
Essì che Tetris, formalmente, un padrone ce l’aveva. Dal momento che era stato creato in seno all’Accademia delle Scienze dell'Unione Sovietica da gente stipendiata dal regime, il privilegio di gestirne i diritti per conto di Pajitnov spettava alla società statale nota come Elektronorgtechnica, o ELORG, che curava in monopolio l’importazione e l’esportazione delle tecnologie informatiche prodotte in Unione Sovietica, software compresi.
Fu proprio ELORG che, nel 1988, legittimò la versione arcade di Tetris sviluppata da Atari, diffusissima anche nei bar e nelle sale giochi d’Italia, bloccandone tuttavia la conversione per console Nintendo, a tutto favore della Bullet Proof di Henk Rogers, che era in ottimi rapporti con la famiglia Yamauchi. Questa decisione costrinse la divisione home di Atari, la Tengen, a ritirare e distruggere le copie già approntate per NES, note col titolo di TETЯIS: The Soviet Mind Game e attualmente miele per i collezionisti.
Riguardo a Sega, successe qualcosa di simile. Mentre negli Stati Uniti e in Europa furoreggiava il coin-op di Atari, gli habitué delle sale giochi giapponesi si davano battaglia sulla versione che girava su System 16. A proporre Tetris a SEGA era stato il designer Steve Hanawa, che lo aveva scoperto mentre lavorava a una versione di Monopoly negli studi di San Francisco.
Il coin-op, prevedibilmente, divenne uno fra i maggiori successi della stagione 1988/89. Per quanto la licenza si appoggiasse alla versione di Atari, quella sviluppata da Sega faceva a meno dell’immaginario filosovietico e richiamava, con tutte le evoluzioni del caso, quell’altra per Electronika 60 del 1984. Inoltre, al netto dell’unica rotazione possibile in senso antiorario, implementava già alcune malizie moderne, come il “delayed auto shift” (DAS) veloce, l’“entry delay” (ARE) e il “lock delay”, che favoriva il controllo dei pezzi sulle alte velocità e, conseguentemente, alzava il ritmo di gioco.
Visto il successo del coin-op, l’azienda iniziò a darsi da fare per portare Tetris su Mega Drive. Tuttavia, l’accordo spuntato da Rogers per la versione Nintendo finì per franare anche su SEGA, che delle millemila copie che sperava di piazzare riuscì a stamparne appena una decina, e se ne trovate una in cantina, siete a posto con la pensione.
Hanawa non la prese bene ma, fortunatamente per lui, era uomo dalle molte risorse.
Il tizio era tale Jay Geertsen, e il giochino che aveva creato si chiamava Columns, che guarda caso finì per diventare il puzzle d’ordinanza del Sega Mega Drive. Nel Mini sarà presente pure lui, assieme alla versione recuperata e migliorata di Tetris a cura di M2. Insomma, tutto è bene quello che finisce bene (più o meno).
Per quanto riguarda Darius, la situazione si fa meno complicata, ma resta comunque spinosetta. Lo shoot 'em up sviluppato da Taito e uscito in versione coin-op nel febbraio del 1987 era noto tra le altre cose per un cabinato composto da tre schermi che dava allo scorrimento orizzontale tutto un altro tiro.
Senza entrare nel merito degli emulatori, oggi Darius è facilmente accessibile grazie gli Arcade Archives di PlayStation 4, o alla Darius Cozmic Collection per Switch, ma ai tempi dell’uscita andò incontro a un numero di port relativamente sparuto, nessuno dei quali battezzato col nome “liscio”.
Su PC Engine comparvero Super Darius, Darius Plus e il rarissimo Darius Alpha, versione alternativa concentrata sulle boss battle. Sempre il suffisso Plus battezzò le versioni Amiga, Atari ST e ZX Spectrum di Softek, mentre nel 1991 il Game Boy ha avuto Sagaia, che a dispetto del nome non è un port di Darius II, ma piuttosto una versione depotenziata dell’originale.
Vuoi per un motivo, vuoi per l’altro, l’annuncio che M2 avrebbe curato una versione di Darius destinata al Mega Drive Mini come “gioco a sorpresa” ha raccolto una certa curiosità tra gli appassionati, anche in via della ROM da 32 bit, particolarmente generosa per una roba del genere.
Purtroppo, all’inizio dello scorso giugno la curiosità si è trasformata in sopracciglioni alzati non appena sono saltate fuori le prime immagini di gioco. Immagini sorprendentemente simili a quelle di un port amatoriale in fieri curato dal programmatore Hideki “Hidecade" Konishi, attivo sulla scena homebrew. Lo stesso tizio che qualche anno prima aveva ricostruito la versione arcade di Darius.
Sulle prime, Sega ha messo le mani avanti, dicendo che il nuovo Darius è stato sviluppata da M2 senza il supporto di fan eccetera eccetera. Tuttavia, dopo essere passata per il torchio, la scorsa settimana ha ammesso che Hidecade era effettivamente coinvolto nel progetto fin dalle prime battute. In un’intervista rilasciata al sito giapponese 4gamer, il producer di SEGA Yōsuke Okunari ha spiegato che la scelta di adoperare il materiale di un fan ha inizialmente creato qualche tensione con Taito e, in attesa di spuntare l’approvazione definitiva, SEGA e M2 hanno preferito glissare sulla collaborazione per evitare sbatta (messa non esattamente in questi termini, ma insomma).
Stando a Chris Kohler di Kotaku, è anche possibile che lo stesso Hidecade sia stato ben felice di starsene sotto coperta, in via dell’attitudine all’anonimato degli ambienti homebrew. Insomma, una roba vantaggiosa per entrambe le parti. Ci crediamo? Non ci crediamo? Vai a sapere. Di nuovo, tutto è bene quel che finisce bene (più o meno).
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata al Sega Mega Drive (Mini e non), che potete trovare riassunta a questo indirizzo.