Ma a chi piace veramente Virginia?
Ho iniziato a scrivere queste righe più volte, sempre cancellando le poche parole che apparivano sullo schermo. Quello che ho in testa, e che vorrei esprimere senza incasinarmi più del dovuto, è capire a che tipologia di giocatori piaccia Virginia. No, non si tratta di un giudizio sulla sindaca di Roma da parte di scommettitori incalliti, ma su che tipo di videogiocatore può apprezzare un titolo come quello dei ragazzi di Variable State il cui lavoro è stato particolarmente apprezzato dal nostro Andrea Peduzzi in questa recensione.
Prima di tutto, chiariamo una cosa: Virginia è un unicum, non può essere un modo riciclabile di raccontare una storia nei videogiochi. Un altro titolo organizzato così non avrebbe né lo stesso impatto emotivo, né susciterebbe la stessa sorpresa durante, per esempio, gli stacchi di camera, assolutamente inediti come metodo narrativo in un videogioco.
Spesso si parla di arte nel mondo videoludico, Virginia è arte? Sinceramente non lo so, non so neanche se Journey o The Stanley Parable siano arte. Ma di una cosa sono sicuro, anche se fosse arte, le persone diciamo normali, quelle che non prendono in mano un gioco mai, non saranno mai in grado di apprezzare un titolo così. E stiamo parlando di un gioco, anzi di un'esperienza audiovisiva, che ha un livello di interazione basico, molto inferiore a quello necessario per navigare nel menù di un DVD. Eppure, cercando di far capire la bellezza e l'unicità di questo titolo a persone non avvezze al videogioco, mi sono cadute la braccia, dopo essermi confrontato con la mitica metafora di chi guarda il dito al posto della luna.
La, mia, grande sorpresa è stata capire che certi aspetti, come la grafica volutamente grezza, la possiblità di compiere praticamente una sola azione, il fatto di non comprendere "la trama" a causa dell'assenza di testo sono barriere insormontabili per un nutrito numero di persone che non hanno mai preso un pad in mano. Io avrei pensato che certi commenti arrivassero da utenti più abituati a titoli tecnicamente più performanti e magari assuefatti alle solite meccaniche da grande pubblico, tipo quella di seguire un altro personaggio per non perdersi nel livello.
E invece no, mentre le immagini scorrevano mi sono sentito dire "Eh ma che grafica brutta", "Ma non si può andare di lì?", "Ma perché c'è un bufalo nella stanza da letto? Non ha senso!"
Questo esperimento mi ha fatto ripensare all'anno scorso, quando in una serata a casa, ho fatto fare un giro a un conoscente per le delicate campagne inglesi di Everybody's Gone To The Rapture (per altro compreso nell'abbonamento Plus di questo novembre). Purtroppo, anche in quel caso, la reazione è stata al completo opposto del previsto: non riusciva a capire perché non potesse fare certe azioni e, sì, in questo caso c'era anche il problema dell'utilizzo del pad, che ha gli stessi comandi base di un FPS.
Altro esempio abbastanza significativo è stato il far vedere Shadow of The Colossus (al tempo su PS2) a persone che pensavo capissero la poesia che c'era in quell'ambientazione, in quella lotta impari tra noi e questi giganti ciclopici. E invece no. Il cavallo (Agro, mioddio, Agro) non gli sembrava realistico, era poco divertente perché c'ero solo io in quel mondo desolato, e la frase "Ma davvero devi cavalcare fino là, ma non ti annoi?" mi aveva incrinato la fiducia nel prossimo in un battibaleno.
Queste esperienze, da un certo punto di vista, mi hanno fatto scemare il sogno che alcuni prodotti possano essere provati e apprezzati da persone che con il videogioco non hanno praticamente nulla a che fare, ma da un altro punto di vista sono consapevole che forse molti di noi, che passano il tempo a vivere in mondi creati da altri, abbiano sviluppato una sensibilità e un'attenzione diversa, e siano più capaci ci farsi coinvolgere da un buon prodotto anche se magari l'aspetto grafico può sembrare di basso impatto o se l'interazione è particolare e non standard. Il capire il messaggio finale, il gusto che c'è dietro a quella produzione, l'emozionarsi veramente per quello che vediamo sullo schermo, alla fine, è esclusiva di persone che hanno passato anni a sparare in guerre futuristiche o a lanciare in un salto disperato la nostra tombarola preferita.
Io spesso mi chiedo: sarei la stessa persona, avrei lo stesso gusto per le cose che mi circondano, se non avessi giocato a titoli come Silent Hill 2, The Vanishing of Ethan Carter o The Walking Dead?
Sarà che quando mi sono immerso in Heavy Rain ero diventato papà da poco, e quindi ero molto più sensibile a certe tematiche, ma in alcuni punti è stata veramente un'esperienza coinvolgente e drammatica, quasi ansiogena, nel cercare indizi per salvare 'sto ragazzino. Pensando proprio a Heavy Rain, però, si capisce come un prodotto emotivamente coinvolgente non solo debba essere vissuto da persone che hanno un'abitudine a trattare il medium videoludico relativamente alla struttura e alla dialettica del videogioco, ma sia per forza necessario che la persona abbia automatizzato tutta la manualità necessaria per gestire quello che accade su schermo tramite il joypad. Spesso, quando mostro qualche gioco a qualcuno, mi rendo conto che oltre a spiegargli molte cose che accadono su schermo, per me cristalline, per gli altri meno, devo anche giocare io, perché appena chiedo se sono interessati a provare, è come se stessi passando loro una bomba atomica innescata, più che un joypad.
È un peccato, perché ci sono molte perle nel mondo dei videogiochi e per miopia di chi non riesce ad andare oltre il veloce giudizio di "non mi piace la grafica" o per, comprensibile, difficoltà nell'utilizzo di un pad, molti di questi momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia (citazione importante, ma insomma, tiriamocela un po').
Detto ciò, Virginia è proprio l'emblema di questa situazione: un gioco in cui la manualità necessaria per goderselo è praticamente inesistente, che ha una trama coinvolgente, una colonna sonora da urlo, ma che probabilmente è più apprezzato da chi gioca solitamente a FIFA che non da chi si gode film d'autore da President.