Free State of Jones, mai una gioia
Free State of Jones si ispira alla vita di Newton Knight, disertore dell'esercito confederato che, in piena Guerra Civile Americana, decise di mollare l'esercito e ribellarsi ai soprusi che avvenivano sulla gente comune, nel corso di una guerra combattuta per conto dei ricchi proprietari terrieri. Attorno a lui finirono per raggrupparsi non solo altri disertori disillusi, ma anche povera gente e numerosi schiavi in fuga, con Knight che divenne quindi figura estremamente scomoda anche per il suo "mischiarsi" (addirittura sposarsi illegalmente!) con gente dal colore della pelle sbagliato. Da queste vicende, Gary Ross (Pleasantville, Hunger Games) ha tratto un film che per certi versi segue numerosi cliché del racconto storico hollywoodiano e scivola un po' nella solita problematica visione del salvatore bianco illuminato, ma riesce anche a trovare una sua dignità in un lavoro dignitoso di ricerca storica (fermo restando che ovviamente le deviazioni dai fatti abbondano) e nel taglio per certi versi originale, perlomeno all'interno del filone.
Ross, infatti, oltre a dare al pur indubbiamente lungo film una buona scorrevolezza, ha il pregio di schivare quasi sempre il patetismo e non lasciarsi mai andare all'emozione insistita o esagerata, nonostante ovviamente il tema si presti parecchio alla cosa. C'è anzi un tono quasi dimesso e freddo anche nei momenti emotivamente più forti e in tutta la parte conclusiva, che tira le fila del discorso, e c'è una voglia di fare un discorso storico più ampio rispetto al singolo episodio duro ma dal lieto fine. Quando finisce la guerra non ha termine la lotta, anzi, e le promesse fatte, i contratti firmati, spesso si risolvono in un nulla di fatto, tanto nell'immediato quanto sulla lunga distanza. È soprattutto questo senso di speranza, sì, ma anche crescente disillusione a permeare tutto il film e dargli una qualità in grado di farlo emergere dalla sua natura per molti altri versi ordinaria.
La guerra è finita, lo schiavismo, in teoria, anche, ma l'odio permane, le difficoltà non sfumano nella nebbia e, anzi, emergono nuove forme di persecuzione. Si fa avanti il Ku Klux Klan e non ci sarà mai pace, come espresso anche da quel parallelo fra l'epoca di Knight e le difficoltà di un suo discendente, che quasi un secolo dopo vivrà ancora in un mondo dove avere un pizzico di sangue afroamericano nelle vene può farti finire in tribunale. Il tutto è messo insieme in maniera un po' sconclusionata, ma la storia è interessante, Ross presenta i suoi temi e i suoi ideali schivando gli schieramenti politici, anzi mescolandoli, e c'è questa voglia di deviare almeno un pochino dai parametri del genere che dà al film una marcia in più. E, sì, aiuta anche che al centro delle vicende ci sia il sempre ottimo Matthew McConaughey, alle prese con un personaggio che diventa eroe degli oppressi quasi per caso, partendo da un semplice desiderio di dare giusta sepoltura a suo nipote. Poi, certo, è buffo che dopo essere stato l'eroe eterosessuale del film sugli omosessuali sia l'eroe bianco del film sullo schiavismo, ma insomma, che ci dobbiamo fare, è Hollywood.
Dai, questo in Italia ci arriva con solo due mesi di ritardo rispetto a quando me lo sono visto in Francia, che volete che sia? D'altra parte mi chiedo quanto possano interessare questi temi dalle nostre parti. Voi lo sapete?