Librodrome #94: Vita, morte e miracoli di Suda51
Attenzione, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.
La figura di Suda51 come game designer pazzerello, di grande personalità, amato e odiato a seconda di con chi parli, s’è fatta strada dalle nostre parti poco più di dieci anni fa con l’arrivo di Killer7 e da allora, pur fra altri e bassi, il creativo giapponese è bene o male rimasto sempre sulla cresta dell’onda, grazie alle varie produzioni cui ha partecipato in diversi ruoli tramite il suo studio Grasshopper. Ma la storia professionale di Goichi Suda non prende il via con quel gioco realizzato assieme a Shinji Mikami per Capcom e ha inizio ben prima della decisione di mettersi in proprio e fondare lo studio della cavalletta. Nato nel 1968 a Ueda, zona Nagano, l’allora Goichi Kobayashi cresce da solo con la madre single e trascorre un’infanzia punteggiata dai traslochi e dall’odio per la scuola, ma anche dall’emergere delle sue passioni: La corazzata Yamato, Mazinga Z e robottoni assortiti, ma anche serie come Ultraman e Kamen Raider dominano i suoi ricordi d’infanzia e l’amore per il cinema nasce con la visione di Gamera contro il mostro Gaos. Ma in quegli anni scoppia ovviamente anche la mania per i videogiochi, grazie soprattutto a tre coin-op: Space Invaders, lo stupefacente Star Wars e infine Xevious (“Era l’incarnazione del futuro!”). Insomma, tutto regolare, per un geek in divenire cresciuto negli anni Settanta.
La storia di Suda51 viene raccontata in maniera approfondita, interessante, ricca di dettagli e commenti del diretto interessato, in Suda51 - Le punk du jeu vidéo japonais, ottavo volume della serie di Pix’n Love dedicata ai grandi nomi del videogioco (di cui ho già parlato in riferimento a quelli dedicati a Gunpei Yokoi ed Eric Chahi, senza contare il tomo fuori serie su Shigeru Miyamoto). Leggendo le affascinanti pagine firmate dal solito Florent Gorges e da Mehdi Debbabi-Zourgani, si scopre e approfondisce la storia umana e personale di uno fra i creativi più bizzarri e fuori dagli schemi del videogioco moderno, analizzando innanzitutto la sua persona e la sua formazione: le passioni sviluppate negli anni dell’università, il primo impiego in una sala giochi, il rapporto con la donna della sua vita, il lavoro presso la catena B Stuff, il primo impatto col “dietro le quinte” del videogioco quando lavorava come designer grafico e finì a collaborare con Sega, la carriera nelle pompe funebri (!) e poi finalmente l’assunzione presso Human Entertainment, i contatti con ASCII che gli permetteranno di mettersi in proprio fondando Grasshopper e via via le mille peripezie del suo studio, fino alla recente partnership con Gung Ho.
Prima di Grasshopper e Gung Ho, però, gli anni presso Human, che lo portano a firmare i suoi primi giochi, di certo una bella soddisfazione, ma per molti versi sono anche ricchi di frustrazioni, desiderio di distacco dal guinzaglio di un publisher che finisce sempre per farlo lavorare su progetti non completamente “suoi” e voglia di stupire dando un’impronta forte e personale a ciò su cui lavora. È anche per questo che, dopo l’esordio da director su Super Fire Pro Wrestling 3 Final Bout (1993), Suda si dedica anche alla scrittura della storia per il successivo Super Fire Pro Wrestling Special (1994), tirando fuori un finale controverso e che lascia tutti di sasso, generando non poche polemiche. Nel mentre, comunque, il designer vive tutto sommato il sogno di stare lavorando su giochi dedicati a una sua grandissima passione, il wrestling, e che per molti versi ne colgono l’essenza quasi “ritmica” come forse nessun altro adattamento riuscirà mai a fare.
Poi, però, arrivano le frustrazioni vere, il cavare il sangue dalle rape per dare un’anima personale a Twilight Syndrome, progetto altrui caduto nelle sue mani per volere del destino, quindi la sterzata decisa con il seguito Moonlight Syndrome e, finalmente, il grande passo del mettersi in proprio con Grasshopper. A quel punto arrivano la creazione di The Silver Case (inedito in occidente per quasi vent’anni ma arrivato di recente dalle nostre parti grazie a una riedizione) e l’avvio dell’attività di Grasshopper, che lo vedrà diventare imprenditore capace di mettersi spesso da parte per lasciare spazio a mille e più collaborazioni creative con altri nomi del settore.
Quella di Grasshopper diventa quindi la storia di uno studio fermamente legato alla propria indipendenza, capace di conservare quasi sempre un’impronta forte nelle proprie produzioni e collaborazioni, ma senza mai tirarsi indietro quando c’è da lavorare su commissione per portare a casa la pagnotta (per esempio coi due Shining Soul per Game Boy Advance). E il libro di Pix’n Love ne analizza le vicende con cura e attenzione, raccontando per esempio l’approccio complesso di Suda51 agli orrori di Fatal Frame (Grasshopper ne sviluppa il quarto episodio per Wii, mai uscito dal Giappone), la sfida al motion control e all’open world (che già in diversi giochi precedenti il designer avrebbe voluto affrontare) con No More Heroes, la difficoltosa collaborazione a base tripla A di Shadows of the Damned, la follia luminosa di Lollipop Chainsaw (a oggi il maggior successo di Grasshopper) e anche piccole produzioni come Diabolical Pitch, Sine Mora, Liberation Maiden, Black Knight Sword e il radiodramma (!) Sdatcher con Hideo Kojima.
Queste mille storie e questi mille sviluppi si inseguono in un libro ricco d’informazioni e confessioni personali, che racconta il personaggio Suda51 come mai era stato fatto prima ed è una lettura davvero irrinunciabile per chiunque apprezzi lo stralunato designer giapponese. Certo, è necessario masticare il francese, dato che l’intera collana dedicata ai grandi nomi non ha visto un singolo volume tradotto in inglese o in italiano, come è invece accaduto per altri libri di Pix’n Love, e difficilmente s’invertirà la tendenza con questo. Però ne vale la pena, eh, fosse anche solo per godersi il meraviglioso lavoro d’impaginazione, che riflette lo stile Grasshopper con trovate deliranti, e magari la prestigiosa edizione limitata, con tanto di numerazione e autografo. Vedete un po’ voi.
È possibile acquistare il libro direttamente sul sito ufficiale dell’editore. Come dico nell’articolo, al momento esiste solo l’edizione francese e trovo improbabile che la situazione cambi.