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Destiny 2 e la sua sottile linea rossa

Destiny 2 e la sua sottile linea rossa

La linea di demarcazione tra routine senz’anima e piacevole abitudine, che viene percepita spesso come un sottile confine, è in realtà una spietata terra di nessuno nella quale entusiasmo e pigrizia prima si menano ferocemente, poi cercano un disperato compromesso e infine, a seconda dei casi, o si accordano o si mandano serenamente a cacare. Se nella stragrande maggioranza dei casi l’opinione che si aveva del primo Destiny era il risultato di un accordo delle sopracitate forze in campo, per questo seguito la percezione è nettamente diversa, e la difficile tregua che, tutto sommato, è durata fino alla prima espansione sta ormai per cadere, come un qualsiasi governo Prodi dopo l’addio di un qualsiasi Mastella.

Anche Destiny (che si parli del primo o del secondo) è il meraviglioso frutto di un compromesso: meccaniche gratificanti, immediate e coinvolgenti (vogliamo parlare della sensazione di piacere che restituisce prendere in mano il pad e fare un headshot a un Caduto?) e un’ingenuità/incapacità (che al secondo capitolo, però, è più difficile da perdonare) nella gestione del gioco sul lungo periodo, che ahimè si sta rivelando (quasi) fatale all’universo di Bungie. Il paradosso, ma magari poi è solo una mia impressione, è che i ragazzotti di Seattle abbiano un po’ rinunciato alla loro visione iniziale (che seppur confusa e travagliata si era dimostrata vincente) per venire incontro a una community rumorosa e sopratutto esigente: Destiny 2 ,infatti, almeno nelle prime settimane di gioco, dava l’impressione di avere tutto quello di cui il predecessore deficitava: una storia ben raccontata e solida, una progressione dolce e gratificante, un sistema di eventi e missioni più organico e intelligibile.

Una foto mia foto di quando ho consegnato l'articolo, a mano, dal mio eremo.

Per ottenere tutto questo, però, Destiny 2 ha sacrificato una parte della sua anima, finendo per essere sì più accessibile ma anche meno intrigante: l’eliminazione del Grimorio e di tutto quel background criptico ma affascinante ha reso più piatto il contesto in cui ci si muove, mentre la facilità (relativa) con cui si ottengono alcune tra le armi che fanno parte dei best in slot ha reso meno stimolante la ricerca del loot. Una cosa che Destiny aveva perfettamente centrato era quello spirito à la Diablo della ricompensa ambita, del voler avere l’arma che avesse i perk perfetti per il proprio gioco, del desiderio inarrestabile di usare Gjallarhorn contro il Prelato Arconte. Tutto questo si è un po’ perso nel secondo capitolo, e il clima tiepido che circonda il gioco in questo momento ne è proprio la diretta conseguenza.

Nonostante questo, però, Destiny 2 è un gioco strepitoso. La direzione artistica è stellare (*badumtshhh*), il gunplay al limite dell’inarrivabile e l’immediatezza totale. Questa cosa nello specifico non è affatto da sottovalutare: la sua struttura votata al PVE e dal respiro più ampio rispetto al classico FPS gli permette di essere visto quasi alla stregua dei mondi persistenti, o ancora di più, termine e tipologia di gioco che vanno oggi per la maggiore, come una “piattaforma”. I “game as a service” sono infatti da sempre un pallino dei publisher, che possono così massimizzare gli incassi e fidelizzare il più possibile l’utenza, ma non sempre riescono nel loro intento (The Division e Battlefront, tra i più recenti, sono lì a dimostrarlo). La capacità di Destiny di educare un’intera generazione di tardino videoludici a questo tipo di esperienza andrebbe quasi studiata: io non ho mai conosciuto così tanti insospettabili appassionarsi in un modo viscerale a un gioco che è un MMO senza esserlo e che per di più, per molti di loro, era pure la prima esperienza online.

Una mia foto, impettito perché qualcuno mi ha detto "epperò Destiny ha anche un po' rotto le palle".

Pur con i suoi limiti e difetti, pur con una evidente mancanza di contenuti capaci di fare più che le quest settimanali, Destiny è ancora per molti, me compreso, il gioco nel quale rifugiarsi quando non si sta giocando al titolo del momento, è quella piacevole abitudine che lega un gruppo di amici che ancora si divertono, data la loro precaria abilità, a prendere gli schiaffi nell’incursione e a raccontarsela mentre questo succede, sopportando chi fa la maestrina, chi è troppo fumato per capire e chi troppo sega per contribuire. Destiny 2 non è sicuramente il gioco che avrebbe potuto essere, né tantomeno un gioco perfetto, ma è ancora una delle esperienza più divertenti e gratificanti a cui possa accedere da divano con in mano un pad. Buttala via, come cosa.

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Questo articolo fa parte della Cover Story "I (nostri) migliori anni del videogioco", che trovate riepilogata a questo indirizzo.

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