A Case of Distrust: luci basse, fumo di sigaretta e jazz, benvenuti negli anni Venti
Videoludicamente parlando, viviamo in un epoca bellissima. Non si può nascondere che da quando la distribuzione digitale ha iniziato a cavalcare le nostre piattaforme, l’offerta per noi videogiocatori si sia ampliata in maniera esponenziale, grazie soprattutto alla scena indie, che ha trovato una via di sbocco sul mercato che in passato, per ovvie ragioni di costi, era molto più difficoltosa.
In questa enorme offerta quasi quotidiana che si riversa sugli store digitali, ovviamente, ci sono titoli degni di nota e tantissimi altri dimenticabili se non tremendi, fortunatamente questo A Case Of Distrust, non fa parte di quest’ultima categoria.
Sviluppato da The Wandering Ben, software house creata (e ad oggi formata, visto che si tratta di un one man show) da Ben Wander, A Case of Distrust è veramente un titolo particolare anche per la scena indie. Ben Wander può sfoggiare nel curriculum collaborazioni importanti, soprattutto su titoli tripla A, avendo fatto parte di team di sviluppo come BioWare e Visceral Games. Poi, nel 2015, decide di cambiare. Addio megaproduzioni, per citare quel che dice nella sua pagina ufficiale, “trova” The Wandering Ben (simpatico il gioco di parole con il suo cognome) e decide che il suo futuro è costituito da giochi appartenenti a generi poco esplorati dai grandi studi, più focalizzati sul singolo individuo che non orientati alla salvezza del mondo.
A Case of Distrust è proprio questo, ma anche molto di più. Si tratta infatti di un’avventura ambientata nel 1924 a San Francisco. La protagonista è una detective privata, Phyllis Cadence Malone, che viene ingaggiata per scoprire chi sia il responsabile di una lettera ricattatoria inviata ad un tizio che già di suo non sembra uno stinco di santo. Non siamo però di fronte ad una tipica avventura punta e clicca, anzi, siamo molto più vicini a un’avventura testuale accompagnata da schermate statiche, che rappresentano tramite un delicatissimo gioco di silhouette gli ambienti nei quali andiamo a investigare.
Fondamentalmente, il gioco è una via di mezzo tra un romanzo noir, una visual novel e un’avventura grafica con una spruzzatina del sistema di utilizzo delle prove, un po' come avviene in Ace Attorney (con cui le similitudini si fermano qui).
Piano piano che visitiamo luoghi e parliamo con persone, il nostro taccuino delle prove viene riempito automaticamente. Ogni persona che intervistiamo può avere delle informazioni importanti e quindi, mostrando le evidenze, a volte, si possono sbloccare parti del dialogo che ci portano ad altri indizi, o ad identificare altri testimoni da intervistare. Come accade in Ace Attorney, anche in A case of Distrust si possono utilizzare testimonianze e prove per contraddire gli intervistati, in modo da coglierli in fallo e farci dire quello che vogliamo.
Anche la parte dei dialoghi è più vicina a un libro che a un videogioco, con le parole che appaiono a paragrafi su schermo e noi che dobbiamo scegliere come rispondere a determinate situazioni. Spesso ci viene proposto solo l’incipit della nostra risposta, quindi non possiamo sapere esattamente come sarà la frase completa, cosa che impedisce al giocatore di prevedere in anticipo il risultato della discussione (come avviene per esempio in un Mass Effect, dove possiamo leggere tutta la frase completa prima di sceglierla).
Forse questa è la parte più debole del gioco. Se i personaggi sono ben caratterizzati, le descrizioni sono curate e ci fanno immaginare in maniera abbastanza precisa cosa abbiamo intorno nel luogo in cui ci troviamo, la gestione delle prove e dei dialoghi risulta un po' troppo fredda e soprattutto ripetitiva. Per altro, quando si interroga una persona o si chiede aiuto a un amico, il mostrare le prove prevede di passare sempre tra due schermate: non sarebbe un gran problema per uno o due oggetti, ma quando iniziamo a mostrare prove, note e accuse ai diversi personaggi, inizia a diventare tedioso anche un clic di troppo.
Man mano che si prosegue e si scava nella vita del ricattato, saltano fuori intrighi, tradimenti, personaggi che starebbero benissimo in un romanzo con Philip Marlowe, e ovviamente il fatto che una donna, nel 1929, faccia l’investigatore privato non è una cosa apprezzata da tutti, con qualcuno che la snobba come se fosse uno scherzo. Ma la nostra P.C. Malone, come viene spesso chiamata nel gioco, non è certo una che si fa intimidire, anzi, è una dura che sa fare il proprio lavoro, anche quando deve andare al distretto di polizia a chiedere informazioni ad un vecchio amico.
Come accennavo prima, graficamente il gioco si presenta come una serie di schermate fisse, quasi monocromatiche (una sul rosso, una sul verde, etc... ) con solo le silhouette degli oggetti e dei personaggi che ci fanno intuire l’ambiente e le corporature dei nostri interlocutori. Gli effetti di transizione da una schermata all'altra dimostrano la cura e lo stile che Ben Wander ha messo in questo gioco, con l’immagine che si ripiega su se stessa come una lettera nel caso si stia chiudendo un foglio, o che viene trasformata dal passaggio di una lente di ingrandimento quando dobbiamo concentrarci su un determinato oggetto o una persona. Man mano che si prosegue nell'indagine, è possibile sbloccare nuove ambientazioni, che ci vengono proposte quando decidiamo di lasciare il luogo in cui ci troviamo. Gli spostamenti da una scena all'altra vengono raccontati con un viaggio in taxi e possiamo scegliere se vogliamo fare quattro chiacchiere con il tassista o meno. Ovviamente è consigliato parlare con il nostro cocchiere, in quanto a volte alcuni indizi si possono scovare intraprendendo la discussione corretta proprio col tassista. E comunque i discorsi in taxi servono a contestualizzare il periodo storico: si parla di diverse tematiche come politica e razzismo, non proprio banali per un videogioco.
A Case of Distrust non è ovviamente per tutti, questo è chiaro, perché, come detto, i temi affrontati sono abbastanza maturi e il tipo di gameplay è per persone che amano la lettura e i romanzi di un certo stampo. Il gioco, fra l'altro, è solo in inglese e, dato che si basa tutto su testo scritto, con termini anche non proprio comunissimi, una conoscenza non banale della lingua della regina è fortemente consigliata (o almeno tenete a portata di mano un dizionario come si deve). Anche il sonoro è azzeccatissimo, con una mai invadente scelta musicale a base di pianoforte, sax e contrabbasso pizzicato, in tipico stile hard boiled.
A Case of Distrust è un gioco particolare, dotato di uno stile davvero unico e un gameplay da vivere al buio, con un buon bicchiere di whisky sul tavolo e quel desiderio di scoprire piano piano segreti, vizi e intrighi di un mondo che possiamo vedere ormai solo nei film.
Probabilmente, visto il ritmo molto tranquillo, più da divano che da scrivania, la piattaforma migliore potrebbe essere un bel tablet, anche perché un’implementazione via touch screen è fattibilissima. Purtroppo, una certa farraginosità nell'esposizione delle prove, un non altissimo numero di ambientazioni e una rigiocabilità per forza di cose quasi inesistente sono aspetti che minano parzialmente l'esperienza finale, comunque molto apprezzabile da parte di chi desidera tuffarsi in un racconto interattivo a base di facce losche e sale da biliardo fumose.
Ho giocato a A Case of Distrust grazie a un codice Steam inviatoci gentilmente dal distributore. Ho girovagato per San Francisco impersonando Phyllis Cadence Malone per quattro ore circa, esaminando un po’ tutto, cercando di immedesimarmi il più possibile in una situazione simile, alla fine degli anni Venti, in un ambiente ostile e dalle mille sfaccettature. Ci ho giocato in parte sul PC “da gioco” e, grazie al salvataggio Steam Cloud, in parte su un convertibile 2 in 1 con Windows 10 a bordo, sfruttando, purtroppo non completamente, anche il touch screen (il gioco non permette di effettuare proprio tutte le azioni con le dita ma richiede il mouse). Se volete essere protagonisti di un buon racconto noir, A case of Distrust è una buona scelta.