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2112 – Musica dal futuro

2112 – Musica dal futuro

Quando l’amico giopep mi ha scritto “Ciao, stiamo preparando uno specialone su Ready Player One per Outcast, ti va di scrivere qualcosa su 2112 dei Rush?”, credo di aver fatto una faccia stile capitano Kirk di fronte a una dissertazione sui motori a curvatura di Montgomery Scott. Ossia, quell’espressione vuota che più o meno sta a significare “Non ci sto capendo un accidente, ma farò finta di nulla e continuerò a sorridere”. Oh, abbiate pazienza: io Ready Player One non l’ho proprio letto. E so che questo potrebbe comportare il ritiro della patente da nerd, ma così stanno le cose. E non avendolo letto, non avevo idea del fatto che la suite che dà il titolo all’album fosse parte integrante del romanzo, con un ruolo anche abbastanza importante. Perciò, dopo aver ringraziato giopep per avermelo spiegato, ho tirato fuori un “OK, si può fare”, del quale mi sono pentito dopo circa due minuti.

Perché insomma, diciamolo: 2112 è una roba talmente monumentale, talmente immensa nella sua ambizione e realizzazione e talmente importante per il mondo del rock, che è praticamente impossibile dire qualcosa di nuovo a riguardo. Però, è anche vero che siamo su Outcast, dai. Il che significa che non solo potrebbe esserci qualcuno che 2112 non lo conosce (anche se ha fatto la sua apparizione sia su Guitar Hero che su Rock Band, ma i giochi musicali sono ormai più dimenticati di Enrica Bonaccorti), ma anche che, come al solito, mi è stata data la licenza di parlarne in modo molto personale e, magari, un po’ fuori dagli schemi.

Quindi, più che cercare di inquadrare il contesto storico in cui il disco è stato partorito, di parlare dei suoi meriti, o dell’influenza (enorme) che ha avuto sulla nascita del prog metal, cercherò di dirvi perché vale la pena di ascoltare ancora oggi, nel 2018, un disco di quarantadue anni fa (toh, la mia stessa età, come Jailbreak dei Thin Lizzy e Rising dei Rainbow: mica male come annata).

Pronti?

Partiamo!

Amerete 2112 se…

1) Vi piace la fantascienza. Perché, credevate che l’inclusione in Ready Player One fosse casuale? L’album si apre con una suite (per chi non lo sapesse, è il termine che definisce i brani particolarmente lunghi e composti di più parti differenti, che ricordano quindi più una sinfonia o un’opera che non una canzone in senso stretto) di venti minuti che racconta di una distopica società del futuro, una sorta di socialismo totalitario, diffusosi su più pianeti del sistema solare. L’ordine è garantito principalmente dalla rigidissima e oppressiva censura esercitata dai Preti di Syrinx, che di fatto proibiscono qualsiasi attività creativa ed espressione individuale, limitando l’arte alle sole forme e opere già esistenti che abbiano passato il loro vaglio. Il brano è narrato dal punto di vista di un comune cittadino della Federazione Solare, che si imbatte in una reliquia del passato: una chitarra. Attraverso l’antico strumento, il nostro narratore scopre la gioia di creare la propria musica, almeno fino a che non racconta ai Preti di Syrinx della propria scoperta… Il brano si chiude con il ritorno dallo spazio profondo di una misteriosa razza aliena (o forse no), pronta ad “assumere il controllo”. Dove l’ho già sentita, questa? Ah, sì, in un videogioco di fantascienza. Guarda un po’. Oh, quasi dimenticavo: la storia è ispirata da un racconto di Ayn Rand, tanto per gradire.

2) Vi piace l’hard rock progressivo. O anche il prog metal, di cui quest’album è uno dei progenitori. Penso non esista nessuno che non riconosca ai Rush di essere stati una fra le più grandi band di rock duro di sempre. Lee, Lifeson e Peart sono a dir poco magistrali nella loro capacità di intrecciare le proprie linee e lanciarsi in virtuosismi che, comunque, non sono mai fini a se stessi, ma sempre al servizio di un’idea musicale ben precisa.

3) Volete lasciarvi trasportare in un vero e proprio “viaggio” sonoro. 2112 non è musica fast food da mettere in sottofondo mentre fate pilates, palestra, mentre lavorate o giocate ai videogiochi. È un disco che esige la vostra attenzione e dedizione, quella che sempre meno gente è disposta a dedicare a sempre meno dischi. È un fulgido esempio di storytelling musicale e, se vogliamo, anche multimediale, visto che le introduzioni in prosa dei diversi capitoli del lato A (se siete abbastanza snob, ovviamente, ce l’avete in vinile), fondamentali per approfondire la storia, sono presenti solo in forma scritta sul libretto e/o sulla copertina del disco.

4) Vi piacciono ancora i succitati giochi musicali e le sfide. Sì, perché provateci voi, a suonare tutta la suite su Guitar Hero: Warriors of Rock a livello difficile! Diciamo che ce n’è abbastanza per tirare giù le divinità di tre o quattro pantheon diversi. Di buono c’è che è un esercizio utile per imparare a conoscere ancora meglio i vari “movimenti” e apprezzarne fino in fondo le caratteristiche.

5) Avete, semplicemente, buon gusto.

Ecco, penso che sia tutto, no?

In effetti, forse no, perché con tutto questo parlare della suite, non vi ho detto nulla o quasi sui brani del [vinyl snob] lato B [/vinyl snob]. Che non hanno la stessa intensità, come è facile da intuire, ma restano comunque dei piccoli gioielli. Le mie preferite sono A Passage To Bangkok e la conclusiva Something For Nothing, che chiude un album semplicemente meraviglioso.

Ecco, adesso penso di essermi davvero dilungato abbastanza. Ascoltatelo e basta. E se qualcuno di voi si è fatto venire voglia di scoprirlo grazie a quest’articolo, beh… allora fatecelo sapere, perché sarebbe un vero piacere.

Ora vado a farmi una suonata, prima che i Preti scoprano che anch’io conservo gelosamente a casa mia delle chitarre.

Questo articolo fa parte della Cover Story su Ready Player One, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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