Outcazzari

Finalmente Justice League!

Finalmente Justice League!

Essere fan dei personaggi DC Comics, in Italia, è un po’ come essere fan di Xbox: ci vogliono le palle. In fondo, significa vivere in un paese in cui, per la massa, i supereroi sono tutti “Marvel” e le console per videogiochi sono “le Pleistescion”. Oltretutto, non puoi nemmeno darti le arie da intellettuale/hipster che sono l’asso nella manica degli appassionati della scena indie. Insomma, è una vita da eterni secondi, da tifosi di Max Biaggi nell’era di Valentino Rossi, quelle robe lì. Perché sì, la DC i supereroi li ha inventati, e dai suoi archetipi principali, la cosiddetta “trinità” formata da Superman, Batman e Wonder Woman, discende praticamente ogni personaggio in costume dal 1938 ad oggi. Però è la Marvel ad aver avuto storicamente più fortuna nel nostro paese, grazie in primis all’opera di editori assennati (Corno prima e Star Comics poi, fino alla nascita di Marvel Italia e quindi il passaggio a Panini), che l’hanno pubblicata con costanza e con programmazioni azzeccate, e in secundis – inutile dirlo – ai molti successi raccolti al cinema negli ultimi anni.

Già, il cinema. Fino alla fine degli anni Novanta, quello era il solo campo in cui il dominio della DC era praticamente assoluto. Superman e Batman avevano avuto quattro film a testa, in entrambi i casi due di strepitoso successo e due autentiche débâcle. Le cose iniziano a cambiare con gli X-Men di Bryan Singer e con lo Spider-Man di Sam Raimi, che dimostrano che i supereroi Marvel al cinema possono funzionare. Ma è nel 2008, con la nascita delle produzioni dirette Marvel Studios e l’uscita del primo Iron Man, che abbiamo la vera svolta, capace di proiettare gli eroi di Jack Kirby e Stan Lee (sì, avete letto bene: il primo nome è quello di King Jack) verso un successo difficilmente prevedibile solo pochi anni prima. Il tutto, proprio mentre Warner conclude la trilogia del Batman di Christopher Nolan: una pietra miliare, ma esattamente all’opposto di quello che sarebbero stati i film Marvel Studios. Un’opera complessa e stratificata, figlia della visione del regista e totalmente inadatta a far nascere un franchise, un universo condiviso, come quello della concorrenza. Ed ecco quindi che entra in gioco Zack Snyder. Oddio, a dirla tutta, nemmeno il suo debutto in casa DC, il rinnovato Superman di L'uomo d'acciaio, era pensato per dare vita a un universo cinematografico vero e proprio. Ma dall’altra parte del cortile, la Marvel stava contando i dollaroni, e quindi Warner decise che era tempo di contrattaccare e sfruttare l’immenso parco personaggi della DC in maniera simile, ma diversa. Il sequel di L'uomo d'acciaio si trasforma in Batman V Superman: Dawn of Justice e vengono messe in cantiere la prima pellicola su Wonder Woman, Suicide Squad e, finalmente, Justice League.

Una rincorsa agli Avengers non priva di incidenti di percorso. Batman V Superman e Suicide Squad vengono fatti a fettine dalla critica, soprattutto in USA, e apprezzati solo da una parte del pubblico, quella più propensa ad accettare la visione del DCU proposta da Snyder: una visione cupa e drammatica, che lascia poco spazio al divertimento e punta tutto sul lato più epico delle icone DC, da sempre più vicine a idealizzate figure mitologiche rispetto ai più umani personaggi Marvel. I risultati al botteghino non sono da buttare, ma c’è timore che una visione così controversa risulti suicida nel lungo periodo. Warner corre così ai ripari, investendo Geoff Johns, il vero demiurgo dell’universo DC a fumetti degli ultimi dieci anni, di un ruolo di coordinamento del nascente universo cinematografico. Johns è chiamato, dall’alto della sua esperienza con i comics, a rendere le pietanze preparate da Synder e dal suo team più digeribili a un pubblico abituato ormai a identificare i supereroi con le decisamente più solari e scanzonate avventure dei personaggi Marvel. Non è dato sapere quanto del lavoro di Johns sia presente in Wonder Woman: a naso, parecchio. Sta di fatto che il film dedicato alla principessa amazzone, interpretata dalla splendida Gal Gadot, convince tutti, rimettendo il DCEU (DC Extended Universe) sui giusti binari. E arriviamo così, scusate il lungo preambolo, alla Justice League. In uscita tra meno di due settimane, il film porta ancora la firma di Zack Snyder, ma “sotto tutela” da parte di Warner in generale e Johns in particolare. E con l’aggiunta alla miscela del talento di Joss Whedon, fuggito dagli Avengers dopo averli condotti al successo per contrasti con la produzione dei Marvel Studios e sicuramente ansioso di prendersi una rivincita. Whedon si è occupato solo di alcune sequenze del film, e solo perché il povero Snyder è stato costretto ad abbandonare la nave causa una grave tragedia familiare; tuttavia, il suo nome è uno di quelli che fanno rumore e sicuramente influenzerà (tendenzialmente in positivo) la percezione della pellicola agli occhi di molti.

Insomma, quello che mi aspetto, nella migliore delle ipotesi possibili, è un film che sfrutti appieno il talento visivo di Snyder, veramente eccezionale, ma con un maggiore spazio per momenti più leggeri di interazione tra i personaggi, chiamati non ad abdicare al loro status di semidei, ma ad avere più sfaccettature e a prendersi un filo meno sul serio. Riuscirà Justice League a fare tutto questo? E io come faccio a saperlo? Non l’ho mica ancora visto. Però so una cosa. Che comunque vada, io questo film lo aspetto da quando, alle soglie della maturità, capii che se la Marvel era stata il primo amore, la DC era quello che sarebbe durato per sempre. E così fu, infatti. A questo punto, concedetemi una necessaria divagazione. Per un osservatore esterno, poco avvezzo al mondo dei supereroi, Marvel e DC sono sostanzialmente intercambiabili. Per chi ha invece letto tanta roba quanta ne ho letta io (fin troppa, me ne rendo conto), le differenze ci sono e sono chiare. Gli eroi Marvel sono prima di tutto le persone dietro la maschera. La storia dell’Uomo-Ragno (scusate, sono old school, tocca chiamarlo con il suo nome italiano) è la storia di Peter Parker, il liceale sfigato che si ritrova dei superpoteri e la prima cosa che fa è usarli per fare soldi, salvo poi ritrovarsi a piangere la morte dell’amato zio Ben, unica figura paterna della sua vita, per mano di un ladro che non ha fermato per puro egoismo. Iron Man è Tony Stark, inventore geniale, ma al tempo stesso uomo con una distruttiva passione per l’alcool e le belle donne. Per gli eroi DC, le cose sono molto diverse. Wonder Woman è Wonder Woman, è un’amazzone, non è cresciuta nei sobborghi di New York ma su un’isola incantata e Diana Prince è una maschera, un’identità talmente poco funzionale alle storie da essere stata abbandonata da tempo anche nei fumetti. Bruce Wayne può avere sedotto anche più donne di Tony Stark, ma non l’ha mai fatto perché fosse veramente interessato a loro: per lui, sono solo un mezzo per sviare i sospetti sulla propria doppia vita... perché Bruce Wayne è solo la maschera, mentre Batman è la vera personalità dominante. Ovviamente ci sono le eccezioni: i vari velocisti che hanno indossato il manto di Flash sono personaggi molto umani, con una vita privata e delle amicizie anche al di fuori del mondo dei supereroi, così come dall’altra parte abbiamo un Thor che è una divinità fatta e finita e la cui identità civile era una punizione inflittagli da suo padre. Ma si tratta, appunto, di eccezioni. Ed è qui che si gioca la partita dei gusti. Chi preferisce personaggi con cui può identificarsi più facilmente, sicuramente prediligerà l’approccio Marvel. Chi invece preferisce le icone, il mito, l’Iliade, Il signore degli anelli, facilmente sarà catturato dal mondo DC, dove gli eroi sono figure che devono ispirarci a voler essere migliori, più che farci riflettere su come siamo realmente; dove le città non sono New York e Londra ma Metropolis e Gotham, dei palcoscenici teatrali dove tutto può accadere, senza alcuna pretesa di eccessivo realismo. Un universo in cui le icone sono così importanti che esiste il concetto di “legacy”: l’idea che ogni eroe abbia accanto degli aiutanti più giovani a cui passare le proprie conoscenze e, un giorno, il proprio manto, perché i simboli di Batman, Flash, Superman sono qualcosa di più degli uomini che li indossano.

L’epifania che mi fece capire che ai personaggi DC sarei rimasto legato per sempre la ebbi quando iniziai a leggere il Flash di Mark Waid e la Justice League di Grant Morrison. Non è che non avessi letto altri fumetti DC in precedenza: avevo seguito molto volentieri la Justice League International di De Matteis/Giffen/Maguire, la Wonder Woman di Pérez, i capolavori di Batman a opera di Frank Miller e alcune altre storie sparse. Ma il vero amore scattò grazie a Waid e Morrison. Flash divenne in breve tempo il mio nuovo personaggio preferito dei comics, spodestando l’Uomo Ragno, e la JLA (all’epoca era conosciuta come Justice League of America) il mio nuovo punto di riferimento per i “blockbuster” in salsa supereroica. E proprio la League dell’autore scozzese mi fece capire quanto ho descritto più sopra a proposito dello status “mitologico” delle icone della DC Comics. Nelle sue pagine, mirabilmente illustrate da Howard Porter (artista molto sottovalutato ma dotato di un eccellente senso della narrazione), i membri della “Lega della Giustizia” affrontavano minacce sempre più incredibili, in una continua escalation che li avrebbe portati a sfidare dei oscuri (Darkseid) e angeli scacciati dal paradiso (Asmodel). Con sommo godimento del me stesso ventenne, ormai in cerca di concetti e idee più astratti e arditi rispetto alle dinamiche da soap opera tipiche del fumetto Marvel (OK, anche la Marvel aveva Jim Starlin, questo è innegabile, ma era l’asso da calare per il crossoverone estivo, laddove la DC sfruttava la genialità di Morrison mese dopo mese). Iniziai a seguire praticamente tutte le testate DC e, col tempo, anche a recuperare gran parte di quel che mi ero perso in passato. Una vera e propria malattia che continua tuttora, visto che con l'evento Rebirth, Johns e compagni sono riusciti persino a farmi dimenticare lo scivolone dei New 52.

Quindi, se dopo tutta questa pappardella ancora non si fosse capito, beh, ve lo ribadisco: il 16 novembre non può arrivare abbastanza in fretta. Voglio vedere la League fare un mazzo tanto a Steppenwolf. Voglio godere della visione di orde di parademoni prese a schiaffoni, del ritorno dell’ultimo figlio di Krypton, degli occhi sbarrati di Ezra Miller che, pur essendo formalmente Barry Allen, dai trailer ricorda tanto di più il Wally West che mi fece per primo innamorare del personaggio. Voglio vedere come farà Jason Momoa a fare al cinema quello che Peter David e poi Geoff Johns hanno saputo fare nei comics: rendere Arthur Curry un figo. Voglio rivedere il Batman più simile a quello dei fumetti che si sia mai visto e quella meraviglia di Gal Gadot. Sono a un livello tale di hype che mi incuriosisce pure l’interpretazione del povero Cyborg, che sembra l’anello debole della catena ma di potenzialità, in un mondo sempre più connesso e informatizzato, ne ha da vendere. So benissimo che, là fuori, c’è un esercito di Marvel Zombie pronto a vivisezionare il film per farlo a pezzi. So benissimo che, vada come vada, per qualcuno sarà troppo leggero, poco serio, avrà poca azione, troppa azione, sarà troppo corto, troppo lungo, non abbastanza blu, troppo grigio, e poi non potevano metterci anche Spider-Man? Non parliamo di quello che avrà da ridire l’esercito degli hipster... quelli, per intenderci, che hanno smesso di leggere The Walking Dead quando hanno iniziato a trasmettere la serie e si sono accorti che la guardavano in tanti. Eppure, la cosa non potrebbe tangermi di meno. In fondo, non vorrete mica dirmi che Cuphead non è un’esclusiva della Madonna? Sì, lo so, ci puoi giocare anche su PC... dettagli!

Questo articolo fa parte della Cover Story "Justice League & Friends", che trovate riepilogata a questo indirizzo

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