In Drive si parla poco ma si guida e si picchia tanto
La sequenza iniziale di Drive rappresenta uno dei modi più efficaci per descrivere un personaggio senza che egli dica praticamente nulla o quasi. Un uomo attende a bordo della sua auto due criminali che hanno appena messo a segno una rapina per condurli al sicuro. I criminali sono visibilmente nervosi, il suono delle sirene si fa sempre più forte man mano che le auto della polizia si avvicinano, la cattura sembra molto più che una possibilità. L’autista invece resta sempre calmissimo. Freddo e glaciale, senza dire mai una parola. L’unica cosa che rompe il silenzio è la radio della polizia, che l’uomo alterna ad un’emittente sportiva che trasmette la cronaca di una partita di baseball. L’auto sospetta viene individuata due volte, prima da una volante e poi da un elicottero, ma l’autista, senza perdere mai il controllo nemmeno per un secondo, sfugge entrambe le volte alla morsa della polizia e porta i due rapinatori a destinazione, percorrendo le strade di una Los Angeles avvolta da una notte profondamente buia, illuminata solo da qualche flebile lampione e qualche semaforo.
Ed è così che in Drive viene introdotto il protagonista, con una sequenza tanto minimalista quanto potente nel descriverne i tratti. L’uomo rimarrà senza identità per tutto il film. Non sapremo mai qual è il suo nome (verrà indicato sempre come “l’autista” o “il pilota”), e nemmeno nulla del suo passato. Un uomo apparentemente normale, con i tratti da duro. Inespressivo come il Clint Eastwood dei film di Sergio Leone, nulla che possa anche lontanamente far trasparire in lui un’emozione. Un uomo che sembra trovarsi su questo pianeta per caso, totalmente avulso dalla società, senza il minimo contatto umano. L’unica costante presente in quest’uomo misteriosissimo sono i motori. Infatti, per sbarcare il lunario, lui fa tre lavori: il meccanico, lo stuntman nei film d’azione e l’autista su commissione nelle rapine. Tre impieghi accomunati sempre dalle auto. Che siano da guidare o da riparare, poco importa.
Poi un giorno, tutto cambia. Mentre fa la spesa al supermercato, incrocia una donna che ha l’auto in panne, e da lì tutto cambia. La donna, Irene, è la sua vicina di casa, e i due si vedono praticamente tutti i giorni senza parlarsi mai. Lei è sola con un figlio piccolo, Benicio, di cui farsi carico. E quell’incontro sembra risvegliare nell’uomo sentimenti sopiti da tempo. Infatti, “l’autista” instaura con i due un profondo rapporto emotivo, come se quelle anime sole e vuote non aspettassero altro che incontrarsi.
Ma, come spesso accade, quando la felicità è dietro l’angolo, arriva qualcosa o qualcuno a rovinare tutto, come un temporale durante una giornata di sole, magari mentre sei nel bel mezzo di un pic-nic.
Standard, il marito della donna, scarcerato dopo una lunga condanna, torna in famiglia portandosi dietro una montagna di guai. Ha contratto un debito con la criminalità organizzata, e l’autista, temendo per l’incolumità di Irene e Benicio, decide di aiutarlo nell’unico modo in cui può farlo, cioè guidando l’auto per portare Standard via dal luogo di una rapina, il cui bottino è necessario per ripagare il debito. Ma tutto ciò che poteva andare male andrà anche peggio, e il silenzioso protagonista inizierà una lunga lotta per la sopravvivenza che sfocerà nel sangue, pur di proteggere chi ama.
Pur avendo di base una struttura molto semplice, Drive è un film complesso e molto citazionista. Racconta la storia di un uomo dai due volti. Un uomo pronto a fare di tutto per salvare le uniche due persone che sembrano rappresentare qualcosa per lui, con una love story sullo sfondo destinata a non compiersi mai, ma tanto freddo e imperturbabile nei confronti di tutto il resto del mondo. Un film che deve molto a pellicole come Heat e Collateral di Michael Mann per la resa notturna di Los Angeles, a Taxi Driver per il personaggio di Travis Bickle e a Scarface per la scena del motel (anche se qui non ci sono motoseghe). Drive è sostanzialmente un noir che fa del suo punto di forza l’atmosfera e una tensione viva e palpabile lungo tutto il film, con scene assolutamente memorabili come quella dell’ascensore, vero e proprio climax della pellicola. Sarà stata un’impressione solo mia, ma ci ho visto anche una leggerissima spruzzata di Grand Theft Auto, un po' per il font rosa fluo dei titoli di testa e la colonna sonora anni Ottanta in stile Vice City e un po' per i pittoreschi e stereotipati criminali italoamericani presenti anche in alcuni capitoli del celebre franchise Rockstar.
Ho visto Drive per la prima volta dieci anni fa, a un paio d’anni dalla sua uscita nelle sale, e non l’avevo più rivisto fino ad ora, nonostante mi fosse piaciuto parecchio tanto da acquistare il DVD. Vai a sapere il perché. Ho rivisto il film in occasione della Cover Story e l’ho trovato ancora un gran bel film, forse un po' frettoloso nella parte finale, ma sempre fortemente emozionante.
Oltre a un Ryan Gosling semplicemente perfetto (e ancora adesso faccio fatico a metabolizzare il fatto che sia lo stesso attore che interpreti Ken in Barbie), da sottolineare anche la prova di Carey Mullighan, con la sua Irene dallo sguardo perennemente malinconico, e bravi caratteristi come Ron Perlman e Brian Cranston, che interpretano rispettivamente il boss malavitoso Nino e il meccanico Shannon.
Drive mi aveva spinto a seguire con un certo interesse il suo regista, Nicolas Winding Refn, anche se, purtroppo, non ha più fatto nulla di veramente rilevante dopo questo film, basato sull’omonimo romanzo di James Sallis.
Drive è disponibile su Now e Prime Video.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.