Ghost Trick: Ricordi di Shu Takumi | Racconti dall'ospizio
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
È impossibile parlare di Ghost Trick senza spoilerare la sua bellezza, quindi non lo farò. Vi dico solo che è un gioco geniale, con una direzione artistica fuori scala, una trama avvincente e un sistema di enigmi unico nella storia dei videogiochi. Credo che sia una fra le grandi perle nel catalogo del Nintendo DS e che sia un crimine che Capcom, delusa dalle sue vendite, abbia deciso di lasciarlo nel dimenticatoio, relegando il genio di Shu Takumi alla creazione di spin-off sempre meno interessanti del suo classicone Phoenix Wright. Ma la storia dei videogiochi è così, e quello che possiamo fare è salvare il ricordo dei grandi giochi che avrebbero meritato di più. Morale: giocate a Ghost Trick. E se proprio non volete giocarci, guardatevi questo video di me che ci gioco con la mia dolce metà.
Oggi non voglio parlarvi di Ghost Trick, bensì della volta che ho incontrato il suo creatore, Shu Takumi, in una fra le più emozionanti interviste della mia carriera di scribacchino videoludico. Ero a Los Angeles, all’E3 2010, ed ero stato scelto per andare a intervistarlo in vista del lancio del suo nuovo gioco, la sua prima nuova IP dopo il grande successo di Gyakuten Saiban (Phoenix Wright: Ace Attorney, nato in Giappone, su GBA, e poi sbarcato in occidente con una serie di fortunate conversioni). Ero emozionato, perché nei due anni passati ero stato ossessionato dalla sua produzione.
Avevo giocato, adorato e recensito i due primi capitoli di Phoenix Wright e aspettavo così tanto il terzo che ci avevo giocato in versione GBA, con una ROM patchata con traduzione amatoriale (che purtroppo si fermava al primo caso). Livello di scimmia: orango imperiale. Conoscevo i nomi giapponesi dei suoi personaggi, conoscevo il lore, conoscevo la storia del franchise. Avevo studiato di brutto ed ero emozionatissimo all’idea di un nuovo gioco nato dallo stesso genio narrativo.
Nel settore dei videogiochi, soprattutto in zona E3, c’è sempre qualche vecchio trombone disilluso che dice di essersi annoiato, che le fiere sono una sgobbata inutile, che fare i giornalisti è come fare gli schiavi… io ho sempre detestato questo atteggiamento. Siamo fortunati. Siamo dei privilegiati. E io, in quel momento, lo ero più di tutti: avevo l’occasione di guardare negli occhi il creatore di uno fra i miei giochi preferiti, facendomi raccontare i perché e i percome di quello nuovo. Mi presento nello stanzino dedicato con largo anticipo (cosa quasi impossibile, all’E3) e trovo Takumi san già sul posto, pronto, sorridente.
Chi mi conosce di persona sa che sono un nanerottolo, ma stare accanto a Shu Takumi mi ha fatto sentire come Kareem Abdul-Jabbar. Tutto quel genio narrativo era racchiuso in un ometto compatto, sorridente, ma con tutta la serietà che è propria dei giapponesi in contesti professionali. Ricordo perfettamente di aver fatto il secchione per fargli capire che conoscevo il suo lavoro e che poteva entrare nei dettagli, usando i nomi giapponesi dei personaggi di Gyakuten Saiban. Una mossa cheap, lo so (del resto, oh, avevo dieci anni in meno), ma ha funzionato. Shu è stato sinceramente contento di vedere “un vero fan” ed è passato a un atteggiamento più amichevole, meno ingessato.
Abbiamo parlato di volpini di Pomeriania, di rotoscoping, Prince of Persia, obiezioni, avventure testuali, avventure grafiche, cibo italiano. Il tutto è stato immortalato su un numero di Nintendo la Rivista Ufficiale che è ancora su qualche scaffale di casa dei miei. Fu un pomeriggio splendido, seguito da un periodo di hype e attesa per il gioco finale che, grazie ai potenti mezzi di NRU, arrivò con largo anticipo nelle mie mani. Una parte di me, sotto sotto, voleva un more of the same di Phoenix Wright, ma la novità del sistema e l’alternarsi di storia ed enigmi erano un vero passo avanti in termini di design. Un gioco incredibile e forse, purtroppo, irripetibile.
Giocateci, amatelo, e ricordatevi che anche se avete barato all’ufficio dell’anagrafe per avere un centimetro in più sulla carta di identità, c’è sempre uno sviluppatore di videogiochi giapponesi più basso di voi.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Luigi e ai fantasmi, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.