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La mirabile (in?)utilità di un glossario dei videogiochi | Librodrome

Attenzione, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit. Ma solo libri che hanno in qualche modo a che fare coi videogiochi eh! Per tutti gli altri, c’è quell’altra rubrica.

Può servire, oggi, un glossario dei videogiochi, per giunta cartaceo e senza figure!?

Non è forse una roba fuori tempo massimo, un volumetto superfluo, autoreferenziale e vieppiù anacronistico? 

Glossario dei Videogiochi, scritto da Simone Barbieri ed edito da Edizioni Unicopli (nella collana Game Culture), raccoglie circa duemila termini, corredati da relativa definizione, nati e utilizzati nel mondo videoludico. Il volume include anche una sezione introduttiva sulla scelta delle fonti, sulla raccolta e sulla selezione dei termini, nonché sull’impostazione e sulla costruzione delle definizioni che lo compongono. 

Si tratta di uno strumento tanto raro quanto prezioso, di un vecchio e adorabile sestante, grazie al quale districarsi nei meandri gergali di un linguaggio nuovo, continuamente mutevole, che si espande a colpi di contrazioni, prestiti, concessioni e inglesismi. Un esperanto videoludico che si evolve incessantemente e senza tregua.

La meticolosa opera di Barbieri serve a capire, riflettere, approfondire, studiare. 

Serve, parafrasando Alvin Toffler, a non diventare uno di quegli analfabeti del futuro, “[...] che non saranno quelli che non sanno leggere o scrivere, ma quelli che non sanno imparare, disimparare, e imparare di nuovo.”

Del resto, sappiamo benissimo che il gameplay è una situazione di linguaggio, ovvero un “oggetto letterale” che ha la funzione di generare situazioni con la sua stessa lucida obiettività. Il gameplay non esprime, bensì produce. Come elemento catalizzatore, esso getta ininterrottamente agli attori (sia di qua che al di là dello schermo) un’esca di parola, ovvero li fa esistere nella proliferazione del linguaggio.

Le differenti pressioni sul controller creano situazioni, cioè possibilità e scelte: saltare, accovacciarsi, trasformarsi in aspirapolvere, uccidere la propria madre a Rokovoj Bereg o bestemmiare. 

Il grosso limite di questo glossario, giocoforza, è la sua natura cartacea. In questa sua forma (così come accade a qualsiasi vocabolario) non può avere una pretesa totalizzante, universale e perpetua. Tutt’altro. Dovrebbe essere aggiornato a cadenza regolare, quantomeno annuale.

La “versione 2019” del Glossario dei Videogiochi, così com’è, è l’istantanea di un’epoca e della sua cultura, uno strumento che si rivolge sia ai neofiti (mamme, papà, nonni) che a tutti i sedicenti esperti dello stato borderline. Serve per scrivere una tesi universitaria sui videogiochi o, più banalmente, per capire e farsi capire da quel cheattone di tuo figlio o dai suoi amici camperoni.  

PRO: Nel glossario non compare il termine “turbofregno”, una brutta storpiatura toscana che non esiste, mai esisterà e provoca un ittero fonetico. 

CONTRO: Non si fa riferimento al termine imprescindibile “frechete”. Rimediamo subito, leggetevi questo articolo almeno due volte (consecutive).