Gris è anche un gioco(?)
In questo settore abbuffato di trailer, preview, recensioni e twitchate, io di Gris non avevo comunque capito nulla. Sarà stata Devolver Digital alle spalle, sarà stato il montaggio veloce del primo video, ma ero davvero pronto a giurare su un action platform con enigmi più che su un Journey in 2D. Colpa mia.
L’estetica certo non delude. Qualsiasi cosa ci si aspetti da questo gioco, è innegabile una maestosa rappresentazione su schermo, una favolosa attenzione a forme e colori che si mantiene costante per tutte e quattro le ore di gioco e che non scade mai nell’esibizionismo forzato ma mantiene pulite le sue linee morbide. È bello da vedere (e tanto), insomma, qualsiasi cosa abbia provato a dirvi nella frase precedente.
Ma Gris è anche un gioco, più Abzû che Journey, diciamo, ed è nella pretestuosa ricerca di pallini sticazzi che il progetto si snatura, si svende e si umilia, persino. Gli ottimi controlli sembrerebbero perfetti per saltellare con più obiettivi, alcune meccaniche meriterebbero idee più brillanti e invece si deve arrivare solo alla fine, come in un viaggio, ma fermandosi di tanto in tanto a fare finta che non sia così. Colpa sua.
E Gris è anche e sopratutto un messaggio, una richiesta d’aiuto, forse, almeno così mi dicono. La verità è che quel messaggio è velato, oscuro, nascosto fin troppo bene al giocatore, che difficilmente potrà goderselo in corsa senza qualche imboccata. Oppure basta essere più svegli di me e non avere un cuore di ghiaccio, così mi dicono.
Non ci siamo voluti bene, io e Gris. Un po’ per colpa delle aspettative che mi ero colpevolmente montato in testa, un po’ per la sua stupida voglia di fare questo e pure quello senza scegliere una strada precisa. Rimane però solo un’eccellente prova visiva, chissà se videogioco, non importa, e poco altro. Troppa poesia, per me.