Un emulo contemporaneo di Assault Suits Valken? Lo compro. Subito! Questa è stata la mia reazione non appena mi sono accorto, spulciando il catalogo di un negozio online di videogiochi, dell’uscita di Kisou Ryouhei Gunhound EX per PlayStation Portable. Uno di quei per fortuna rari casi di acquisto impulsivo che scaturisce a prescindere da qualsiasi valutazione razionale. E che spinge a comprare un videogioco, oltretutto in edizione limitata nel caso specifico, non tanto per la tipologia di gioco proposta (shoot’em up con i mecha!), per l’identità del produttore (G.rev, quelli di Border Down e Under Defeat) o per la valutazione di una rivista giapponese (Famitsu Weekly o Dengeki), ma solo per dare sollievo a un cuore reso all’improvviso palpitante dallo sgorgare di ricordi di lunga, lunghissima data: 1990 Assault Suit Leynos, 1992 Assault Suits Valken (o Cybernator), 1996 Front Mission: Gun Hazard, 1997 Assault Suits Leynos 2. E non sembri strano al lettore l’inserimento di Gun Hazard nella linea esistenziale dell’epopea robot-spaziale firmata da NCS Corp. e Masaya, dato che lo stesso fu programmato da Toshiro Tsuchida, sviluppatore che già aveva partecipato alla realizzazione di Assault Suits Valken. E non sembri ancora strano al lettore l’esclusione, dalla linea sopra descritta, di Assault Suits Valken II: ogni saga, per quanto bella, ha la sua pecora nera.
Tra i titoli citati, quello del quale Kisou Ryouhei Gunhound EX ricalca maggiormente le orme è proprio il caro e mai troppo amato Cybernator. Ora, se io fossi un recensore di videogiochi bravo e inappuntabile, per la preparazione di questo articolo avrei dovuto senz’altro andare a svernare dal dolce sonno uno dei tanti Super Famicom di famiglia, e inserire nello stesso la cartuccia di Cybernator. Avrei allora dovuto giocare lo stesso per qualche ora, parificare le immagini della memoria con le nuove impressioni affastellantesi sulla retina dei miei occhi, prendere qualche freddo appunto, razionalizzare la coscienza, paragonare con obiettività le esperienze di gioco veicolate dall’uno e dall’altro titolo, stilare dei confronti e vergare un compendio di sagge note da consegnare al lettore: avrei scritto di conseguenza una bella analisi comparativa, che avrebbe reso giustizia sia al presente sia al passato. Bello, bravo, bene, bis: non ci ho pensato nemmeno per un istante. Perché non sono un bravo articolista e perché la sola idea di rovinare di un grammo la qualità dei ricordi legata a Cybernator mi orripilava.
Cybernator io lo ricordo pesante. Ricordo la corazza d’assalto atterrare, ammortizzare il suo peso tra nuvole di detriti che si sollevavano tutto intorno, un silenzio raggelante che si mescolava al rumore faticoso delle articolazioni meccaniche quando accennavo a spostarmi, il dolore delle dita che non ce la facevano più a diramarsi tra i tasti del pad e gli ambienti particolareggiati e vasti, pur chiusi in cunicoli, con i colori grigiastri misti al rosso e a tinte che sapevano di guerra, fine di mondo, conflitto universale tra macerie e carcasse di città… e ancora i bozzoli di proiettili vomitati a terra e i buchi nelle lamiere, le torrette avversarie piazzate un po’ ovunque, i cingolati, le battaglie furiose e quella sensazione di sconfitta imminente che governava l’intera missione. E io che direzionavo colpi in diagonale, bloccavo lo sparo, sganciavo un missile, scattavo, tentavo di sollevare i millemila chili del mecha per prodigarmi in un salto o in uno scatto, e poi rinculavo dietro allo scudo per parare il fendente del nemico biforcuto di turno. Morivo sempre, in quel gioco. Già.
Eh no, di andare a rovinare queste immagini proprio non me la sono sentita, e allora è con onestà che devo ammettere di aver avviato l’UMD del povero Kisou Ryouhei Gunhound EX fin troppo prevenuto, seppur speranzoso di rivivere almeno in parte le vecchie e forse sognate sensazioni. E dunque? E dunque l’avvio è piuttosto lento, il gioco va installato se non si vuole rischiare di appisolarsi tra una schermata di caricamento e l’altro. Il menu è integralmente in giapponese, le opzioni tante, alcune intuitive, altre meno, le modalità sono poche e utili solo in parte. Oltre alla storia principale, si possono selezionare: una sorta di allenamento, una specie di cantiere per modificare gli attributi e le caratteristiche del mecha (previo ottenimento delle parti da aggiungere) e una vetrina di missioni a tempo che ripercorrono integralmente i livelli già sbloccati nella modalità portante. E poi si entra nella battaglia vera e propria. L’impatto non è dei più esaltanti: il mecha si muove rantolando per lo schermo, imitando in modo losco e parziale l’armatura da combattimento di Assault Suits Valken. La pesantezza c’è, ma anche la sensazione di un procedere farraginoso. La conformazione di PlayStation Portable non aiuta: arrivare a premere i diversi tasti provoca crampi alle dita e la paralisi parziale del mignolo della mano destra, unica falange non operativa che resta imbolsita e sospesa nel nulla durante lo spazio-tempo dedicato al gioco.
I colori a schermo sono vibranti, la foggia del mecha principale e dei nemici piacevole, la conformazione dei livelli invece poco avvincente. Più che in uno sparatutto nel quale avanzare a fatica, appostamento dopo appostamento, sembra di inoltrarsi in un gioco di piattaforme con qualche venatura alla Contra. Non che ci sia da saltare (e per fortuna, vista la sopra citata farraginosità del mezzo!) quanto piuttosto da avanzare unidirezionalmente verso destra, a volte camminando, a volte correndo, distruggendo le postazioni nemiche disseminate senza troppa fantasia. Pur avendo a disposizione un fucile di precisione e un pugno ferrato che dovrebbe spappolare le livree altrui, mancano mecha degni di nota da affrontare uno contro uno o un qualsivoglia avversario collocato in luoghi ameni da tramortire con un proiettile ben piazzato. Si finisce per premere più e più volte il tasto dorsale destro per attivare i missili a ricerca automatica, da una parte, e l’ultra laser, dall’altra, così da avanzare in modalità “distruggi tutto e subito senza tanti patemi”. Anche perché le munizioni sono infinite e il potenziale distruttivo massimizzato fin dal principio.
I cinque livelli previsti sono poco articolati e in parte scontati nella struttura. Il gioco tenta di introdurre qualche variante qua e là, riuscita solo in parte, del tipo: scortare un convoglio sulle acque di un fiume, scivolare da una rupe come il migliore degli sciatori alpini, inoltrarsi in una base dinoccolandosi tra sbuffi di corrente elettrica. Tutto già visto e riproposto in modo scialbo, poco incisivo, raramente adrenalinico. Si impara un po’ dove sono piazzati i nemici e la sorpresa è finita: memorizzazione massiccia, uso delle abilità ludiche ridotte al minimo. I boss di fine livello sono enormi e volenterosi, ma immiseriti da sequenze di attacco che si piegano ben presto alla comprensione del giocatore. I crediti infiniti smussano poi una difficoltà che tenderebbe al frustrante, ma più per le ingombranti movenze del mezzo comandato che per l’intelligenza dei nemici, la loro aggressività o la disposizione sul campo. Kisou Ryouhei Gunhound EX susciterebbe una certa appetibilità tutt’al più se fosse proposto a otto o nove euro, peccato che per procurarsi il gioco, fra negozi d’importazione, dogane e quant’altro, bisogna sborsare oltre trenta euro (cinquanta e passa per l’edizione speciale, contenente un bellissimo CD con le tracce del gioco e un mini artbook di desolante fattura). Decisamente troppi.
Ci sarà però qualcosa di buono, in Kisou Ryouhei Gunhound EX, che giustifichi la sufficienza piena assegnata? Beh, il ricordo di quello che fu… e il ricordo di quello che fu… e, sì dai, un certo piacere di gioco. La sfida a tratti si impenna, con il passare delle ore si capisce anche l’utilità del fucile o del pugno cibernetico e se si rinuncia ai crediti infiniti si scopre come sia complicato anche solo arrivare alla fine del terzo livello senza averci rimesso l’unico mecha a disposizione (e attenzione: premendo il tasto SELECT, si cambia pelle e il mezzo guidato guadagna una seconda barra di energia). E poi ci sono gli upgrade che si possono conquistare una volta completata l’avventura e alcuni boss che riescono a ricreare l’atmosfera tipica delle battaglie tra super robot degli anime giapponesi. In definitiva, pur tradendo la sua natura di titolo casereccio, uscito in passato solo per Personal Computer per mano di Dracue Software, in questa rivisitazione per PlayStation Portable, Kisou Ryouhei Gunhound EX gode di quel minimo di credibilità che lo risparmia dalle invettive gratuite dell’appassionato isterico di turno. La tattica è ridotta all’osso, l’adrenalina scorre solo a tratti, il ritmo è spezzato da degli inutili dialoghi, la sfida è impegnativa ma banalizzata da crediti infiniti: qualche più e molti meno. Da consigliare con riserva solo a chi vuole rivivere in parte, e per un attimo fuggente, il fascino senza tempo di Cybernator.
Ho comprato Kisou Ryouhei Gunhound EX da un negozio online d'importazione, in versione limitata, e ho cercato in tutti i modi di farmelo piacere… già immaginavo di scrivere un pezzo fantascientifico e lungo qualche migliaia di paragrafi nel quale festeggiare l’avvento del nuovo Cybernator…Vabbé, sarà per la prossima.