Il lusso del divertimento
Il mondo cambia, poi impazzisce, e a noi tocca guardarlo. Sempre più incomprensibile, sempre più imprevedibile.
Ora siamo quelli fortunati, abbastanza lontani dalle bombe da non sentirne il rumore, abbastanza al riparo da non dover correre in un rifugio, capaci persino di andare avanti come se nulla fosse, perché magari non sappiamo in che altro modo andare avanti.
I videogiochi servono anche a quello, no? A portarci lontano, a cancellare dalla vista tutto quello che non vuoi vedere perché c’è un boss più grande e forte da sconfiggere, a darti uno scopo quando tutto intorno a te sembra non averlo. A scappare.
Ma che diritto abbiamo, noi, di divertirci?
E perché stavolta è tanto diverso? Perché è più vicino del solito? Per quello che potrebbe diventare? Forse perché in mezzo al caos ci è finito chi, come noi, un attimo fa aspettava di giocare Elden Ring o Gran Turismo? Non me lo spiego ma sento che non è giusto, meno giusto del solito sicuramente.
Eppure ne ho bisogno. Ancora di più.
I videogiochi sono un fottuto casino che copre ogni altro rumore e io non voglio sentirlo quel rumore, non per ventiquattro ore al giorno. E allora scappo, come un coniglio, ma vorrei che non sembrasse così sbagliato.