Il mio nome è Nessuno: l'altra volta che Leone congedò i western
Normalmente si ritiene che con C’era una volta il West Sergio Leone abbia salutato i western, genere che aveva di fatto insegnato agli americani a rivisitare mentre Sam Peckinpah, negli stessi anni, lo stava smontando dall’interno. Dopo sarebbe venuto Giù la testa che era un curioso mix tra western, avventura picaresca, epica sulle resistenze e, probabilmente, uno dei film più “politici” del maestro.
Se però chiedete a me (chiedetemelo!), il vero addio al Western, Leone lo diede quattro anni dopo con Il mio nome è Nessuno (1973). Certo, in teoria il film sarebbe “da un’idea di” Sergio Leone, il regista è Tonino Valerii e sul set Sergio Leone prese il controllo della seconda unità per girare alcune scene che rischiavano di essere girate in ritardo compromettendo i tempi del film.
Però, boh, con tutto il rispetto per Tonino Valerii che confeziona un western meraviglioso (altrimenti che ne parlavo a fare) viene davvero difficile guardarlo e non pensare che, se davvero fu solo “un’idea di”, allora Sergio Leone riusciva a plasmare la realtà stessa in modo che le sue trovate prendessero forma nelle mani di qualcun altro.
Ne Il mio nome è Nessuno, uno strepitoso Henry Fonda, che, appunto, in C’era una volta il West era stato convinto da Leone ad abbandonare i panni dell’eroe empatico per diventare un gelido assassino, interpreta Jack Beauregard, pistolero cinico e pragmatico che potrebbe essere uno qualsiasi dei suoi personaggi di gioventù dopo decenni di confronti con la realtà e che, come tutti i disillusi, pensa solo a trovare un posto dove essere lasciato in pace, possibilmente con un congruo gruzzoletto.
Entra Terence Hill: Nessuno. Un giovinastro verboso e cialtronesco i cui occhi azzurri risplendono tanto quanto quelli di Henry Fonda sono opachi. Innamorato dell’epica del West, cresciuto con le storie dei grandi pistoleri che hanno fatto la frontiera, il suo unico scopo è fare sì che la storia di Jack Beauregard abbia il finale epico che merita: non la pensione, l’eternità.
Per me è impossibile non vedere un parallelo tra Sergio Leone (l’uomo che appunto re-inventò il western intuendo come, tanto più fossero impolverati, sudati e sporchi i suoi personaggi, tanto più avrebbero brillato le loro personalità iperumane) e il suo pubblico, sempre desideroso di una nuova storia, di una nuova sfida, di una nuova epica.
Jack Beauregard è stanco, ma ha vissuto l’epoca degli eroi: di coloro che credevano “di poter risolvere tutto faccia a faccia con un buon colpo di pistola” e per cui “il west era immenso, sconfinato, deserto. Un posto dove non incontravi mai due volte la stessa persona.”.
E nonostante dia la colpa a Nessuno che ora “è diventato piccolo, affollato, ci si incontra continuamente” probabilmente è conscio, come Leone, che dopotutto è colpa sua: l’epica crea i racconti e gli eroi creano emuli.
Centinaia di spaghetti western hanno affollato i cinema dopo Per un pugno di dollari come centinaia di Nessuno hanno popolato il west inseguendo le tracce dei giganti.
E quindi, per quanto sia scocciato, sospettoso e più di una volta arrivi a tanto così dal ficcare una palla in testa a questo stalker, alla fine ne è affascinato e lo capisce e non riesce a resistere prima dal cercare di insegnargli “la verità” e poi ad arrendersi e ad accettare “la realtà”: nessun eroe può andarsene semplicemente in pensione.
In tutto questo Terence Hill è semplicemente fantastico.
Non ho mai nascosto che il mio preferito del famoso duo Pedersoli-Girotti sia sempre stato il biondino atletico ed un po’ carognetta, meno possente ed immediatamente carismatico ma sicuramente più espressivo e versatile, tanto che se non ho mai rivisto nessuno dei film solisti di Bud Spencer, non solo Il mio nome è Nessuno sta tra i mieifeticcii, ma se inciampo in Un Genio, due compari, un pollo sicuramente lo riguardo (Renegade, no, quello è una palla e basta).
In questo film, colui che si spegnerà nell’abito talare di Don Matteo, dà il meglio di se stesso: è difficile capire se reciti o se fosse proprio la vicinanza con due istituzioni come Henry Fonda e Sergio Leone a trasformarlo in un fanboy disposto a dare il 120% pur di ottenere un cenno di approvazione. E’ dinamico, buffonesco, machiavellico e carico di leggerezza: memorabile il suo disappunto quando Beauregard uccide un avversario che lui aveva reso inerme.
Non è il morto in sé che gli dispiace, ma il fatto che l’eroe non avesse colto il suo coreografico sforzo ad alleggerire. In una recensione del New York Times del 1974 viene paragonato al folletto Puck di Sogno di una notte di mezza estate.
Potrei anche rilevare come i colori stessi della fotografia, la scelta stessa delle inquadrature, della distribuzione in scena e del sonoro ricordi Sergio Leone, ma in questo caso esporrei il fianco alla facile considerazione che è così che lo spaghetti western era stato codificato. Semmai, vorrei notare il paradosso per cui le scene meno leoniane del film, smargiasse e imbevute di quell’umorismo slapstick che è quanto di più lontano si possa immaginare dagli occhi stretti di Eastwood e Van Cliff - ovvero quella del bar, quella della fiera di paese e la scena dell’orinatoio - furono completamente opera del decano.
Infine, per rimarcare quanto sia leoniano questo film (di nuovo, mi perdoni il maestro Valerii): la colonna sonora di Ennio Morricone.
Sono sempre rimasto un po’ sconcertato che non sia tra le più citate. Sicuramente non raggiungeranno l’intensità impossibile di La febbre dell’oro” e Il triello, ma il tema Se sei qualcuno è colpa mia e, sopratutto, l'ossessiva ripresa de La cavalcata delle Valkirie nell’onnipresente tema de Il mucchio selvaggio meriterebbero un po’ più di rilievo tra le opere del compositore.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata agli anni Settanta, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.