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Il Pedro di spade 8x06: un finale che chiude tutto è il miglior finale possibile

Il Pedro di spade 8x06: un finale che chiude tutto è il miglior finale possibile

Ogni settimana, Natale "Pedro Sombrero" Ciappina ci illumina con le sue elucubrazioni sul nuovo episodio de Il trono di spadeChiaramente, trattandosi di analisi sui singoli episodi, evitate di leggerle se non siete aggiornati con le trasmissioni.

A prescindere che questo ultimo episodio de Il Trono di Spade sia piaciuto o meno, chiunque abbia visto almeno una manciata di serie TV sa benissimo quanto sia difficile chiudere, in maniera più o meno definitiva, una narrazione che si è protratta per anni attraverso innumerevoli episodi, solitamente lunghi ciascuno più di cinquanta minuti. Se poi a questo aggiungiamo che in questo caso gli anni, da tradurre in stagioni, sono ben otto, e che i personaggi e i rispettivi archi narrativi in questo lungo periodo di tempo non hanno fatto altro che aggiungersi e sottrarsi di continuo, ingarbugliando ulteriormente la narrazione complessiva, forse capiamo quanto possa essere stato difficile per Benioff e Weiss chiudere il cerchio. Eppure, dopo un episodio dal nome emblematico (Il trono di spade, appunto), un senso di soddisfazione non può propagarsi in chi, in questi anni, più che ad occuparsi di dettagli collaterali, ha semplicemente tentato di gustarsi una visione collettiva che, in quest’ultimo atto, riesce a chiudere tutti gli archi narrativi precedentemente aperti.

Non è tanto una questione di circolarità, che pure c’è, quanto di coerenza, con Game of Thrones che è rimasto fedele, fino alla fine, a se stesso. Era infatti difficilissimo rispondere alle aspettative di un fandom per forza di cose frammentatissimo – basti pensare i vari ‘team’ per ogni casata di Westeros; quelli che speculavano teorie su teorie su Reddit; chi invece leggeva approfondimenti, ascoltava podcast o guardava video su Youtube; chi ha letto prima i libri e poi ha iniziato a seguire la serie TV, o chi ha fatto viceversa; oppure quelli che, semplicemente, si godeva lo show ogni aprile circa sul divano di casa: a prescindere dai diciannove milioni di telespettatori registrati nei soli Stati Uniti alla messa in onda di quest’ultimo episodio, l’eterogeneità di cui Il Trono di Spade è riuscito a comporsi in questi anni è stupefacente. Ma alla fine della fiera, o per meglio dire, alla fine del ‘game of thrones’, non si può dire che quei tanti personaggi che ci hanno accompagnato in questi anni non trovino compiutezza. Magari la fine che hanno avuto Jon, Sansa, Arya, Tyrion e via discorrendo non potranno piacere a tutti, però è indubbio che, fra chi è rimasto vivo ed è riuscito a sopravvivere a un conflitto che ha coinvolto su larga scala tutto il continente, tutti hanno avuto una finale coerente a quella che è stata la loro evoluzione narrativa fin dall’inizio della serie. E riguardando indietro, a quello che sono state le altre di serie TV, specie quelle di massa e soprattutto quelle con un numero smisurato di personaggi ad animare le rispettive sceneggiature, questo non può che considerarsi come un plauso ai fin troppo bistrattati D&D, gli showrunner su cui si è riversata una shitstorm, spesso acritica, che ha contraddistinto quest’ultima stagione – Benioff e Weiss che hanno peraltro voluto metterci direttamente la faccia, per questo episodio conclusivo, sedendosi per la prima volta in cabina di regia.

Per gli amanti del dettaglio a tutti i costi, che pure giustamente non sono mancati in questa stagione, sì, con una pugnalata al cuore la morte può sopraggiungere dopo pochi secondi.

Per gli amanti del dettaglio a tutti i costi, che pure giustamente non sono mancati in questa stagione, sì, con una pugnalata al cuore la morte può sopraggiungere dopo pochi secondi.

Il sesto episodio inizia quando ormai tutto è finito. Non ci sono più guerre da affrontare, e spingere il piede sul pedale dell’acceleratore sarebbe effettivamente stato superfluo. Tutto quello che doveva esserci c’è già stato, e il resto è riservato alla metabolizzazione e agli ultimi scampoli di un conflitto che sembrava essere infinito. L’intera puntata si divide infatti in modo netto in due parti, ognuna delle quali contraddistinta da poche ma intense linee narrative. Pensiamo ad esempio alla prima, quella dove Daenerys, una volta distrutto Approdo del Re, realizza a conti fatti la propria vittoria; cos’altro c’era da dire, o da fare, in questo scenario? Poco, e così si distribuisce la tensione con il discorso alle truppe prima, e con il discorso in privato fra Jon e Tyrion poi. Nell’ultima puntata di sempre de Il Trono di Spade, la prima mezz’ora la si passa ad ascoltare persone parlare; un atto di coerenza alle proprie radici, che si concretizza con l’uccisione, dritta e improvvisa, di Daenerys per mano di Jon; magari non sorprendente (anche se, se me l’avessero due stagioni fa che la serie si sarebbe conclusa così, con un accoltellamento nella stanza del trono, probabilmente mi sarei sorpreso quasi quanto con la morte di Ned, le Nozze Rosse e via discorrendo), ma in linea con quanto costruito in questi anni, come lo è poi la distruzione del trono da parte di Drogon, in un richiamo al finale de Il Signore degli Anelli che spezza per davvero la ruota di potere che ha governato Westeros sin dalla discesa dei Targaryen.

Sia chiaro, quando ci sono così tanti archi narrativi, e così tanta carne al fuoco, non sempre fila tutto liscio, e infatti, dopo questo plot-twist, l’episodio inizia a zoppicare durante quel consiglio fra governanti che, eleggendo Bran, sancisce definitivamente la rottura di ogni ruota del potere. Il tutto è, francamente, abbastanza stucchevole: dalle dinamiche con cui si concretizza fino al ruolo da accentratore assunto da Tyrion a dispetto del fatto che lì, in quel consiglio, si fosse presentato in manette – senza contare, poi, l’atteggiamento sbrigativo di Verme Grigio, prima assetato di giustizia e un attimo dopo prono a subordinarsi alle richieste dei governanti di Westeros. A parte ciò, la decisione di eleggere Bran appare anch’essa coerente con quanto visto, e dunque più che legittima: è l’erede maschio più anziano degli Stark, una delle famiglie più antiche e influenti del continente e, soprattutto, è in linea col nuovo percorso intrapreso ad Approdo del Re: in una società che dimentica la propria storia e non fa che ripetersi nei propri errori, chi meglio del Corvo dai Tre occhi può guidare il regno a un futuro diverso? Il problema con la scelta di Bran, semmai, sta altrove, e risiede principalmente nello svuotamento che il personaggio ha assunto da alcuni anni a questa parte, dando improvvisamente così tanta rilevanza a chi, per intere stagioni, ha subìto invece una drastica riduzione caratteriale.

Sulla destra, Dro-gone prima dello sbrocco.

Sulla destra, Dro-gone prima dello sbrocco.

Vedere concludersi una serie TV che si è protratta per così tanti anni non è semplice specie a livello emotivo. Più che l’addio fra i quattro fratelli Stark che prendono strade diverse, a mettere nostalgia è la riunione fra il nuovo consiglio attorno re Bran; veder battibeccare Tyrion (la mano del re), Sam (gran maestro), Bronn (maestro del conio), Davos (maestro delle navi) e Brienne (capo delle guardie del re) insinua un sentimento forse ancor più amaro della nostalgia, qual è la curiosità per un futuro prevedibilmente tranquillo che non potremo tuttavia vedere coi nostri occhi. Uno zuccherino alla fanbase per i personaggi secondari rimasti, tutti più o meno amati, e che fa il paio con il futuro riservato a Jon, la cui figura si ritrova nuovamente decentrata com’era in principio, ritrovando una serenità non solo incline alla caratterizzazione del personaggio, ma anche alla narrazione che l’ha contraddistinto sin dal suo debutto, prima cioè che assumesse un ruolo da protagonista che in fondo lui stesso ha sempre rifiutato.

Questo è quanto. Si potrebbe dire molto altro, come ho peraltro fatto in altri episodi della rubrica, ma credo che in occasione di questo finale, non ce ne sia bisogno. I finali di stagione vanno metabolizzati, specie quando si tratta di serie TV che hanno contraddistinto la nostra quotidianità per centinaia di ore. Se c’è una cosa che il finale dei Soprano ha insegnato un po’ a tutti, è proprio questo. Per ulteriori considerazioni, vi rimando al podcast registrato con altri ragazzi di Outcast, in cui si è chiaccherato più o meno di tutto quello che ha riguardato questa stagione e non, e alla recensione complessiva di tutto Il Trono di Spade, che verrà pubblicata su queste pagine la prossima settimana. Valar morghulis.

Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata a Il trono di spade e al fantasy lercio, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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