It - Capitolo due non digerisce il cinese
Riguardo a It, non credo di sollevare qualche anomalia statistica se dico di avere adorato il romanzo (letto per la prima volta d’estate, all’età dei ragazzetti protagonisti, e ripescato un paio di anni fa per fare il paio con i grandi), abbastanza detestato la serie televisiva degli anni Novanta, e fatto la òla quando è stato annunciato il film di Andy Muschietti, scritto da Chase Palmer, Cary Joji Fukunaga e Gary Dauberman.
I nomi coinvolti mi parevano quelli giusti per maneggiare gli ingredienti del romanzo - terrore, passaggio d’età e senso del mito – e sono stato anche un discreto sostenitore della faccenda di spostare gli eventi in avanti, sputazzando un bel chissenefrega sulle accuse di nostalgismo modaiolo per gli anni Ottanta. In fondo, quando King ha pubblicato It nel 1986, era un quasi quarantenne che celebrava la cultura pop della propria adolescenza. Quaranta è, guarda caso, anche l’età media di Muschietti e compagni oggi (oltre che, probabilmente, di una buona fetta del suo pubblico), per i quali gli Ottanta stanno come i Cinquanta allo scrittore del Maine. Poi, su, c’è tutta la fissa dei cicli in base alla quale, come ci ricorda Zemeckis, lo Zeitgeist reaganiano ha radici rockabilly, e cose così.
A preoccuparmi un po’, se proprio, era l’idea di affettare il romanzo in due per età, una scelta che remava a vantaggio della prima parte, rischiando di levare equilibrio e sugo alle seconda. Ad ogni modo, il film del 2017 si è rivelato un successo di pubblico e critica e, se lo chiedete a me, un’opera senz’altro riuscita. Pur sacrificando in parte la complessità mitologica del romanzo e smussandone le punte, direi che Muschietti è riuscito a restituirne l’atmosfera.
A riguardarlo oggi (letteralmente: me lo sono sparato qualche sera fa), riconosco a It - Capitolo uno una scrittura equilibrata e una messa in scena tutt’altro che banale, capace di muoversi sulle diagonali, di giocare con luci e proporzioni e di tirare su un’atmosfera tra il poetico e la fiaba horror che ha qualcosa del Peter Jackson in forma. Penso a quella bellissima scena del tuffo o a quell’altra con Patrick Hocksetter a caccia per le fogne.
Eppoi il cast: bello, affiatato e incoronato dalla Beverly Marsh pazzesca di Sophia Lillis. Pochi cazzi, il primo It di Muschietti verrà pur via più morbido rispetto al romanzo ma ti mette una gran voglia di correre verso il Capitolo due.
E infatti, a guardarlo ci sono andato di corsa ieri l’altro, in anteprima, e dall’attacco non sembrava male. Tutta la parte relativa alla chiamata, con un occhio al romanzo e l’altro alla vecchia serie TV, ci mette davanti per la prima volta agli adulti che, nel complesso, ho trovato azzeccati. Il Bill Denbrough di James McAvoy è onestissimo, la Chastain fa del suo meglio per non sfigurare di fronte alla Lillis, mentre James Ransone, Isaiah Mustafa e Andy Bean sono assolutamente credibili nei panni, rispettivamente, di Eddie Kaspbrak, Mike Hanlon e Stanley Uris, in via della fisicità e della premura recitativa.
Oddio, forse giusto Ben Hanscom lo avrei preferito un pelo più ruvido, ché Jay Ryan ha tanto del calciatore belloccio, mentre il personaggio, per me, resterà sempre il cowboy silenzioso che si sfonda di whiskey prima di affrontare il proprio destino. Però, appunto, quello lì è il Ben del romanzo, quindi il problema si pone solo in parte, o non si pone per niente.
E di sicuro non si pone nemmeno se parliamo di Bill Hader, che dietro agli occhiali di Richie Tozier sbanca tutti e consegna l’interpretazione più riuscita. Il suo è anche il personaggio più simpatico, quello con le uscite migliori, e in generale mi pare che gli autori gli abbiano riservato un peso e uno sviluppo diversi rispetto al romanzo (merito della performance che ci hanno visto dietro? Vai a sapere).
Tra l’altro, anche in via della mia recente ricaduta nella prima parte, mi è proprio saltata all’occhio la coerenza con cui gli attori hanno lavorato con i propri personaggi. Il problema è la scrittura che, per una serie di sviste, rovina il potenziale del gruppo, sfiatandolo attraverso una parte centrale eccessivamente schematica, al netto di due o tre momenti azzeccati (tipo la “quest” di Beverly anticipata dai trailer).
Si era detto dei rischi di tagliare il racconto per età. In realtà, il proposito è stato in parte aggirato riesumando i giovani Perdenti e mostrando segmenti inediti del loro passato a Derry. Il problema, al netto del cerchiobottismo, non è tanto l’aspirazione della cosa, quanto la cattiva gestione riservata alle singole linee narrative e, dio buono, al ritmo. It - Capitolo due dura quasi tre ore, e per me avrebbe pure potuto pure prendersene dieci, eh, se gestite con criterio. Ma così com’è, è estenuante, anche in via di una messa in scena meno ispirata e leggibile rispetto al primo capitolo. Tipo che, davvero, da un certo punto ho preso a trampilare sulla sedia riattivandomi di tanto in tanto per qualche trovata body horror e i jump scare. Ma pure di quelli, ne hanno infilati talmente tanti che, passati i primi tre o quattro, ho smesso di farci caso.
Ora che sento di aver fatto decantare la proiezione, mi è rimasta addosso la sensazione di aver assistito a un film più problematico che riuscito. Decente nell’approfondire i singoli personaggi ma non abbastanza nel farli lavorare assieme e con un potenziale sprecato quanto il vecchio Bowers e il rito di Chüd. Segno un “Vai a sapere” giusto per Bill Hader e perché sono un signore, ma la prima parte me la tengo stretta.
Ho visto It – Capitolo due in anteprima grazie a una proiezione stampa alla quale siamo stati gentilmente invitati e, sarà che avevo ancora nelle orecchie le voci originali, sarà che ero preso male, ma il doppiaggio in italiano mi è sembrato particolarmente infelice. Ah, nel pezzo mi sono scordato di nominare Bill Skarsgård truccato da Pennywise. Beh, in questo Capitolo due torna Bill Skarsgård truccato da Pennywise, e potrete ammirarlo in sala a partire da oggi, assieme al resto del film.