La bucolica raffinatezza di Proteus
In seno a Proteus potrebbe svilupparsi una veemente diatriba riguardante il significato stesso del termine “videogioco”, uno scontro così acceso da trasformare le medievali schermaglie fra guelfi e ghibellini in poco più di infantili scaramucce. Il dinamico duo Key-Kanaga lancia sottovoce una raffinata provocazione, mettendo in discussione le finalità stesse del media di cui da anni, forse a tratti a sproposito, amiamo discutere. Non che il titolo qui in esame sia privo di scopo, un'affermazione di questo calibro sarebbe falsa e tendenziosa: semplicemente si vuole constatare come Proteus esca dal luogo comune, svicoli dall'ordinario per intraprendere un percorso intimista. E tale opera, così sperimentale e delicata, non poteva che vedere la luce sulla piattaforma libera per eccellenza, il terreno più fertile per sviluppatori poveri ma belli, in primis di spirito.
Proteus è un'isola di pixel immersa in un universo onirico, così irreale eppur tangibile, un mondo che sovverte i dogmi cui si attiene con cieca osservanza il videogioco, il quale sembra non voler crescere e porsi degli interrogativi esistenziali. Abituati agli elementi cardine di un'inquadratura in prima persona, risulta persino straniante avere la possibilità di esplorare un mondo virtuale senza alcun affanno, privi di una spada di Damocle che penzoli sul capo. In mancanza di pericoli, minacce o generici obiettivi, ci si sente liberi come eremiti, immersi in un arcipelago generato con calore dall'algoritmo di una gelida macchina. Proteus è costruito sull'ossimoro e sul paradosso: è privo di trama ma offre all'utente una serie di strumenti per l'elaborazione di un racconto personale, in cui riaffiorano sensazioni perdute o date per scontate. Peregrinare nei pixel ricorda le corse infantili in mezzo al prato, uno spazio circoscritto nel quale, grazie all'immaginazione, qualsiasi cosa prendeva forma. Si è al contatto con una sostanza concreta in via di definizione, un quadro astratto che lascia aperto il campo a diverse interpretazioni, senza voler mai affermare quale delle tante sia corretta, perché in fondo tutte e nessuna si avvicinano alla verità.
Eliminato il mirino al centro dello schermo, feedback basilare per chi soffrisse di chinetosi, ho iniziato l'interrogativo viaggio nel mondo di Proteus, un percorso intrapreso senza alcun interfaccia utente e con la mente sgombra da qualsiasi pensiero. In breve approdo come un naufrago all'isola paradisiaca, un luogo amichevole sul quale ricominciare a vivere, in attesa dell'eventuale e forse agognato ritorno alla civiltà. La risacca del mare e il soffio del vento, elementi magistralmente riprodotti da un accompagnamento sonoro in perenne stato di grazia, si alternano delicatamente in una composizione raffinata, priva di qualsiasi invadenza. Improvvisamente il cielo terso si copre di nuvole cariche di pioggia, alzando lo sguardo non rimango più abbagliato dalla luce del sole, i cui raggi vengono filtrati e nascosti dalla soffice coltre bianca. Inizia un delicato rovescio, che l'accompagnamento musicale dinamico sottolinea con solerzia, senza sbagliare i tempi dell'attacco, regalandomi un attimo di stupore e ammirazione. Decido di procedere il cammino seguendo un sentiero all'apparenza battuto, come se qualcuno fosse passato per queste lande prima di me e avesse lasciato una traccia, una sua testimonianza. In breve approdo alle pendici di una piccola montagna, la scalo agevolmente, superando la coltre di nubi e ritrovando il calore della luce: sebbene siano passati solo alcuni minuti dall'inizio del mio viaggio, probabilmente avrei materiale a sufficienza per riempire le pagine di un intero diario.
In breve il sole tramonta e la luna bussa alle porte della volta celeste, circondata da comete e stelle cadenti, gli alberi si popolano di una fauna del tutto particolare e un gufo mi osserva da lontano, con i suoi enormi occhi scintillanti. L'atmosfera cambia radicalmente, la musica si fa più soffusa, delicata, l'isola mostra un lato della sua personalità fino a quel momento celato, ma non è uno spaventoso segreto, tutt'altro. E alla fine mi rendo conto della magnificenza di Proteus: è un mondo unico in cui non esistono vetusti maestri legati all'arcaico sussidiario, non ci sono manuali ai quali attenersi alla lettera. Ho seguito un percorso guidato dall'istinto, lasciandomi trasportare dalle sensazioni senza porre obiezioni o domande, libero di sperimentare. Letta così può sembrare un'esperienza da poco, eppure sono dell'idea che, per quanto possa descrivere le emozioni che Proteus è in grado di regalare, queste vadano provate per essere comprese appieno.
Si tratta di un sottile piacere di cui godere quando viene l'ispirazione, nella solitudine della notte, quando il mondo sta dormendo e ci si può isolare, magari con un buon paio di cuffie per apprezzare al meglio l'affascinante accompagnamento sonoro, in cui vibrano echi del miglior Brian Eno. Un mondo, frutto del fantastico, nel quale disperdersi, fino quasi a desiderare di toccare i pixel, consapevoli allo stesso tempo dell'impenetrabile barriera che separa la realtà dall'immaginazione. Non fatico a capire il punto di vista di chi, leggendo queste righe, potrebbe bollare Proteus come una perdita di tempo, un “non gioco”, un mero simbolismo privo di qualsiasi contatto con il divertimento: io stesso ero scettico prima di un test approfondito, comprendo perfettamente questo genere di dubbi e obiezioni. Personalmente ritengo che valga la pena gettare il cuore oltre l'ostacolo, superando i pregiudizi per approdare a un'esperienza inconsueta, capace di appagare il cervello e lo spirito. Proteus ha il grande merito di creare delle immagini memorabili, frutto di rappresentazioni controintuitive in un contesto di comunicazione (videoludicamente) controintuitivo. E questa non è cosa da poco.
Ho giocato a Proteus grazie a un codice fornito direttamente Ed Key, che ringrazio cortesemente. Le richieste hardware sono piuttosto contenute, al punto che mi sembra pleonastico ribadirle.