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La dissonante armonia di Fire Emblem Awakening

La dissonante armonia di Fire Emblem Awakening

Ancora una volta Fire Emblem. Potrei aprire e chiudere l’articolo con quest’affermazione, senza aggiungere altro, che tanto non servirebbe. Ancora una volta Fire Emblem. C’è tutto: la logica del conflitto sempre uguale a se stessa, il traguardo che si ripete a oltranza e l’unicità di una sfida che trascende la strategia e sconfina nel sentimento. Perché Fire Emblem va aldilà di mere questioni di tattica: non si tratta di vincere una guerra, potenziare i soldati o raggiungere l’altra faccia del mondo demoniaco, ma di pura e semplice sopravvivenza. Si può affrontare un Fire Emblem per tanti e vari motivi, ma il significato ultimo proposto dalla struttura di gioco è uno e uno solo: formare, guidare e condurre in porto, nella sua integrità, senza eccezione alcuna, un manipolo di eroi. Ci si può riuscire, ci si può arrendere verso la fine, a metà, fin dall’inizio, ma tale è la sfida da superare qualora si accetti di essere messi di fronte alla potenziale dipartita dei personaggi a cui ci si è affezionati. Vincere non ha importanza, sopravvivere sì.

Ci ho giocato per circa cinquanta ore, a Fire Emblem Awakening, trenta e passa delle quali riportate nel registro di gioco, una ventina perse a ripetere battaglie su battaglie, e non perché sconfitto e soverchiato dal nemico, quanto per l’accidentale, fortuita o sbadata perdita di un elemento del gruppo. Non importa che questi fosse anche l’ultima ruota del carro del mio valente esercito: l’orgoglio del condottiero-stratega che alberga in me mai mi avrebbe permesso di abbandonare al suo destino uno dei miei nobili guerrieri. E ci sono riuscito, eh! A concludere la modalità storia nella sua interezza, missioni extra comprese, senza sacrificare nessuno. E ci sono riuscito impostando il livello di sfida a difficile, accettando fin dal principio una delle prove più ardue. Volevo mettere alla prova l’ultimo nato di casa Intelligent Systems al massimo delle sue possibilità, per vedere dove lo stesso mi avrebbe condotto. E dove mi ha condotto? Bella domanda.

In primo luogo, a constatare che la formula di gioco ancora oggi funziona e non funziona al contempo. Una apparente contraddizione, questa, che va risolta poco per volta. Tanto per cominciare, giusto per dare un senso logico alla stesura dell’articolo, va detto che Fire Emblem Awakening aggiunge poco o nulla di nuovo alla serie. E quel che aggiunge è di sindacabile utilità. Prossimo come filosofia a Fire Emblem Gaiden e a Fire Emblem: Seisen no Keifu, Awakening torna a stressare il concetto di affinità tra le truppe, enfatizzando i rapporti di amicizia e di amore. Gli assalti, le parate, gli affondi condotti in co-abitazione con uno o più alleati generano dei cuoricini, visibili a schermo, che alimentano piccole scenette e dialoghi tra una missione e l’altra, in cui gli uomini stringono alleanze e corteggiano le donne, mentre queste ultime si scambiano appunti di guerra, compiti, consigli e frivolezze. Una relazionalità piacevole da vivere, soprattutto quando i rapporti maturano in dichiarazioni d’amore, in matrimoni e in figli… figli che, nello svolgersi articolato della trama, avranno modo di giocare un ruolo sia portante sia di contorno.

Nulla di nuovo, si diceva, ma di avvincente sì. Dalla metà circa della storia in poi, l’istanza di sopravvivenza si delinea sempre più, rendendo Fire Emblem Awakening un delicato gioco delle coppie: la vittoria fine a se stessa perde del tutto di valore, lasciando spazio a un concetto di lotta amorosa. Non solo bisogna portare a termine gli scontri salvaguardando i soldati, ma anche schierare questi ultimi scegliendo con attenzione gli elementi più affini, quelli tra i quali si vuole veder sbocciare un intimo e duraturo rapporto: un delirio! Soprattutto quando ci si accorge di aver selezionato un paio di mezze cartucce per una battaglia determinante.

Tutto vero, tutto bello, ma poco sopra parlavo di nuovi elementi di scarsa utilità e soprattutto di una certa contraddizione latente. Quindi? Quindi ecco la prima affermazione da dibattere: Fire Emblem Awakening è decisamente facile. Tralasciamo per cortesia la possibilità di impostare il gioco a easy o normal, o addirittura di escludere dallo stesso il cuore pulsante dell’esperienza, optando per una incomprensibile modalità agevolata che disinnesca la morta perpetua dei soldati (incomprensibile se non nell’ottica del “rendiamo felice il mondo intero”, quel mondo videoludico che si ritiene evidentemente composto da giocatori che non vogliono tanto giocare quanto osservare un gioco auto-giocantesi), qui stiamo raccontando una storia di lotta “dura e pura”, finalizzata senza sconti alla sopravvivenza totale e assoluta. Asserivo di aver ripetuto più volte alcune battaglie, di essere stato costretto a riavviare e riavviare Nintendo 3DS, di aver imprecato per l’inaspettata dipartita di un soldato, tutto come se stessi affrontando la sfida del secolo, una sfida genuina, vitale, combattuta ad armi pari. Nient’affatto. Proprio qui sta il punto: Fire Emblem Awakening propone una sfida che non è mai giocata ad armi pari. O il giocatore è troppo forte o l’avversario è troppo subdolo. Non c’è via di mezzo. Di per sé, le truppe guidate sono spesso più forti del nemico: vincere qualsivoglia battaglia è cosa da poco, quasi come bere un bicchier d’acqua. L’introduzione (ecco la novità sgradita) di una modalità di attacco in coppia, che permette a due alleati di affrontare uniti lo scontro con il nemico solitario, altera inesorabilmente i duelli, sminuendo il lato classico del fare strategico a favore del gioco delle coppie sopra menzionato. L’incedere si fa più sbrigativo (molto meglio muovere dieci coppie che venti soldati singoli!), il ritmo ne trae beneficio, ma invece di governare qualche anima in cerca sia di gloria che di protezione, ci si ritrova a comandare corazzate da guerra che colpiscono e difendono due volte tanto il nemico. Perché non permettere anche all’avversario di beneficiare di alleanze e posizioni strategiche?

Quanto detto mi permette di ribadire che Fire Emblem Awakening sfida il giocatore esclusivamente sul versante della sopravvivenza spiccia di ogni soldato. Ci si accorge ben presto di come gli attacchi nemici si riducano a una strategia univoca: andare a colpire il membro del gruppo più scoperto o indifeso, assecondando il motto “non importa vincere, ma annientarne almeno uno!” Cosa che non sarebbe neanche troppo malvagia, se vogliamo, giacché sono più di vent’anni che la saga rigioca a oltranza questa carta comunque vincente, se non fosse che Awakening esagera nel barare. Se i nemici schierati sul campo di battaglia fossero sempre quelli presenti all’inizio dello scontro, ben visibili a schermo, non ci sarebbe nulla da obiettare: pianificando gli spostamenti con attenzione certosina e calcolando la portata dei colpi, agevolati in questo da pratiche finestre di lotta, si potrebbe predire con cognizione di causa lo svolgersi dello scontro, e organizzare una manovra di attacco che protegga ciascun individuo del gruppo.

La strategia, allora, benché finalizzata alla sopravvivenza, più che a un dispiegarsi armonico e avvolgente dell’esercito, verrebbe valorizzata, così come verrebbe premiato il giocatore per la capacità di inventare tattiche alternative qualora fosse necessario. A dispetto di ciò, Fire Emblem Awakening prevede, in molte delle sue mappe di gioco, orde di nemici che compaiono all’improvviso, da qualche casupola o da una pseudo rocca, a ripetizione. Orde che inevitabilmente spiazzano anche il più fine degli strateghi, poiché è impossibile anticiparne la presenza, e che trasformano l’avventura, proprio per l’istanza capitale di non perdere nessun soldato (istanza che non è, come sottolineato, una mania personale, quanto il fulcro stesso dell’esperienza tipica di ogni Fire Emblem), in un prova e riprova fine a se stesso, che si ripete fino a quando non si sono comprese le dinamiche di assalto di quei nemici che spuntano dal nulla. Ecco allora che le venti ore spese a ripetere più volte alcune battaglie trovano parziale giustificazione nella malefica strategia predisposta dai programmatori: annichilire la volontà del giocatore non con una sfida diretta, leale, costruita su un equilibrato rapporto tra truppe amiche e nemiche, ma su accidentalità che mettono a dura prova la pazienza.

Descritta così, l’esperienza veicolata da Fire Emblem Awakening sembrerebbe scadere presto nella mediocrità. Mediocrità che potrebbe essere rinvigorita in negativo da un costrutto narrativo alquanto banale e da menu raffinati per quanto concerne le finestre di lotta, ma poco pratici nella gestione degli equipaggiamenti. Sembrerebbe altresì che l’intera saga soffra inalienabilmente delle incongruenze menzionate. Ma non è così. Almeno per quest’ultimo punto. Il problema di Fire Emblem Awakening è di essere, al netto delle pretese di sopravvivenza, fin troppo indulgente nel tasso di sfida. Mai giocato un Fire Emblem tanto facile già a livello difficile! Arrivati a tre quarti della storia, si hanno a disposizione coppie di soldati talmente potenti che le battaglie più impervie scivolano via tra un doppio colpo e l’altro, con alcuni abbinamenti capaci di respingere in un solo turno ben cinque, sei, persino otto assalti delle truppe avversarie… cose che neanche il miglior Sylvester Stallone di trent’anni fa era capace anche solo di immaginare. Oscenità e obbrobrio, considerando la finezza di certi capolavori tattici firmati Intelligent Systems. Si finisce per procedere disattenti, persino dimentichi di quegli accorgimenti tattici che a inizio avventura erano stati necessari per salvare il ladro mingherlino o il cavaliere pegaso di turno. La parte finale va in calando, la tensione scende e una volta terminati tutti gli abbinamenti amorosi possibili, non resta che raggiungere disillusi la conclusione. Questa eccessiva facilità sposta inesorabilmente l’ago della bilancia verso la ormai tante volte citata salvaguardia dei soldati, rendendo la dipartita degli stessi un qualcosa che si fatica ad accettare. In certi Fire Emblem del passato, invece, ben più ardui e lenti nel dispiegarsi delle singole missioni, non era affatto scontato ripetere con tale spensieratezza le battaglie: si accettava a malincuore la morte del compagno di lotta e si proseguiva, calandosi così radicalmente nel conflitto, nel dramma della guerra, nel sacrificio di uomini e donne. Troppo facile e poco strategico se affrontato a cuor leggero, subdolo ma a tratti gratificante se preso di petto. Dove sta l’equilibrio?

Pur affetto dalle dissonanze evidenziate, Fire Emblem Awakening riesce comunque a esprimersi come un’orchestra armonica, capace di avvincere e conquistare. Non ci riesce per l’intera sua durata, a volte stona, perde il tempo, e si squaglia, ma è forte di una musica che, benché suonata sempre uguale e da troppo tempo, non stanca e diverte. Resta però il fatto che la saga ha perso il suo smalto, e sembra come non mai necessitare di qualcosa di nuovo per tornare a conquistare il trono che virtualmente le spetta. Giocare ancora sul contrasto spada-lancia-ascia è riduttivo, soprattutto in luce delle alternative proposte nel tempo da titoli analoghi, basti pensare agli ottimi Yggdra Union, Blaze Union e Gloria Union sviluppati da Sting, giochi che pur non godendo della medesima pulizia formale e del carisma dei migliori Fire Emblem, presentano una complessità strategica superiore. Orfana di Shouzou Kaga (e del compianto Gunpei Yokoi) fin dai tempi di Thracia 776 la saga sembra aver smarrito quello spirito intraprendente che caratterizzò gli albori della stessa. Dopo aver affastellato uno dietro l’altro episodi capaci al più di ripetere quello che già era stato fatto, Intelligent Systems sarebbe chiamata a un atto di coraggio: abbandonare il vecchio per dare vita a una nuova serie, costruita su altri presupposti, più moderni, equilibrati e avvincenti.

Ho scaricato Fire Emblem Awakening dall'eShop con un codice fornitomi direttamente da Nintendo e benché io sia stato critico nel giudicarlo ho goduto del gioco dall’inizio alla fine, per più di cinquanta ore. Mi sono divertito e annoiato, ho sbraitato e festeggiato, mi sono innamorato dei personaggi, molto meno della storia narrata, ho pensato che il gioco fosse da sette e poi che fosse il migliore della saga, e poi che fosse ancora da sette, da otto, da nove e via dicendo in un turbine di numeri, pareri, dialoghi auto-referenziali, confessioni, turbe, ammutinamenti e claustrofobiche considerazioni notturne. Ne è venuto fuori quel che è venuto fuori. Ai posteri...

Voto: 8

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