Librodrome #44: Breathing Machine - A Memoir of Computers
Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.
Leigh Alexander sta bella salda nel gruppetto dei giornalisti di videogiochini in questo momento maggiormente sulla cresta dell'onda e, piaccia o meno, brutto, bello, barboso, inutile o meno che sia farlo notare, ha questa caratteristica un po' particolare di essere una donna, che purtroppo tende un po' a spiccare, in un settore in cui praticamente chiunque altro goda anche solo un po' di fama appartiene all'altro sesso o è una bella gnocca che fa i notiziari in video. E invece, Leigh s'è conquistata la sua posizione a colpi di articoli interessanti, fuori dagli schemi e, soprattutto, ricchi di personalità, scritti uno dietro l'altro, accumulando consensi, facendo incazzare talvolta le orde dell'internet, attirandosi antipatie di qua e di là, ma diventando sostanzialmente una fra le penne più gradevoli da leggere di questo settore (oltre che una fra le persone più brave, quando ci si mettono, a risultare insopportabili e a far incazzare la gente, cosa che alla fin fine tendo a considerare positiva).
La sua carriera l'ha già vista saltellare praticamente dovunque, da Destructoid a Game Pro, passando anche per la stampa più mainstream, e oggi, fra i tanti luoghi in cui la si può leggere, ci sono Edge, Gamasutra e Polygon. E c'è anche il suo blog personale, utile a chi vuole curiosare anche perché spesso segnala al suo interno gli articoli che ha pubblicato in giro per il pianeta. Se non la conoscete – e se non avete problemi a leggere in lingua inglese – datele una chance: magari finirà per starvi sui maroni, ma certamente di cose da dire ne ha. E vi butto lì pure qualche esempio più o meno recente: il suo articolo per Gamasutra sulla chiusura di Irrational Games, la sua altrettanto recente intervista, sempre per Gamasutra, a Cliff Bleszinski, la sua finta recensione di Grand Theft Auto V che ha fatto implodere l'internet e, per scavare un po' nel passato, il suo famoso articolo per Game Pro sul personaggio di Bayonetta.
Il senso di tutta questa pappardella su Leigh Alexander sta nel fatto che ho appena letto il suo libro, Breathing Machine - A Memoir of Computers, e mi va di consigliarlo. Esiste solo in formato digitale: io l'ho acquistato su Kindle, a poco meno di quattro euro, ma vedo che si trova anche sui vari iBooks, Google Play e compagni, ed è un libretto breve, da una settantina di pagine, in cui Leigh racconta alla propria maniera la sua gioventù da fissata con videogiochi e tecnologia. È un libro estremamente personale, che non dipinge tanto un'epoca, quanto quel che ha significato, per chi coltivava determinate passioni, crescere in quegli anni.
Non è, insomma, un libro “universale” e mi ha dato l'impressione di rivolgersi per lo più a chi, in una maniera o nell'altra, ha condiviso quel genere d'esperienza. Poi, vai a sapere, magari può leggerlo, “coglierlo” e gustarselo chiunque, ma mi risulta un po' difficile credere che sia possibile immergersi davvero in quel che viene raccontato senza provare il senso d'immedesimazione che mi ha colpito fortissimo nel rileggere del primo impatto col tal videogioco, del suono lancinante che emettevano i modem durante la fase di connessione, dell'attesa interminabile per il download di un paio d'email, di cosa ha significato, per una manciata d'anni, tornare a casa sapendo di ritrovare tutte quelle chiacchierate aperte su Usenet a cui dedicarsi.
Tanto più che il libro è scritto secondo un punto di vista estremamente personale e autobiografico e, appena Leigh Alexander sconfina in territori con i quali ho meno familiarità, ecco che improvvisamente il coinvolgimento dei capitoli precedenti tende a scemare.
E quindi Breathing Machine è un libro un po' particolare, ben scritto, ammaliante, che risulterà probabilmente insopportabile a chi non tollera lo stile dell'autrice o in generale lo spirito nostalgico, ma che comunque, alla sua maniera, senza avere chissà quali pretese alte, offre un breve e sentito tuffo nei ricordi, riuscendo comunque ad evitare dipingerli esclusivamente di magia. C'è nostalgia, c'è consapevolezza di quanto sia stato affascinante vivere in quei mondi lontani, non c'è necessariamente aria di si stava meglio quando si stava peggio. Se siete vecchi come me, poco meno o poco più, e se siete sufficientemente geek/nerd/whatever da stare leggendo questo articolo, dategli una chance. Su, costa poco.