Librodrome #49 - Videogaymes, l’omosessualità videoludica che non ti aspetti
Attenzione. Ogni due settimane, in questa rubrica si parla di cultura. Niente di strepitoso, o che ci farà mai vincere il Pulitzer, ma è meglio avvertire, perché sappiamo che siete persone impressionabili. E tratteremo anche dei libri. Sì, quelle cose che all’Ikea utilizzano per rendere più accattivanti le Billy. E anche le Expedit.
Sono passati ormai quasi quattro anni dal GameCamp 2010, occasione in cui conobbi Luca de Santis e il suo progetto videoludico-culturale. Durante il suo talk, avvenuto in un’assolata e carinissima piazza di Riva del Garda, ha saputo incuriosire, intrattenere, divertire, stupire ed affascinare gli astanti con una storia del videogioco inedita, quella di una minoranza rappresentata dall’acronimo LGBT.
Il lavoro di de Santis, Videogaymes: Omosessualità nei videogiochi tra rappresentazione e simulazione (1975-2009) è ricerca, riflessione, storia di vita, e questi contenuti danzano in perfetto equilibrio tra saggio divulgativo e divertita teatralità. I primi due capitoli fanno da ponte tra la carismatica introduzione di Matteo Bittanti e il cuore dell’opera, gettando importanti basi metodologiche sullo studio del videogioco come mezzo espressivo culturale. Tra archetipi letterari, filosofici e psicologici, in pochi paragrafi viene offerta una rosa di punti cardine e punti interrogativi che non mancheranno di far riflettere il cultore.
Si apre poi un universo sconosciuto ai più: la cronistoria della rappresentazione e della simulazione dell’omosessualità nei videogiochi, come afferma de Santis, stupisce anche il videogiocatore più scafato, il quale spesso si rende conto non solo di aver ignorato dei videogiochi forse non troppo conosciuti, ma addirittura di non aver afferrato alcuni sottili messaggi, sfumature, riferimenti, fino a vere e proprie rivelazioni all’interno di celebri successi videoludici.
Del resto, il lavoro di ricerca ha preso in analisi quasi 8.000 (sì, ottomila) videogiochi e ciò dimostra che la carrellata di titoli proposti non si limita ai casi più noti ed eclatanti (ai quali vengono naturalmente dedicate molte righe, pensiamo ad esempio alle ambiguità di genere tra i personaggi dei picchiaduro giapponesi), ma scava invece in profondità nella storia e nelle radici culturali del videogioco. Sì, perché il videogioco ai suoi esordi era anche un momento di aggregazione: maschile, nella fattispecie. Videogiochi per maschi, creati quasi sempre da maschi, in sale giochi frequentate da maschi. Un’omosocialità fatta di dimostrazioni di forza ed abilità, di esibizionismo e voyeurismo, che sembra rispecchiare da vicino uno degli ambienti più ricorrenti dell’immaginario omoerotico: la palestra.
Non manca comunque un intero capitolo dedicato alle “lesbiche videoludiche” tra bistecconi palestrati, personaggi al limite del ridicolo ed altri invece molto più profondi. Dai primi titoli osée per personal computer fino ai più recenti Mass Effect e Dragon Age, si passa per capitoli tutti da divorare come quello sulla presenza di riferimenti (omo)sessuali - più o meno velati - scampati alla censura Nintendo nel suo periodo di massimo splendore, con SEGA che d’altra parte adottava una “politica” decisamente contraddittoria su tali temi tabù.
Tabù che permangono tuttora: nei videgiochi, ma anche all’interno delle nostre famiglie, nella strada, nella politica e, in generale, nella nostra società, perfino nei modelli che godono di una maggiore apertura mentale. È qui che il lavoro di Luca de Santis assume un valore aggiunto. Portare avanti un pensiero progressista, libero dalle etichette e allo stesso tempo in grado di definire un mondo così scarsamente preso in considerazione all’interno dello studio sul videogioco, appare come una rivoluzionaria matriosca culturale ed intellettuale, nonché un’altra aggiunta di valore alla collana Ludologica - Videogames d’autore.