Motori in pista mi ha sgommato sull’adolescenza
La debita premessa è che questo articolo si basa su frammenti non sistematici di ricordi risalenti a trentadue anni fa.
”Precisione” o “completezza” stanno in un’altra parrocchia (e, come scoprirete, anche “pertinenza”).
Comunque, trentadue anni fa, nel 1991, apparentemente mi stavo confrontando con l’incombente “maggiore età” e, evidentemente sapendolo, l’emittente televisiva privata Italia 7 decise di agevolarmi fornendomi un agile bignami di quello che poteva aspettarmi nel momento in cui avrei abbandonato la protezione famigliare: pulsioni autodistruttive, violenza domestica, relazioni abusive e amicizie tossiche.
Il tutto mascherato da spokon sulla ascesa del classico bulletto scolastico dalle categorie motoristiche minori fino alla Formula 1 (epilogo a cui l’anime non arrivava, fermandosi al suo esordio come professionista in Formula 3).
Tu guarda cosa si dovevano inventare per farmi crescere!
Comunque, facendo una rapida digressione sulla trama di F-Motori in pista: il protagonista è Gunma Akagi, il cui obbligatorio nome “italiano” di Patrick Ross ancora di più stona con il prologo che lo vede guidare trattori truccati nelle strade agricole giapponesi, tra case evidentemente giapponesi e contadini moltissimo giapponesi, fino alla giapponesissima casa da ex-signori feudali in cui abita la sua ricca famiglia servita da cameriere. Giapponesi.
Patrick Ross.
Mabafangulo, va!
Scusate. Riprendiamo, Gunma Akagi si presenta praticamente subito come il nostro protagonista shonen di quel periodo: selvaggio e ribelle, disprezza il padre, imprenditore con ambizioni politiche che ha allontanato lui e sua madre per anni per nascondere la relazione extraconiugale, disprezza ed è ricambiato dal fratello maggiore, erede predestinato di tale padre, e di fatto si trova bene solo con gli umili, la bella cameriera coetanea ed il paffuto figlio di manutentori e prodigio della meccanica che gli trucca il trattore permettendogli di finire nei guai con la polizia locale un giorno sì ed uno anche.
Ovviamente il talento al trattore del giovane scavezzacollo dovrà prima o poi confrontarsi con ben più alte categorie… ma di questa parte non ricordo nulla.
Quello che ricordo di Motori in pista è quanto mi sembrasse una testa di c… un protagonista così assorbito dal suo ego da arrivare a mettere le mani addosso al suo migliore amico e dal tenere continuamente in ansia due bravissime ragazze. Il disagio che provavo nel vedere per la prima volta descritti con tanto dettaglio violenze domestiche ed abusi di potere nascosti dietro le porte delle famiglie “bene” in quello che avrebbe dovuto essere uno shonen.
Ricordo, infine, forse una fra le migliori rappresentazioni di come una protratta relazione di violenze prima fisiche e poi sessuali (culminate in gravidanza ed aborto) possa avere dinamiche così folli da ribaltare i ruoli e mostrare tutta la miseria del carnefice. Una scena che ancora ricordo perfettamente, a distanza di più di trent’anni, che vede l’odioso e violento Shoma Akagi, l’erede al trono, in ginocchio in lacrime mentre implora la cameriera che ha prima maltrattato e poi violato per anni, di amarlo.
E ricordo lo sguardo di lei, in piedi.
Insomma, a farla breve ricordo tutte le cose che proprio non c’entravano nulla con i motori. Ma nulla, eh! Lo consideriamo un successo o un fallimento?
Ricordo anche la dissonanza cognitiva provata circa vent’anni dopo scoprendo del tutto casualmente che l’autore dietro a questo… shonen??… era nient’altri che Noboru Rokuda, l’uomo che cinque anni prima aveva alzato di due punti i miei voti in educazione fisica solo creando Gigi la Trottola (Dash! Kappei).
Un po’ come scoprire che Babbo Natale arrotonda durante l’anno facendo l’attore porno.
Questo articolo fa parte della Cover Story “Motori in pista”, che potete trovare riassunta qua.