Naruto, il ninja pedagogico
Alle scuole medie, ero un tipo molto curioso: avevano appena messo la 7 mega a casa e il web iniziava a diffondere informazioni in maniera decisamente più rapida delle riviste e della TV.
Era una rivoluzione appena iniziata, di persone che amatorialmente facevano cose nel web, dallo scrivere recensioni sgrammaticate fino a confrontarsi nei forum.
Grazie a questi spazi aperti a tuttə, ho iniziato a scoprire diversi anime e manga: ci si confrontava, si parlava e si scopriva sempre roba bella.
È proprio in questo periodo che, appena ritornato da scuola, mi mettevo di fronte alla TV a guardare Naruto, che aveva sostituito Dragon Ball nello slot dei cartoni del pranzo.
Guardare Naruto da adolescente, in particolare modo la prima parte, quella del villaggio della nebbia, vuol dire ricevere dei pugni nello stomaco fortissimi, un lirismo e una maturità che in uno shonen coi cazzottoni ancora non avevo mai visto (si, quando guardavo Kenshiro avevo sei anni e non capivo nulla, visto che guardavo una puntata ogni morte di papa.).
L’opera di Kishimoto era diversa da Dragon Ball: c'era molta più strategia, c’erano meno plot armor e riusciva sempre a tenermi incollato allo schermo.
Dopo il primo maledetto stop di Mediaset, cercai dei forum di anime online e scoprii che in Giappone erano ben oltre quello che ho visto sulle reti del gruppo Fininvest: Naruto era cresciuto e stava inseguendo Sasuke che era fuggito da Orochimaru, in cerca del potere che gli avrebbe garantito l’opportunità di uccidere suo fratello.
Così, iniziai a cercare i gruppi di fansub e a scaricare episodi come un folle, saltai praticamente un bel pezzo di trama per ritrovarmi con Tsunade Hokage, un Sasuke incazzato come una biscia e con Naruto che finalmente conosceva come accedere al chakra della volpe a nove code.
Il problema, però, è che a lungo andare lo abbandonai.
Aspettare una settimana per guardare trenta minuti di chiacchiere e un pugno, all’epoca, non mi entusiasmava: scaricare una puntata di 300 MB circa voleva dire aspettare un’ora e passa di download e le aspettative erano sempre altissime.
Abbandonai Naruto allo Shippuden, indicativamente quando Pain si fece vedere per la prima volta al villaggio della foglia.
Mi ero rotto le scatole, e anche guardarlo con i miei amici ormai non mi soddisfaceva più: preferivo mettere da parte i soldi e smezzare i PPV della WWE con chi aveva Sky e sfondarci a guardare il culmine delle storyline delle superstar.
Da circa un paio di mesi, ho deciso di riprendere la visione di Naruto da zero.
La mia compagna non ha mai visto una puntata di Naruto: alla prima messa in onda eravamo preadolescenti, io ero in terza media e lei in prima superiore, e Debora lo ha sempre snobbato.
Ci siamo ritrovati a giudicare Naruto da adulti con una prospettiva completamente differente rispetto all’adolescenza: comprensibile, visto che ormai abbiamo più di trent’anni.
Abbiamo riscoperto un anime in un certo senso didattico: i maestri forniscono insegnamenti pratici e concreti ai protagonisti per affrontare le battaglie, ma ad essere pedagogico non è solo il modo in cui Kakashi e soci trattano i loro insegnanti, lo sono anche le varie situazioni dei Jinchuuriki.
Coloro che hanno dentro i demoni dalle n-code, all’inizio, sono tutti emarginati: Naruto e Gaara non vengono approcciati dagli altri bambini perché sono armi di distruzione di massa e i genitori temono che da un momento all’altro potrebbero lasciare libera tutta la loro potenza.
Ma è proprio come questi due personaggi vengono integrati nel tessuto sociale dei due villaggi che evidenzia delle posizioni pedagogiche di Kishimoto ben precise: il mangaka è riuscito a sintetizzare perfettamente i concetti espressi da Vygotskij: il mondo che respinge l’innatismo (ovvero l’idea nasciamo con delle caratteristiche comportamentali ben precise) e abbraccia l’ambientalismo sociale.
Il contesto sociale è sempre importante: Naruto è stato pian piano accettato dal villaggio e si è fatto degli amici nel suo percorso, Gaara è sempre stato allontanato e visto come un mostro da tutti, compreso il suo tutore, che avrebbe dovuto crescerlo nel migliore dei modi.
il padre di Gaara ha provato a uccidere il figlio più volte, dopo avergli voluto rinchiudere un demone dentro.
È normale crescere con dei problemi, con persone del genere vicino, un po’ come successo a Sasuke, il cui fratrello ha apparentemente ucciso tutta la sua famiglia: potete biasimare il suo desiderio di vendetta?
La prima stagione, esclusi i filler maledetti e noiosissimi, scivola via benissimo ancora oggi e ci dimostra come si può essere dei ninja senza essere necessariamente delle spietate macchine da guerra.
Naruto, Sakura, Gaara e molti dei personaggi nella serie lasciano sempre spazio a delle emozioni che in molti casi li sovrasta. Anche qui, è come se l’opera dicesse ai ragazzi che è giusto lasciarsi in balia delle proprie emozioni, che a volte non si riesce a trattenere la lacrima o la rabbia, anche se questo spesso e volentieri porta all’errore sul campo: sono ninja, ma anche degli adolescenti con le turbe tipiche dell’età.
Fighi i jutsu, fighe le animazioni di alcuni scontri, ma quello che sicuramente mi rimarrà dentro è tutto quello che gira intorno alle mazzate.
Purtroppo, però, so bene che Naruto non mantiene questa cura per sempre.
So bene che prima o poi arriverà il momento in cui Naruto e Sasuke saranno praticamente imbattibili, tra Baryon Mode, Susanoo e altra roba che rende de facto tutto inutile, ma la prima parte, quantomeno fino alla dipartita di Pain, secondo me è degna di essere letta o guardata… saltando bellamente gli episodi filler.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai ninja, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.