Ninja Gaiden è un'ode al tempo perso, ma mai sprecato
Immagino che sia normale per i bambini essere appassionati di qualcosa che, all’apparenza, non ha il minimo senso. Per dire, io non ho mai capito il fascino dei dinosauri. I ninja invece, con quel loro alone di mistero, mi hanno sempre attirato. Sarà che in TV passavano film e cartoni animati che li dipingevano come esseri quasi mitologici con capacità di combattimento fuori dal comune e una riserva infinita di shuriken che lanciavano a ripetizione dal palmo della loro mano (e io da bambino ingenuo mi chiedevo come fosse possibile).
Con il passare degli anni, la passione mi è rimasta ed è stata alimentata da videogiochi come la trilogia di The Last Ninja su Commodore 64 e il coin-op di Shinobi, ma per diverso tempo non ho trovato altri giochi che mi abbiano fatto tornare alla mente le avventure televisive del piccolo Sasuke. Fino all’arrivo di Ninja Gaiden su Xbox.
Al tempo, io conoscevo il Team Ninja solo per la serie di picchiaduro Dead or Alive, genere con cui non sono mai andato molto d’accordo. Ninja Gaiden fu quindi una sorta di fulmine a ciel sereno, per me: un gioco di un gruppo di sviluppatori che conoscevo poco in un genere diverso da quello che li aveva resi famosi su una piattaforma, Xbox appunto, che era quasi del tutto ignorata dall’industria dei videogiochi giapponese. Ho ricordi molto vaghi della serie prima del suo arrivo sulla console Microsoft, un po’ perché non penso di aver mai giocato alla versione da sala di Shadow Warriors (il titolo della saga in Europa) e un po’ perché non ho mai avuto in casa mia un NES o SNES con cui giocare alle versioni casalinghe (ero del team Commodore, da ragazzino).
Sono passati quasi esattamente vent’anni da Ninja Gaiden su Xbox (uscì il 2 marzo 2004 negli USA e poi il 14 maggio qui in Europa) e mentirei se dicessi di ricordare tutto alla perfezione del gioco. Il combattimento contro il boss Alma non me lo sono ancora dimenticato, così come le numerose imprecazioni che tirai fino a quando non riuscii a sconfiggerla (maledetta). Ma c’è un’altra cosa che è ancora stampata nella mia memoria, e che penso ci rimarrà per sempre: la giocabilità cristallina del titolo del Team Ninja. Ogni elemento del sistema di combattimento era così curato e approfondito che Ninja Gaiden era una vera e purissima goduria da giocare. E grazie al ca’, direte voi. È un videogioco, del resto. Purtroppo, al giorno d’oggi, non è una cosa così scontata.
I giochi moderni, prigionieri di paroloni come player engagement, retention rate e altri numeri e algoritmi studiati per massimizzare il successo di un prodotto, troppo spesso si dimenticano di essere divertenti. E se non se ne dimenticano, non gli danno abbastanza importanza. Ninja Gaiden, invece, non si poneva questi problemi. Era semplicemente spettacolare fare avanti e indietro tra le varie zone per menarsi con i nemici che rinascevano ogni volta che si lasciava l’area. E non lo facevo per accumulare risorse, salire di livello o altre cose simili da “power gamer”, lo facevo perché apprendere e sfruttare tutte le tecniche a disposizione di Ryu Hayabusa era un trionfo videoludico. E ve lo dice uno che fa fatica con i picchiaduro e i giochi alla Devil May Cry perché non riesce a ricordare le varie combo. In Ninja Gaiden, invece, trovai la mia anima gemella e lo serberò per sempre nel mio cuoricino da bambino fissato con i ninja.
Ho provato altri giochi memorabili da allora, e spero che ce ne saranno molti altri in futuro, ma Ninja Gaiden ha un posto speciale nella lista dei miei giochi preferiti di sempre, insieme a titoli come Bubble Bobble o Civilization: giochi bellissimi anche, e soprattutto, se affrontati senza uno scopo preciso, solo per il gusto di perdersi nelle loro meccaniche e senza sentire la pressione moderna della ricerca disperata dell’ottimizzazione del nostro tempo, anche quando dovremmo pensare solo a divertirci.
Questo articolo fa parte della Cover Story dedicata ai ninja, che potete trovare riassunta a questo indirizzo qui.