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Post-mortem #37: Primal Rage II, il mai nato

Post-mortem #37: Primal Rage II, il mai nato

Una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori, da parte dei membri del team di sviluppo, sulla loro esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.

La scorsa settimana, il Dellafrana ha ricordato alla sua maniera Primal Rage, un picchiaduro a incontri di metà anni Novanta diventato velocemente gioco di culto grazie a un gameplay da non sottovalutare e a un taglio artistico tutto storto. Alla Game Developers Conference 2018, il game designer Chris Tang è intervenuto per raccontare la tribolatissima storia del seguito mai giunto a pubblicazione. Ha, insomma, esorcizzato quel po’ di fastidio che gli era ancora rimasto addosso da un’esperienza tremenda, forse il più grande terrore di chi sviluppa videogiochi. Oggi, intendiamoci, quel ricordo, è superato: Tang lavora sereno in Hitsparks Games / Genazea, ma elaborare il lutto non è stato semplice e una grossa mano è giunta da alcuni avvenimenti piuttosto recenti. Ma andiamo con calma.

Tang, che vanta a curriculum Street Fighter III e Street Fighter Alpha, lavora in ambito console dai tempi degli otto bit, è stato campione del mondo di Sonic the Hedgehog nel 1990, ha gareggiato per la nazionale americana di videogiochi e può vantare anche una carriera da commentatore, con tanto di paternità del tormentone “BOOM! Tetris for Jeff”, ha iniziato a lavorare nel settore dopo aver incontrato il capo di Tengen ai campionati di videogiochi per NES. Assunto per direttissima dalla sussidiaria di Atari, ha abbracciato il lavoro dei suoi sogni, sotto a un marchio mitologico come quello creato da Nolan Bushnell, fianco a fianco con leggende dello sviluppo. Grande giocatore di picchiaduro a incontri, a un certo punto si mise al lavoro su un esemplare del genere intitolato Cyberstorm, che poteva vantarsi di essere il primo gioco ad includere un “combo meter”. Addirittura, quella stessa feature venne “incidentalmente” aggiunta a Street Fighter II solo dopo che era stata eseguita la fase di test pubblica del gioco di Tang. Gioco che, però, non venne mai pubblicato.

Dopo la chiusura di quel progetto, Tang si mise al lavoro su un altro picchiaduro a incontri, tale T-Rex, che sarebbe poi diventato Primal Rage, un gioco che «Aveva i suoi limiti e non era amatissimo dai giocatori hardcore ma riscosse un grande successo.» Campione d’incassi senza se e senza ma, Primal Rage diede vita a un turbinio di merchandising, tra fumetti, giocattoli e altro ancora, ma fu anche grande protagonista nello scandalo legato alla violenza nei videogiochi che esplose in quegli anni. Del resto, per citarne una, il gorillone Chaos aveva una finisher che lo vedeva pisciare addosso all’avversario sconfitto.

In quegli anni, per i giochi arcade, era usanza produrre aggiornamenti tramite ROM, un po’ sullo stile delle patch odierne, e dopo due update, Tang e i suoi decisero di trasformare il previsto terzo in un vero e proprio seguito, Primal Rage II. L’obiettivo non era esattamente timido: si erano messi in testa di incassare ai livelli di Street Fighter II e Mortal Kombat, e per farlo cercarono di unire le idee di partenza con i gusti del pubblico. Dato che i personaggi umani, nel primo episodio, erano quelli più amati, il producer propose di utilizzare lottatori umani che avessero l’abilità di trasformarsi in mostri.

Il progetto venne avviato a marzo del 1995, con un budget da 2,3 milioni di dollari, che all’epoca erano parecchi. Ma del resto, Tang e i suoi costituivano un team da venti persone, il più corposo nella sezione coin-op di Atari, senza contare che realizzare la grafica in stop-motion richiedeva grandi investimenti: i pupazzi venivano costruiti a mano, dipinti nelle varie colorazioni, digitalizzati e animati. Nel mentre, Tang lavorava sul gameplay, ideava i personaggi, studiava le mosse, le hitbox, il bilanciamento e, insomma, tutto ciò che riguarda i lottatori. «Il processo creativo per i picchiaduro è strano: insegni a combattere ai personaggi e speri che se la cavino.»

Tang era coinvolto a tutto tondo, si occupava anche di scrivere la mitologia del gioco ed era gasatissimo all’idea di stare partorendo testi che sarebbero finiti sulle confezioni dei giocattoli. La creazione di Primal Rage II era un lavoro totalizzante, ma quel genere di impegno, all’epoca, era necessario per un progetto del genere. Oggi, spiega Tang, non si farebbe mai una cosa del genere, per una questione di costi e infrastrutture. Stiamo parlando di un gioco con qualcosa come duemila fotogrammi di animazioni unici, non riciclabili, creati singolarmente per i movimenti dei personaggi. Un impegno onestamente assurdo, specie poi considerando che per arrivarci bisognava passare dal processo di creazione dei pupazzi e digitalizzazione della stop-motion.

Suggerisco di andare al minuto 16:00, o giù di lì, per gustarvi un delirante video di motion capture.

L’investimento, poi, era evidente anche sul piano della tecnologia, decisamente all’avanguardia, con un hardware specifico dedicato al gioco. Gioco che, secondo le previsioni iniziali, sarebbe dovuto uscire a metà del 1996, ma ci furono svariati ritardi a causa della lentezza di realizzazione del motion capture, che complicava notevolmente la produzione: ci volevano mesi per avere dei personaggi giocabili, non era possibile fare previsioni su come sarebbero venuti fuori, non potevano essere visualizzati dei prototipi di modello dei pupazzi, non c’era modo di avere una vertical slice (una sezione funzionante del gioco). Inoltre, la scelta del management di far iniziare i lavori su tecnologia derivata dal Jaguar, la fallimentare console Atari, fu un errore. Nel mentre, arrivò in sala giochi un certo Killer Instinct, che cambiò radicalmente il paradigma tecnologico del genere, e si decise di spostare i lavori su un nuovo hardware a base PlayStation, reso disponibile nel 1995. Ovviamente, questo comportò ulteriori problematiche, ma era necessario.

Secondo Tang, poi, un grosso errore fu la scelta di eseguire test pubblici del gioco a uno stadio troppo arretrato dello sviluppo, con risultati disastrosi. «Capcom mandava in test i giochi quando lo sviluppo era praticamente completo.» In tutto questo, la vera tragedia fu a livello corporativo: Midway acquisì Atari da Warner Bros. e, in sostanza, il team di Primal Rage II si ritrovò ad essere di proprietà della concorrenza. Come sempre avviene in questi casi, fu portato avanti un processo di ristrutturazione, con gente che era lì dagli anni Settanta improvvisamente mandata a casa, e nel giro di sei anni, dopo ben venticinque di esistenza, Atari venne chiusa. In tutto questo, Primal Rage era un franchise ridondante, considerando che in casa Midway c’erano Mortal Kombat e Killer Instinct, senza contare che il suo essere così fortemente basato su hardware dedicato ne rendeva impossibile una conversione su console, limitandone i possibili sbocchi commerciali. Tant’è che la dirigenza remava palesemente contro, voleva chiudere il progetto e rifiutava proposte anche sensate, come quella di utilizzare nel gioco i personaggi di Mortal Kombat.

Ma nonostante tutto, il giovane Tang ci credeva: i lavori erano quasi conclusi, il gioco era quasi pronto e lui lavorava fino a notte fonda anche se gli dicevano di non farlo. Un anno dopo, però, venne posta fine al progetto di Primal Rage II. Ai vari dipendenti venne fortemente suggerito di unirsi agli altri team per evitare di essere licenziati, non c’era più speranza. Eppure il gioco era in buone condizioni, come dimostra la beta ancora reperibile in giro, e oltretutto Tang andò avanti a inserire modifiche letteralmente fino all’ultimo giorno, in una versione del coin-op che, chissà, magari giace ancora nascosta in qualche scantinato. Cionondimeno, il progetto venne chiuso e Tang, emotivamente distrutto, rifiutò di unirsi a un altro team messo al lavoro su un picchiaduro. Se ne andò ed ebbe la fortuna di rilanciarsi trovando lavoro in Capcom, che «nel 1997 era ancora in grado di sviluppare picchiaduro splendidi.»

L’esperienza l’aveva segnato al punto che chiuse tutti i contatti con Atari e non si portò nemmeno via le sue cose, tipo un kit di sviluppo «che oggi varrebbe dei bei soldi.» In Capcom la situazione era diversa, era passato da un’azienda che aveva bisogno di lui a una che poteva tranquillamente fare a meno di lui, ma era un passo necessario. E poi, col tempo, i ricordi vennero ricoperti dalla bile: nella sua testa, Atari divenne pian piano un posto in cui si lavorava male, Primal Rage II una porcheria piena di bug. Qualche tempo dopo, Tang tornò anche in Atari, per conto di Capcom, nel tentativo di salvare 10th Degree, un progetto per un picchiaduro andato a rotoli, ma non se ne fece nulla. E a febbraio 2003 la storica azienda creata da Nolan Bushnell chiuse, con tutto ciò che conteneva nei suoi uffici e magazzini destinato alla scomparsa.

Siamo quindi nel nuovo millennio e la scena dell’emulazione sta fiorendo, con tanti giochi arcade che tornano in auge sui PC di tutto il mondo. Cominciano ad emergere anche i prototipi di giochi mai pubblicati e ne salta fuori uno di Primal Rage II, ma è completamente ingiocabile e l’impressione che quel gioco mai nato sia destinato a scomparire. Ma non è così, anzi, il mito cresce, i prototipi iniziano ad apparire nelle fiere specializzate e, pur non funzionando bene, fanno parlare di sé. Tang si manifesta anche in incognito ad alcune di quelle fiere e ci appiccica sopra l’elenco delle mosse con del nastro adesivo! A quel punto, si mette anche a fare ricerche su internet e scopre che Primal Rage è diventato un piccolo culto, con fan art, appassionati, gente che lo ricorda con affetto e tanta curiosità per il seguito. Nel 2013, poi, appare perfino su YouTube un video dedicato a fare il punto sulle vicende di Primal Rage II e chiedersi che fine abbia fatto. Ma Tang è ancora attanagliato dal fastidio per l’esperienza e fa finta di nulla.

Poi, però, il punto di svolta: la sala giochi americana Galloping Ghost Arcade ottiene un prototipo del gioco e lo mette a disposizione degli avventori, scatenando il delirio. Primal Rage II finisce in streaming per giorni su Twitch, la gente impazzisce, Tang ci butta un occhio e si rende conto che, alla fin fine, è meglio di come se lo ricordava. L’accoglienza calorosa del pubblico, la notizia riportata con affetti su siti e riviste… Chris inizia a sciogliersi, riesce finalmente ad elaborare il lutto e si fa una ragione dell’esistenza di Primal Rage II, un gioco mitologico per cui la gente si lancia in veri e propri pellegrinaggi alla sala giochi americana. La stessa esistenza di Galloping Ghost Arcade viene stravolta, perché a quel punto il gestore decide di dedicarsi in maniera sistematica al recupero di vari prototipi e a lavorare coi creatori originali dei giochi per il processo di restauro. E poi, nel 2017, finalmente, l’emulazione ce la fa: lo youtuber Gruntzilla94 mostra mame4rage2, una versione modificata di MAME capace di far girare Primal Rage II «addirittura meglio dell’originale». Il gioco inizia a manifestarsi con regolarità su YouTube, su Twitch e nei titoli della stampa specializzata, Chris Tang si sente in un certo senso quasi vendicato. Ed è bellissimo poter finalmente vedere le reazioni del pubblico, i giocatori che lo apprezzano, i fan del gioco originale che discutono della scelta di utilizzare protagonisti umani… hanno addirittura creato una patch per depotenziare una scivolata troppo potente!

Tang, poi, ha rivalutato quel gioco che nei suoi ricordi era diventato orrendo: si dice sorpreso delle animazioni ancora ottime e della grafica invecchiata bene, anche se in generale considera il gioco davvero incompleto, pieno di problemi, nonostante molta gente lo commenti sostenendo che sia «più completo di Street Fighter V». Col senno di poi, comunque, Tang è contento di essere giunto a questo stato di accettazione, di aver fatto i conti con il passato e aver riabbracciato Primal Rage II, che per altro considera come la concretizzazione di quel che avrebbe realmente voluto fare con il primo episodio. E oggi Primal Rage è, nel suo piccolo, un pezzetto di cultura pop, amato, riverito, citato in ogni dove. Col senno di poi, Tang si rende conto che avrebbe dovuto affrontare tutta la faccenda in maniera diversa, accettando quel che accadeva ed evitando di vivere nella negazione. «Non puoi sempre combattere il destino ma puoi cavalcarlo e tirarne fuori qualcosa di buono.»

Questo articolo fa parte della Cover Story “Jurassic Outcast”, che potete trovare riassunta a questo indirizzo.

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