Come nacque Quake | Post Mortem
Post Mortem è una rubrica in cui vi raccontiamo le considerazioni a posteriori sull’esperienza legata alla lavorazione di questo o quel videogioco.
Il primo Quake è arrivato nei negozi nel 1996 ma il suo sviluppo, come ha raccontato John Romero durante la Game Developers Conference 2021, era iniziato addirittura nel 1990, quando i membri di id Software giocavano a Dungeons & Dragons con John Carmack nel gruppo. Nelle loro campagne, c'era un personaggio chiamato Quake, che agitava un martello in stile Thor, e volevano creare un gioco dedicato a lui. Stiamo parlando di un momento in cui id Software era veramente appena nata: se ci si fossero messi davvero, sarebbe stato il loro gioco successivo a Commander Keen. E in realtà ci provarono, dedicando un paio di settimane a lavorare su un prototipo a gennaio del 1991. Ma la tecnologia non era ancora all'altezza delle idee che avevano e misero la cosa da parte, trascorrendo i quattro anni successivi a lavorare su ben quindici giochi (Dangerous Dave, Haunted Mansion, Wolfenstein 3D, Doom, Doom 2... ) e impegnandosi su mille progetti diversi, provando perfino a creare una mascotte per l’Atari Lynx. Poi, però, John Carmack si rese conto di voler sviluppare un motore nuovo in vero 3D... era il momento di Quake.
Non avevano, però, la minima idea di cosa fare. Non c'era nemmeno ancora l'idea concreta di voler sviluppare un FPS, solo quella di creare qualcosa che fosse in 3D. Si partì quindi, appunto, da Quake, un personaggio con un martello capace di demolire tutto, e da lì nacque la scelta per un'ambientazione di stampo medievale. A questo si aggiunse il desiderio di sfruttare a fondo il 3D, per generare movimenti di telecamera spettacolari, ma anche per situazioni di gioco che vi si appoggiassero, tipo poter arrivare alle spalle di un nemico, abbatterlo con una martellata e osservarlo mentre cade in una scarpata.
Per la creazione dei livelli, si appoggiarono su un editor creato da Carmack, che si basava sull'utilizzo di "brush", pennelli, da posizionare in giro per creare le forme. Era un sistema da un lato molto immediato ed efficace, perché permetteva di lavorare con una visuale piuttosto leggibile e osservare poi immediatamente i risultati in tre dimensioni. Allo stesso tempo, però, creare strutture anche solo lievemente complesse poteva essere particolarmente tedioso: disegnavi una porta in due dimensioni, la ruotavi in verticale per rifinirla, poi la ruotavi nella posizione corretta per piazzarla all'interno del livello, il tutto a mano, per ogni singolo oggetto. Un lavoro enorme, insomma,
Mentre questa faticaccia veniva portato avanti, bisognava anche "gestire" la fama derivante dal successo di Doom, un gioco che aveva cambiato il mondo, creato un genere, lanciato lo studio nella stratosfera. C'era insomma da lavorare un sacco sulla comunicazione, sui rapporto con la stampa e col pubblico, tutte cose che costituivano una gran perdita di tempo. Non l'ideale, quando, parola di John Romero, Carmack doveva lavorare sul motore e farsi il culo. Relativamente pochi anni prima, John Carmack aveva deciso di imparare a creare grafica e si era sbattuto a partorire il motore di Commander Keen, che aveva dimostrato forse per la prima volta quanto davvero il PC potesse essere una macchina adatta ai videogiochi. Ma il passaggio al 3D costituiva un balzo considerevole, e non solo per Carmack: tutto il team, inclusi level designer come American McGee, doveva imparare a ragionare nelle tre dimensioni e infatti spesero una gran quantità di tempo studiando i modi migliori per sfruttare il nuovo approccio, ma anche, banalmente, come usare i nuovi strumenti. E poi, chiaramente, c'era da lavorare sulla connettività online, cosa che fecero anche creando velocemente dei livelli di prova per eseguire dei test, utilizzando una sorta di sfera dorata in 3D per "simulare" la presenza dei giocatori. La sfera venne però abbandonata il prima possibile, ovvero dopo l'acquisto di workstation Silicon Graphics per la creazione dei modelli 3D.
American McGee e compagni producevano mappe nuove a valanga, per mettere sotto stress il motore e sperimentare su cosa si potesse fare, mentre in parallelo si occupavano di definire e pianificare quelle che sarebbero state le mappe vere e proprie. Tutto questo avveniva basandosi su una tecnologia che oggi considereremmo antidiluviana: stiamo parlando di quando ancora non esistevano le GPU, quindi ogni singolo pixel del gioco veniva gestito dalla VGA, e la risoluzione era in 4:3, perché i monitor 16:9 erano ancora poco diffusi e molto costosi. Arrivati al 1995, il game design era ancora in alto mare, perché troppo tempo era stato speso lavorando sulle varie versioni del motore, in costante aggiornamento.
Quando finalmente decisero di aver raggiunto un buon risultato sul fronte del motore, iniziarono a dedicarsi davvero al gioco vero e proprio... ma ormai erano distrutti. Avevano lavorato troppo a lungo senza avere un motore, senza sapere come le loro idee si sarebbero concretizzate. Romero non voleva limitarsi a creare un altro FPS, voleva sperimentare col game design, ragionare su cosa si potesse fare con il 3D, ma non tutto il team era disposto ad andargli dietro: la parte più stremata del gruppo voleva farla finita col gioco, infilare le armi in quello che avevano e pubblicarlo. Bisognava giungere a un compromesso e si decise di procedere lungo la via più semplice, creando semplicemente un FPS, il più in fretta possibile.
In quel momento, a gennaio del 1996, John Romero decise che dopo aver completato i lavori su Quake se ne sarebbe andato. Chiamò Tom Hall, che aveva lasciato id Software durante lo sviluppo di Doom e in quel momento stava lavorando su Prey, e si misero d’accordo. Intanto, però, i lavori proseguivano.
La situazione conflittuale all’interno del team andava avanti senza tregua. Da un lato chi voleva rifare parte del design, inserire un’estetica lovecraftiana, dall’altro chi non ne poteva più, voleva solo concludere i lavori. Ma le opportunità erano infinite ed esaltanti. L’uso del 3D permetteva cose prima impossibili o quasi, fra piattaforme mobili, acqua in cui nuotare, tunnel di vento con cui spingere il giocatore, gravità modificabile… tutte idee eccellenti per rendere i livelli maggiormente dinamici rispetto a quelli di Doom. E ne stava venendo fuori un gioco dal single player fresco, divertente, di grande atmosfera, a tratti davvero spaventoso.
Ma l’atmosfera, nello studio, era di stanchezza e rassegnazione. Bisognava portare il progetto a compimento, quindi ci si buttarono a capo chino, un’apnea in crunch sette giorni su sette, arrivando così a febbraio con un gioco pronto per il test del multiplayer. Caricarono su internet le mappe per osservare la risposta dei giocatori e invitarono anche nei loro uffici i giocatori di Doom, per osservarne le reazioni. E poi giù di nuovo a lavorare, cercando di evitare le distrazioni, tipo quando GT Interactive offrì 100 milioni di dollari per acquistare lo studio (“No, grazie, non abbiamo tempo”), cercando di imporsi limiti per non perdere il controllo. Per esempio, decisero che una mappa non poteva essere più grande delle dimensioni di un dischetto, quindi 1,44 MB. Se si superava il limite, si tagliavano brutalmente contenuti, e solo dieci anni dopo sarebbero spuntate su internet le versioni “extended” di quelle mappe.
L’ultimo miglio fu devastante, fra American McGee distrutto che si mise in malattia, la gente sull’orlo del collasso, tutti che lavoravano su ogni aspetto del gioco e pure l’azienda discografica dei Nine Inch Nails che pose il veto agli MP3: le musiche dovevano essere lette dal CD. Ed è per questo che molta gente giocò senza ascoltarle, dato che lanciava il gioco senza avere il disco nel lettore del PC. Sabato 22 giugno 1996 il gioco era pronto. Ma fino all’ultimo ci furono problemi, per esempio nel gestire la compressione dei file, complessa a causa del fatto che era il primo gioco in cui utilizzarono le sotto-cartelle per organizzare i dati. Ma c’erano, erano pronti. John Romero, tutto solo in ufficio, chiamò il suo amico Mark Fletcher per avere un testimone, caricò il gioco online mentre la gente stava impazzendo nelle chat su IRC, osservò le prime reazioni e se ne andò a casa.
Un mese dopo, id Software era ancora in convalescenza. Romero tornò per occuparsi di produrre la copia fisica, dopodiché arrivò il momento: John Romero voleva andarsene, John Carmack voleva che se ne andasse. La diaspora si concretizzò, con metà dello staff che abbandonò lo studio, e ognuno andò per la sua strada. id Software sviluppò Quake 2 e proseguì imperterrita. John Romero fondò Ion Storm, regalandoci alti e bassi. John Carmack, oggi, si occupa di altro ma, escluso lui, praticamente ogni singola persona che lavorò su Quake è ancora nel settore, chi in id, chi altrove.