Racconti dall'ospizio #9 – Future Wars, o dell'invecchiare male anche quando sai viaggiare nel tempo
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, trascorrevo una corposa fetta della mia gioventù trastullandomi con le avventure grafiche per Amiga 500, barcamenandomi fra espansioni di memoria, giochi che per motivi ignoti funzionavano su quest'esemplare del computer e non su quell'altro e imminente invidia del pene nei confronti del PC, che avrei poi dovuto abbracciare per seguire il percorso evolutivo dell'avventura grafica targata Lucasarts. In quel periodo a cavallo fra anni Ottanta e Novanta, si fecero le ossa tanti sviluppatori che poi sarebbero diventati grandi. Certo, anche tanti che poi sarebbero spariti, ma insomma, non sottilizziamo.
Fra le mille e più avventure grafiche manifestatesi in quegli anni, Future Wars fu importante per un paio motivi. Nessuno dei quali, col senno di poi, mi sento di indicare come “la sua estrema qualità”. Tanto per cominciare, fu il primo gioco degno di nota (o quantomeno di una scheda su Wikipedia) per Delphine Software, sviluppatore che avrebbe successivamente sparato una tripletta di tutto rispetto. In secondo luogo, fu il primo gioco originale creato da Paul Cuisset, che avrebbe proseguito con l'intrigante Operation Stealth, per poi tirare fuori il capolavoro che gli vale un posto nella mia hall of fame personale, Cruise for a Corpse, e il notevole Flashback. La sua carriera proseguì fra alti e bassi, sopravvivendo in qualche modo nell'era PlayStation grazie alla divertente serie di Moto Racer e cercando un tentativo di rilancio in tempi recenti col fallimentare Amy. E poi, a Future Wars lavorò Eric Chahi, applicando il suo tocco (col senno di poi) inconfondibile all'impianto grafico e facendo il proprio esordio in Delphine Software, per la quale avrebbe sviluppato il gioco per cui tutti gli vogliamo bene, Another World.
Il problema è che se gli levi l'importanza storica, a Future Wars non rimane moltissimo. Certo, in quell'epoca in cui avevamo fame di avventure grafiche e ci facevamo andare bulimicamente bene un po' di tutto, la faccenda era ben diversa, tanto più che eravamo ancora abituati (ancora per poco) a farci prendere a calci sulle gengive dai videogiochi e che i suoi momenti riusciti indubbiamente Future Wars ce li aveva. Di sicuro, il contributo di Eric Chahi lasciò il segno, per un impianto grafico che non fa strabuzzare gli occhi, ma già ne metteva in mostra le buone scelte stilistiche e la capacità di immaginarsi mondi “altri” (wink wink). Quell'immagine di apertura, in particolare, con la vetrata su cui si rifletteva la metropoli, mi affascinò non poco dalle pagine delle riviste e mi fece rimanere per lungo tempo nella capoccia il desiderio insoddisfatto di metterci le mani. Purtroppo, di recente, le mani ce le ho messe.
Oh, poi, intendiamoci, i giochi vanno contestualizzati. Future Wars era un piccolissima produzione, realizzata da gente che aveva già qualche prodotto alle spalle, ma insomma, era comunque a inizio carriera, e si aggrappava su schemi di gioco e idee all'epoca consolidate. E oltretutto si trattava di un momento di passaggio: nel 1989, lo SCUMM esisteva da appena un paio d'anni, Sierra On-Line pubblicava la sua ultima avventura con parser testuale e i vari sviluppatori di avventure punta e clicca stavano davvero cominciando a spuntare come funghi. Non tutti avevano a disposizione il genio di Ron Gilbert e ci si doveva anche un po' arrangiare. Insomma, contestualizziamo, ci mancherebbe. Ciò non toglie che Future Wars, da giocare oggi, è una palla al [CENSURA]. E secondo me lo era un po' anche in un mondo che aveva già apprezzato Maniac Mansion e Zak McKracken and the Alien Mindbenders. Poi, certo, era un mondo che si stava ancora abituando a questo modo più snello di risolvere enigmi, e quindi, tutto sommato, ci si poteva accontentare.
Tanto per cominciare, Future Wars ha un'interfaccia punta e clicca a dir poco zoppicante ed eccessivamente arzigogolata, oltre che un sistema di pathfinding che praticamente non c'è. La somma di questi due aspetti, già da sola, fa sì che si trascorra un sacco di tempo a leggere il messaggio “vieni più vicino”. E in un caso in particolare in cui la prospettiva fa un po' di scherzi, le imprecazioni volano, soprattutto se consideriamo l'alto tasso di pixel hunting richiesto e quindi il costante dubbio di non stare scovando qualcosa. Aggiungiamoci la tipica bastardaggine dell'epoca, una struttura che permette di proseguire dimenticandosi per strada oggetti fondamentali, un tasso di mortalità discretamente alto e alcuni passaggi che (di nuovo, come da tradizione dell'epoca) paiono pensati con lo scopo di farti morire apposta perché così devi inserire un'altra moneta per continuare. Li avete aggiunti? Ecco, il risultato è un gioco sostanzialmente stronzo e che per ampi tratti dà l'impressione di essere stronzo per i motivi sbagliati.
“Però, ehi, ne vale la pena, perché ti fa vivere una storia affascinante e/o divertente e/o scritta bene e ci sono degli enigmi molto curati!” Eh, insomma. La storia è proprio esile. Non che manchi il potenziale e non ci siano un paio di trovate azzeccate e di gag divertenti, ma insomma, nel complesso lascia addosso un discreto senso di whatever. E gli enigmi sembrano pensati per seguire il discorso fatto sopra: c'è poco di realmente ingegnoso e c'è molto di difficile in maniera se non scorretta, quantomeno impacciata. Quando la sequenza arcade è il momento più genuinamente divertente di un'avventura grafica vecchio stile, beh, c'è qualcosa che non funziona. Soprattutto considerando che, di suo, non è che sia particolarmente divertente.
Insomma, il punto è che Future Wars è un gioco che vale la pena di ricordare più per l'importanza che ha avuto nel fare da trampolino di lancio per un paio di nuovi talenti che per altro. Ripreso in mano oggi, mostra tutti i suoi limiti e ha forse appena un paio di momenti davvero riusciti e di immagini evocative. Poi, certo, si potrebbe anche dire che certe scelte infelici di design si trovano in giro ancora oggi, in giochi molto più moderni (ciao Machinarium!), ma insomma, eh. Diciamo che in questo caso il gioco è meglio che se ne resti rinchiuso fra le pareti dell'ospizio, via.