Racconti dall'ospizio #12 – La trilogia del samurai
Racconti dall’ospizio è una rubrica in cui raccontiamo i giochi del passato con lo sguardo del presente. Lo sguardo di noi vecchietti.
Dubito che chi perde tempo leggendo questa rubrica non conosca Retro Gamer, il mensile di Imagine Publishing che da ormai diversi anni tratta il passato remoto e recente dei videogiochi con interviste, approfondimenti, corposi dossier e rubriche assortite. Se non la conoscete, scopritela, per esempio facendovi un giro sul sito ufficiale. Ora, fra gli appuntamenti fissi di quella rivista, ci sono le doppie pagine con lo screenshot gigante e il trafiletto in cui un redattore (o un ospite) chiacchiera velocemente di un gioco a cui è per qualche motivo affezionato. Bello, no?
A volte, quelle doppie pagine offrono un delizioso ed evocativo tutto nei ricordi: ti ritrovi lì a fissare come uno scemo la schermata sgranata e figlia di uno zoom violentissimo, ti immedesimi magari nelle parole con cui il gioco viene descritto e sei contento così. Altre volte, invece, l'argomento della doppia pagina è un gioco che all'epoca ti eri perso, o che magari neanche conosci, e alla nostalgia si unisce quel pizzico di curiosità, se non di rosicata. Se poi sei uno psicopatico con l'ansia da archeologo come me, finisce che, spinto dallo spirito felino di mettere le zampe dove non dovresti, vai a recuperare il gioco in questione. E poi ci sono le volte in cui, siccome il gioco in questione ti ha divertito, la curiosità ti porta addirittura a giocare tre giochi diversi, su tre piattaforme diverse, oltretutto recuperati tramite eBay, perché se sei psicopatico devi esserlo fino in fondo.
First Samurai è un gioco del 1991 per Amiga 500 (convertito poi su Atari ST, C64, PC e Super NES), sviluppato da Vivid Image e pubblicato da Image Works. Il team di sviluppo non è esattamente fra quelli più famosi o prolifici dell'epoca, però, scorrendo l'elenco della loro opera, noto Time Machine, un'avventura basata sui viaggi nel tempo (ma va?) che giocai su Commodore 64 e di cui conservo un gran bel ricordo. First Samurai, però, vede accreditato come game designer Raffaele Cecco, uno magari pure lui non estremamente prolifico, che però ha a curriculum una pietra miliare del C64 come Cybernoid. Quindi, insomma, il sopracciglio si alza almeno un pochino.
Alla prova dei fatti, First Samurai è un gioco veramente tipico di quegli anni di Amiga 500, un platform game d'azione assolutamente occidentale nel design estetico e nel gameplay, che non insegue la fisicità dei giochi di piattaforme nipponici a lui contemporanei e punta tutto sulla complessità delle ambientazioni e sulla varietà degli elementi di gioco. Il protagonista è un samurai che si ritrova a viaggiare nel tempo per combattere una figura demoniaca e che, da un livello all'altro, s'infrange su un allucinante gusto per il pacchiano, quello sì figlio delle contaminazioni tipiche di tanti giochi nipponici sui ninja. Va anche detto che nell'assurda pacchianeria di First Samurai c'è anche una certa consapevolezza, evidente nell'utilizzo autoironico di musiche ed effetti sonori. E ci mancherebbe.
Immediato nelle meccaniche e nei controlli (si salta, si mena, si tirano spadate e si usano magie), First Samurai è divertente soprattutto per l'approccio aperto ai livelli, che costringe ad esplorarli a fondo per recuperare gli oggetti sparsi in giro, necessari all'avanzamento, e per la citata assurda pacchianeria di storia e ambientazioni, che partono dal medioevo nipponico, spostandosi quindi su un treno che viaggia nel tempo, una città moderna e un confronto finale in un passato corrotto dal maligno. A smorzare il divertimento ci pensa invece il tasso di difficoltà notevole – ma certo non fuori scala rispetto alla media di quegli anni – che ti prende a schiaffi senza pietà dall'inizio alla fine.
First Samurai deve aver fruttato ai suoi creatori dei bei quattrini, dato che tre anni dopo è il momento del seguito. Anzi, dei seguiti: Second Samurai viene infatti pubblicato in due versioni abbastanza diverse fra loro, seppure con alcuni elementi condivisi, fra cui spicca l'idea di introdurre un secondo protagonista giocabile in cooperativa. La versione Amiga, sviluppata e pubblicata da Psygnosis, è quella più fedele allo stile grafico e al gameplay dell'episodio originale.
L'azione si sviluppa in maniera molto simile, il design dei livelli spara in tutte le direzioni e costringe a una ricerca approfondita, anche se si nota un approccio lievemente più lineare rispetto a quello di First Samurai, e lo stile audiovisivo non cambia di molto, conservando il suo tono completamente assurdo che mescola epoche diverse, alta tecnologia e tradizione, demoni dall'inferno e scemenze assortite (soprattutto sul fronte dell'accompagnamento sonoro, ma non solo). Di nuovo, è un gioco divertente per il mix di azione ed esplorazione, con fra l'altro qualche aggiunta sfiziosa sia sul fronte dei semplici puzzle, sia su quello della cazzonaggine, espressa anche attraverso delle sezioni in volo col jetpack o certi boss assurdi tipo il lottatore di sumo.
Lo stage finale, poi, ha un fascino tutto suo, nel proporre una situazione stra-lineare, in cui bisogna percorrere un ambiente classicheggiante, affrontare "semplici" samurai e ninja in uno scenario che pare uscito da Karateka, accompagnati da una musica rockeggiante e piuttosto esaltante (specie dopo aver tirato bestemmie per ore a causa della difficoltà) e chiudere i conti con un nemico uscito dalla tradizione nipponica, che però poi sbrocca completamente, trasformandosi in un gigante che vomita vermi e si esibisce in altre sciccherie.
La versione Mega Drive di Second Samurai, invece, è quella che più si distacca dall'originale, seguendo scelte estetiche, musicali e di game design allineate a certi standard della console Sega. La cosa da un lato ha ovviamente senso, dall'altro è un po' paradossale, visto che a occuparsene è proprio Vivid Image (senza però la collaborazione di Raffaele Cecco, quantomeno se vogliamo fidarci delle scarse informazioni reperibili online). Il concept base rimane quello del samurai costretto a vagare fra le epoche per combattere la sua nemesi demoniaca e, come detto, ci sono alcuni elementi che rimbalzano da una versione all'altra. Per esempio anche qui troviamo la fase col jetpack e il boss finale, seppur non identico, è molto simile.
Le differenze, comunque, sono parecchie, a cominciare da uno stile audiovisivo radicalmente diverso (e meno autoironico) e dal fatto che il secondo giocatore si trova a controllare un personaggio femminile, invece che il fratello scemo del protagonista. Al di là di questo, il Second Samurai per Mega Drive sviluppa l'azione ragionando decisamente di più sulla cooperativa, con livelli che puntano meno sull'estensione in tutte le direzioni – un po' complessa da gestire, con due giocatori a schermo – e più sulla presenza di diversi passaggi fra cui dividersi (banalmente: piattaforma alta e piattaforma bassa) per affrontare la caterva di nemici che il gioco lancia addosso.
Non manca comunque l'elemento di esplorazione, con i soliti segreti da recuperare per avanzare nei livelli, ma va a incentrarsi più su passaggi segreti e teletrasporti assortiti, dato che l'azione, appunto, si sviluppa maggiormente in orizzontale. E infatti, sebbene decisamente più gradevole dal punto di vista grafico, Second Samurai per Sega Mega Drive è forse un gioco meno interessante, perché molto più incentrato sull'azione semplice, brutale e punitiva tipica dell'epoca, senza però proporre nulla di davvero fuori dagli schemi.
E insomma, a conti fatti, ne è valsa la pena? Vai a sapere. Di sicuro non son giochi che mi sento di consigliare senza riserve. Siamo ben lontani dai primi due Fallout, che ti respingono per l'arcaicità dell'interfaccia, ma rimangono capolavori senza tempo, con tantissimo da offrire al giocatore moderno che abbia voglia di tollerarne le asperità. Qui si parla di tre giochi che oscillano fra mediocrità e sufficienza (anche abbondante, via), con alcuni spunti interessanti, qualche trovata molto azzeccata e che in generale emanano un inconfondibile e brutale spirito da sottobosco anni Novanta. Io mi sono divertito a metterci mano, ma io sono io e sono quello che sono. Se ne scrivesse Alez, sarebbero probabilmente solo schiaffi e calci sui denti. Immagino che per chiunque altro possa bastare un fast forward su YouTube.